Post n°2064 pubblicato il
29 Maggio 2015 da
vi_di
Si sono concluse le audizioni in Senato per la legge sulla scuola. La novità più rilevante è il documento unitario presentato da 32 sigle sindacali. Un documento che va al cuore del problema. Chiamata nominativa, rinnovabilità triennale del contratto, organico funzionale configurano una nuova scuola in cui i docenti -tutti i docenti- perdono autonomia e indipendenza. Cosa che non è nell'interesse della scuola né tantomeno degli studenti. Manca, inoltre, nel disegno di legge un impegni serio per il diritto allo studio.
Se la legge fosse approvata nel testo licenziato dalla Camera, si riprodurrebbe nella scuola la stessa divisione che il jobs act ha portato nel mondo del lavoro privato. Divisione tra vecchi assunti, con relativa sicurezza del posto di lavoro, e neo assunti, sottomessi da subito al contratto triennale. Tuttavia molto presto anche la gran parte dei vecchi assunti perderà le tutele ed entrerà nel calderone del rinnovo triennale (se, per esempio, l'insegnante chiederà e otterrò un trasferimento, o se dovesse finire tra i “perdenti posto”, per via della riduzione della domanda di insegnamento in quell’ambito e per quella materia). Rapidamente l’intero ceto docente si ritroverà più precario ed esposto all’arbitrio di una gerarchia che non si misura con il lavoro quotidiano dell'insegnamento e vuol essere manageriale e iperefficientistica.
Le 32 sigle sindacali chiedono che l’organico per l’autonomia sia utilizzabile solo per il potenziamento dell’offerta formativa, e non per surrogare carenze di organico nei posti comuni o nei posti per il sostegno.
Organico dell’auonomia e organico di fatto. Nella legge, la cifra di 100.701 posti previsti per stabilizzare l’organico di fatto non viene mai indicata. Si rimanda alla cifra dell'investimento previsto. Ma se si fanno i conti, partendo dalla differenza dichiarata di 57.230 unità tra organico di diritto 2015-2016 e organico, di fatto e si sommano i circa 20mila pensionamenti e le 14mila nomine effettuate l’anno precedente e persino gli oneri per le la ricostruzione di carriera per i docenti da assumere in più, si ricava comunque che il governo si è tenuto un “tesoretto” che potrebbe consentire di stabilizzare, senza esborsi ulteriori, quasi 138mila insegnanti e non solo i 100mila e 700 della vulgata mediatica. Se ne potrà discutere in Senato, oppure il governo intende nascondere questo “tesoretto” per evitare che il Parlamento entri nel merito delle scelte, o dia indicazioni eventualmente dissonanti con quelle all’esecutivo?
Questa scoperta prende una luce nuova se si esamina un’altra cifra, quella dei 3 miliardi di investimenti vantati. la metà di questi famosi 3 miliardi, cioè un miliardo e mezzo, è quanto l’amministrazione ha in realtà risparmiato bloccando i rinnovi contrattuali dal 2009 e gli scatti di anzianità del 2013. Una partita di giro: con i sacrifici degli insegnanti si pagherà la stabilizzazione degli insegnanti. Inoltre 300 milioni dei 3 miliardi provengono dal tagli al finanziamento generale del Ministero operato con la legge di stabilità, 620 milioni sono i tagli, effettuati nel corso degli ultimi 3 anni al fondo per gli istituti. Sono appunto i tagli che hanno provocato e provocano quella sgradevole e diffusa percezione di abbandono che dà la nostra scuola pubblica.
Va bene la propaganda che, si sa, è l’anima del commercio. Tuttavia è forte l’impressione che il governo usi tagli dolorosi alla scuola per costruire una sua nuova catena di comando, e per poter poi vantarsi di qualche cadeaux agli insegnanti come i 200 milioni per il merito. Mentre di rinnovo del contratto di lavoro non si vuole sentir parlare, là dove si puote. Conclusione provvisoria: il dibattito in commissione, e poi in aula, non potrà riguardare dettagli della legge ma dovrà riesaminarne la struttura portante.
Corradino Mineo