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Il delirio continua, ovvero: UN DIAVOLO PER CAPELLO

Post n°2171 pubblicato il 04 Gennaio 2016 da vi_di

 

Il Capo aveva un diavolo per capello.
L’agente nome in codice VALERIA era sparito, ma il problema non era quello. Il problema era la missione incompiuta. Il Supremo si sarebbe incazzato come una iena e gli avrebbe fatto una lavata di testa esagerata e, con quel raffreddore che gli era scoppiato all’improvviso, una lavata di testa era l’ultima cosa che potesse desiderare.
Guardò l’orologio: mancavano quattro ore all’ora X, se partiva subito poteva farcela ancora. Era raffreddatissimo, ma non era un buon motivo per tirarsi indietro, sicché schizzò fuori dal palazzone di vetro, montò sull’auto e, semafori e ingorghi permettendo, si lasciò alle spalle il più velocemente possibile la città e si avviò sulla stessa strada che aveva percorso il giorno prima l’agente nome in codice VALERIA.
Aveva un diavolo per capello, starnutiva continuamente, il naso gli colava, la testa gli doleva ma questo non gli impedì di rimanere affascinato dal panorama dei monti, dalla bellezza delle valli, dall’atmosfera dei piccoli borghi parati a festa.
A onor del vero egli provava a tenere il classico aspetto da agente in missione, con l’occhio stretto a fessura, la fronte corrugata, il collo incassato, ma la bellezza dei luoghi lo distraeva, e si ritrovava involontariamente a seguire con sguardo tenero il volo di un uccellino infreddolito, a sorridere a una cavalla che brucava col puledrino accanto, a spalancare gli occhi davanti al brillìo sobrio del sole su uno spicchietto di lago gelato. Quasi dimenticò il raffreddore, guardando cotali bellezze. 
Giunse al Pesculum Serulae con un’aria sognante, ma appena lì si destò dal sogno, si ricordò della missione, si accorse di aver già consumato tre delle quattro ore utili, gli tornò un diavolo per capello e, grazie anche al raffreddore e al mal di testa, uscì dall’auto con la faccia accigliata al punto giusto.
Bavero alzato, cappello sulle ventitré con la falda a nascondere un occhio, mani in tasca, il Capo si avviò. Gazebo a sinistra, poi avanti sul giardinetto - non in linea retta ma sui camminamenti visto che c’era il vigile proprio lì -, quindi passò davanti a una lunga fila di persone ferme dinanzi a un negozio. “Il Vecchio Forno”, diceva l’insegna. Chissà mai perché tanta gente era ferma lì davanti, si chiese starnutendo e soffiandosi il naso. A volte le persone sono strane davvero, si disse tossendo e andando oltre. Passò dinanzi a un bar con uno strano albero di Natale fatto di lattine e girò a destra. 
L’aria frizzantina infilandosi nel naso non gli diede il tempo di afferrare il fazzoletto, cosicché lo starnuto gli scappò in maniera violenta e incontrollata, inondando una signora che era lì, ferma dinanzi a un negozio.
«Salute!», esclamò la malcapitata nonostante l’inondazione.
«Grazie…», farfugliò il Capo afferrando il fazzoletto in tasca e soffiandosi sonoramente il naso.
«Brutto raffreddore, eh! Se lo sta curando?»
Il Capo sapeva che in missione non si deve dar chiacchiera ai passanti; cercò quindi di riacquistare il cipiglio giusto, ma un altro starnuto ne minò l’autorevolezza.
«No, non se lo sta curando direi!», esclamò la signora, e afferratolo per la mano, senza dargli tempo di opporsi lo trascinò con sé dentro il negozio.
Si trovò in un posto stranissimo: flaconcini, bottigliette, alambicchi e vasetti di miele dappertutto. Una sorta di antro della strega.
«Aspetti un attimo, le prendo una cosa che le farà un gran bene!», disse la tipa e sparì dietro uno scaffale.
Il Capo era lì a bocca aperta, un po’ per il naso otturato e un po’ per la particolarità del negozio, quando la tizia tornò e, approfittando delle fauci spalancate, proditoriamente gli ficcò in bocca un cucchiaino con qualcosa sopra.
Egli istintivamente si tirò indietro, ma la roba gli finì comunque in gola, provocandogli un accesso di tosse.
Oddio, mi hanno avvelenato, pensava tra un colpo di tosse e l’altro. La tizia è un agente nemico, cough, cough! Mi sono fatto fregare come un pivellino, cough cough!
Ma, proprio quando pensava di stramazzare morto a terra, avvenne il miracolo. La tosse cessò, la testa smise di dolere e il naso smise di colare.
Non era una strega, era una maga la tipa!
«Propoli. Gliene do una boccetta, ne prenda un po’ due o tre volte al giorno e in un paio di giorni passerà tutto.»
Il Capo, ancora frastornato, pagò quel che c’era da pagare e uscì dal negozio. Doveva essere sul luogo X entro l’ora X, e mancava meno di mezz’ora. Il raffreddore era passato, ma gli tornarono di colpo tutti i diavoli per capello.
Ripreso il ghigno giusto, stava per avviarsi verso la missione, ma il naso, liberato dalla magia della tipa, sentì un aroma soave, irresistibile. Tanto irresistibile che dovette seguirlo, nonostante i diavoli lo tirassero altrove.

La scomparsa del Capo avrebbe dovuto fare un gran rumore ma, essendo la missione segretissima, il rumore fu silenziato. Tuttavia si narra che da qualche tempo sotto le mura del castello del Pesculum si aggiri una strana ombra che, tra un cucchiaino di propoli e un morso di pizza bianca del Vecchio Forno, ripete di continuo:
«Diavolacci, è inutile che continuiate a cercare di starmi tra i capelli: sono calvo!»

 
 
 
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