Creato da votattilio2008 il 28/03/2008

A.T.T.I.L.I.O.

Attivisti Territoriali Terribilmente Incazzati Lievemente Inconsapevoli a Oltranza

 

 

Marino: «Sul tesseramento caos inquietante, penalizzano chi attira nuovi iscritti»

Post n°255 pubblicato il 17 Luglio 2009 da votattilio2008
 

Intervista  a Ignazio Marino, da L'unità di oggi

Il terzo uomo gira per l’Italia: ieri Venezia, Treviso, stasera al Gay Village di Roma con Paola Concia. E giovedì Ignazio Marino presenterà a Milano il programma da candidato segretario del Pd.
Professore, la sua proposta di prolungare di 10 giorni il tesseramento è stata bocciata perché «non si cambiano le regole a partita iniziata». Deluso?
«Intanto dovremmo avere certezza delle regole. Sono sempre più a disagio in una situazione dove continuo a ricevere mail, post sul mio blog, messaggi che denunciano grandi difficoltà per iscriversi in alcune aree del Paese. A Milano è come un gioco dell’oca trovare un circolo aperto e imbroccare l’orario. Alcuni chiedono 50 o 100 euro. Non voglio dare interpretazioni ma...».
Ma qual è la sua lettura della vicenda?
«Dal Sud arrivano notizie di tesseramenti che superano il normale, altrove professionisti del mondo della sanità e del lavoro attratti dal mio nome non riescono a iscriversi. Circoli chiusi, lavori in corso, centralini che non rispondono. Una situazione che richiederebbe un intervento netto, trasparente e chiaro del segretario per risolverla».
Il Nazareno replica che anche i volontari vanno in ferie. Lei vede disattenzione o dolo?
«Sembra esserci un meccanismo che sfavorisce chi vuole attrarre nuovi iscritti al Pd. Ma se ci fosse una logica del tipo “meglio meno iscritti più controllati dai dirigenti nazionali”, bé, sarebbe l’opposto dello spirito con cui è nato il Pd. Quello di un partito aperto alla gente, che trae forza dai circoli e nel dinamismo straordinario di 3 milioni di votanti alle primarie».
Porterà comunque in direzione la proposta di tesseramento prolungato?
«Rilancio l’appello alla gente: iscrivetevi, fate pressioni per allungare i termini. Non capisco le obiezioni di alcuni, a meno che dicano con chiarezza di volere un partito piccolo, chiuso nelle stanze, organico al potere di piccoli gruppi, fatto di correnti che detengono pacchetti di azioni, dove non contano gli azionisti semplici ma solo i membri del cda. Sarebbe una visione di nomenclatura opposta alla mia. Se non è così rispondano: chi può rimetterci da un partito più grande e più forte?».
Ha notizia di persone riuscite a tesserarsi per votarla?
«Sì, c’è un effetto positivo straordinario. Migliaia di nuovi iscritti. Troppi per rispondere a tutti, per ora, in una campagna elettorale con pochi mezzi e senza sostegno economico dal partito».
D’Alema l’aveva sconsigliata di candidarsi. Lo ha convinto?
«Ci siamo incontrati per caso a Red Tv e scambiati le opinioni. Lui resta convinto che io abbia fatto un errore, ma tra persone intelligenti l’aver condiviso anni di lavoro efficace su ricerca, sanità e bioetica lascia un solido rapporto personale di stima e rispetto».
Le ha fatto gli auguri?
«Lo aveva fatto subito, il primo giorno».
Englaro, Veronesi, Odifreddi. Non teme di essere inchiodato alla battaglia per la laicità, importante ma non esaustiva?
«No, alla nostra mozione si avvicinano tanti di estrazione diversa. Cattolici, scout, i sindaci di Forlì Balzani e di Genova Vincenzi, Casson. Abbiamo nominato responsabile comunicazione politica l’ex collaboratore di Prodi, Sandro Gozi».
Ha sentito il Professore?
«Non ancora. Lo chiamerò».
Tanti militanti si sono risentiti per la sua denuncia di una questione morale su Bianchini, coordinatore di circolo e presunto stupratore. Pentito?
«Ammetto che la forma non era delle migliori. Intendevo mettere al centro la questione della legalità. Vorrei parlamentari incensurati».
Grillino anche lei?
«No, semplice buon senso».

 
 
 

Aiutiamo Ignazio Marino a cambiare il PD e l'Italia

Post n°254 pubblicato il 16 Luglio 2009 da votattilio2008

 

E' arrivato un altro momento decisivo, per chi, come noi, crede ancora possibile produrre un cambio di direzione nel nostro amato paese.

Ci avviciniamo a grandi passi al prossimo Congresso di ottobre, in cui il Partito Democratico dovrà impostare il proprio futuro, comunicare il proprio disegno di domani, illustrare la strada da percorrere per tornare a far vincere i nostri ideali.
Ancora una volta quello che tutti noi possiamo fare è PARTECIPARE!
Partecipare affinchè le idee di rinnovamento non muoiano.


Ora o (forse) mai più.
Per questo e molti altri motivi, noi scegliamo IGNAZIO MARINO come candidato alla segreteria del Pd.
Marino è il candidato ideale, per storia personale e piattaforma politica, di chi fa dei temi del merito, del rinnovamento e della laicità la propria bandiera.
Non ci sono correnti eterogenee dietro Marino, ma solo la forza e il coraggio delle idee di un gruppo di persone da tempo impegnato a cercare di dare una prospettiva moderna al Partito democratico.

Non ci sono compromessi al ribasso nelle proposte di questo candidato, ma solo la forza di chi ritiene che il Pd debba essere non il fine, ma lo strumento per cambiare il Paese.

Ignazio Marino può fare di questo Pd un partito inclusivo, coraggioso, contemporaneo e vincente!

Partecipa anche tu e coinvolgi le persone accanto a te, innanzitutto facendoli iscrivere al Partito Democratico entro il 21 luglio (termine ultimo per votare per il congresso, dove bisogna superare almeno il 5% dei voti per arrivare alle primarie) e, soprattutto, aiutandoci nella campagna a sostegno della sua candidatura.

 

Roma X per Ignazio Marino segretario del Pd

 

I Circolo del Pd aperti nel X Municipio

Circolo Subaugusta
Via G. Chiovenda,64
Tel: 06-7217709
Sezioni elettorali: da 1046 a 1073; da 1106 a 1111
Coordinatore: Valeria Vitrotti

Circolo Cinecittà
Via Flavio Stilicone, 178
Tel: 06/768793 06/76988306
Sezioni elettorali: da 1024 a 1041; da 1043 a 1045; da 1091 a 1105
Coordinatore: Daniele Marciano
pdcinecitta@gmail.com

Circolo Cinecittà est
c/o via Chiovenda, 64 (Circolo Subaugusta)
Sezioni elettorali: da 1136 a 1151; 2525; 2526
Coordinatore: Giuseppina Pellico

Circolo Anagnina
Largo A. Berardi, 18
Tel: 06-7235643
Sezioni elettorali: 0844; 0848; 0931; da 1152 a 1161; d a1165 a 1171; da 1186 a 1188; da 1191 a 1193; 2527; 2543
Coordinatore: Arianna Vannozzi

Circolo Osteria del Curato
Via San Giorgio Morgeto,147
Tel: 06-72902569 - 067220094
Sezioni elettorali: da 1162 a 1164; 2544; 2545
Coordinatore: Luciano Paiella

Circolo Capannelle
Via Cariati, 6
06-7183703
Sezioni elettorali: da 1112 a 1126; 2565
Coordinatore: Valter Avellini
pdcapannelle@libero.it

 

Il circolo Morena, coordinatore Antonello Chiappetta, non avendo sede, effettua il tesseramento presso il circolo di Anagnina.

 

Per altre info: www.pdroma.net

Oppure scrivi a scelgo marino.roma10@gmail .com

Siamo anche su Facebook: http://www.facebook.com/home.php?ref=home#/group.php?gid=103353950381&ref=ts

 
 
 

Si parte: Lunedì 13 luglio nasce il comitato per Ignazio Marino in X Municipio

Post n°253 pubblicato il 10 Luglio 2009 da votattilio2008
Foto di votattilio2008

Scusate il silenzio e la scarsa presenza su questo Blog, a cui rimango sempre molto affezionato, ma le ultime giornate sono state vorticose.

Stiamo lavorando per sostenere la candidatura di Ignazio Marino a segretario nazionale del Partito democratico. Per quale motivo? I motivi sono tanti e li diremo tutti

lunedì 13 luglio alle ore 18 al circolo del Pd di Anagnina,

in largo A. Berardi alle 18

 

In quell'occasione costituiteremo il comitato per Marino del X Municipio, sempre in quell'occasione saranno raccolte le firme per la candidatura di Marino.

Servono un documento di identificazione e il numero di tessera elettorale.

Vi aspetto numerosi.

 

 
 
 

IO CI SONO E VOI? L'appello di IGNAZIO MARINO

Post n°252 pubblicato il 05 Luglio 2009 da votattilio2008
 

È arrivato il momento. Siamo in molti, moltissimi. 

Sogniamo un'Italia diversa, 
crediamo nella cultura del merito, nella laicità della Stato, nella solidarietà, nel rispetto delle regole, nei diritti uguali per tutti.
Vogliamo liberare le energie migliori di questo Paese e creare una squadra di persone che diano voce, forza, concretezza alle nostre idee.

Siamo decisi a contrastare democraticamente chi governa l'Italia in maniera ottusa e maldestra:

per un Paese curato, sicuro, sereno, moderno 
per un Paese che conti, in cui si faccia strada il coraggio, la capacità, la speranza
per un lavoro con un salario degno che valorizzi ogni individuo
per una scuola come principale strumento per la formazione e l'integrazione dei nostri figli 
per uno sviluppo economico, responsabile, che rispetti l'ambiente 

Vogliamo che ognuno possa costruire con fiducia il futuro, realizzare il proprio sogno e vogliamo essere liberi di scegliere.
Non sono slogan, sono i valori in cui crediamo e che ci uniscono. Ma affinché questi valori diventino azioni positive, ognuno di noi deve fare un passo avanti e assumersi un impegno.

IO CI SONO

Sono pronto a fare il primo passo per assumermi la responsabilità di dare voce e concretezza a ciò in cui crediamo. 
Sulla stessa strada siamo in tanti, a partire da un gruppo di democratici liberi nello spirito e visionari, che hanno scelto di impegnarsi e condividere la sfida. 
Non siamo spinti né sostenuti da correnti, siamo un ruscello ma possiamo diventare un fiume se ognuno di noi è disposto a contribuire con la propria goccia d'acqua.
Il fiume deve scorrere dentro gli argini e ogni persona per contare si deve iscrivere al Partito Democratico e partecipare con il proprio voto alla fase congressuale, per scegliere il candidato. 
Facciamoci vedere. Facciamo sentire quanto è forte la nostra voglia di cambiare.
Entro l'11 luglio iscriviamoci tutti al PD. 
E tra una settimana, se saremo in tanti, il fiume seguirà un nuovo corso. 
Di speranza e fiducia.

Ignazio Marino

Per iscriversi al PD basta presentarsi con un documento al circolo più vicino al luogo in cui abiti (http://www.partitodemocratico.it/circoli/cerca.aspx).
Una volta iscritto invia un'email all'indirizzo ignazio.marino@gmail.com

 
 
 

Con Ignazio Marino, per un partito davvero democratico

Post n°251 pubblicato il 03 Luglio 2009 da mik154

Il 'manifesto'
di Ignazio Marino

Come molti ragazzi della mia generazione preparavo gli esami di medicina in compagnia di un mito, un medico anche lui, Che Guevara, il cui sguardo spiccava sul poster appeso nella mia camera. Crescendo ho affiancato a quella immagine la foto di Enrico Berlinguer con i capelli scompigliati dal vento, pubblicata sulla prima pagina de l’Unità quando morì. In quegli stessi anni in cui si formava la mia coscienza di adulto, attraverso l’educazione familiare e lo scoutismo consolidavo le mie convinzioni di credente su principi che non escludevano la partecipazione al fermento sociale degli anni Settanta. Tempo dopo, vivendo e lavorando negli Stati Uniti, mi sono ritrovato a curare con il trapianto il fegato decine di veterani del Vietnam che si erano ammalati di epatite durante la guerra. Dai drammatici racconti di quei soldati contro i quali avevo manifestato da ragazzo, e dalle loro sofferenze di uomini, ho compreso meglio le responsabilità della politica, le colpe di governi che non esitano a manipolare la realtà e a privare della felicità le persone che, in genere, aspirano ad una vita serena e onesta.

Il mondo è cambiato negli ultimi quarant’anni con una rapidità sconosciuta in precedenza: nel 1969 esistevano solo quattro computer collegati in una rete tra altrettante università americane. Oggi le persone che accedono a Internet sono più di un miliardo e gli studenti forse non sanno nemmeno cosa sia un poster perché scaricano le immagini dei loro miti dalla rete e le condividono con gli amici su Facebook. Però non è cambiata la loro aspirazione a costruire insieme un mondo migliore.

Mi sono entusiasmato due anni fa quando milioni di persone, studenti e pensionati, lavoratori e casalinghe, in un clima festoso sono scesi nelle piazze italiane per partecipare in prima persona, con il loro voto, alla fondazione del Partito democratico. Fu un’esperienza straordinaria perché nasceva da una sentita esigenza di dare vita ad una grande forza democratica che avesse l’ambizione di governare il paese per modernizzarlo, strapparlo all’assenza di meritocrazia, alla corruzione dilagante, alla paura della diversità, eliminando l’abitudine a spacciare la furfanteria per competitività, ma soprattutto restituendo la speranza, la cui perdita in particolare tra i giovani, è l’elemento di disgregazione sociale più distruttivo che si conosca.

L’originalità dell’idea e la sua audacia risiedevano nella convinzione di voler edificare un partito non funzionale a se stesso e alla propria classe dirigente ma costruito da persone di diversa estrazione e orientato ad ascoltare tutti sui grandi temi della nostra epoca. Un partito in grado di ricreare luoghi di incontro e di discussione, anche accesa: luoghi non per pochi che si riuniscono per parlare del paese ma per molti che vogliono parlare con il paese. Oggi spiace constatare con amarezza che la politica spinge il dibattito pubblico a imputridire su argomenti che nulla hanno a che vedere con le esigenze della società, mentre buona parte della classe dirigente eletta si balocca intervenendo a proposito di vicende irrilevanti o semplicemente fastidiose, chiusi in palazzi dove non giunge l’eco della vita quotidiana.

Dove sono finiti i temi che riguardano la vita di ognuno? Il diritto al lavoro, ad un salario dignitoso, alla casa, la gestione dei rifiuti nelle grandi aree metropolitane, i treni per i pendolari, i cinquecento ospedali a rischio sismico, il milione di persone che ogni anno emigra dal sud per curarsi in un ospedale del nord, gli oltre 200 mila precari di una scuola sempre più povera, la giustizia senza risorse che costringe le persone nel limbo dell’incertezza? In Italia esiste una maggioranza che non vota centro-destra, che non frequenta le feste alla panna montata nei palazzi lussuosi, che si riconosce nei principi della solidarietà e dell’uguaglianza, ma che oggi si sente orfana e disunita in assenza di un interlocutore credibile, di un partito politico che si assuma delle responsabilità e sappia creare le alleanze essenziali per proporsi credibilmente al governo del paese. Non è un ragionamento scontato per me che, sino al 2009, non ho mai posseduto una tessera di partito anche per il disgusto che provavo, e provo, quando apprendo che qualcuno è diventato primario o impiegato all’aeroporto perché il politico giusto ha fatto la telefonata giusta. Eppure, mi sono convinto che la forza organizzata di un grande partito politico possa contribuire a raddrizzare le sorti di un paese zoppicante anche per quel che riguarda il rispetto delle regole democratiche.

Purtroppo, dopo la campagna elettorale del 2008, l’intuizione iniziale si è arrestata di fronte ai limiti o ai timori di un gruppo dirigente che non ha saputo gestire la forza del cambiamento. La reazione è stata la chiusura, l’autoconservazione più che la sfida, in pieno stile gattopardesco, uno stile che oggi mostra tutta la sua debolezza e che rischia di ferire mortalmente quel che resta del progetto. La vicenda del testamento biologico è stata esemplare: la posta in gioco non era solo consegnare una legge laica al paese, attraverso la quale ognuno potesse fare una scelta in base alle proprie convinzioni o alla propria fede. Significava affermare il principio secondo cui uno stato laico deve sempre proteggere i diritti civili con norme che siano davvero rispettose degli orientamenti e della libertà di ciascuno. Non “diritti speciali”, ma diritti uguali per tutti, siano essi gli ammalati, le donne, le coppie di fatto, gli omosessuali o chiunque altro.

Per questo il testamento biologico è stato la cartina di tornasole che ha dimostrato come la maggioranza della nomenclatura ha preferito una falsa unità, solo di facciata, piuttosto che dare una risposta chiara ad uno dei mille interrogativi che la modernità ci pone. E lo stesso accade per molti altri temi. Il Partito democratico ha mai discusso e poi stabilito una linea sull’opportunità o meno di tornare all’energia nucleare quando anche il Nobel per la fisica Carlo Rubbia ci ricorda che non esistono metodi sicuri per smaltire le scorie radioattive? E come si pone nei confronti di un paese nei fatti multietnico ma dove la cultura dell’integrazione è ancora un miraggio? Perché non si parla quasi mai del controllo che la criminalità organizzata esercita su parte delle attività produttive e dunque sull’influenza che ha sull’economia del paese? La mia risposta è netta: l’intuizione è stata giusta ma il percorso è sbagliato e perseverare nell’errore porta al fallimento.

E’ necessario, non per il Partito democratico che io concepisco come strumento, ma per il paese ascoltare le persone, raccogliere le idee migliori, offrire opportunità a chi è pronto ad impegnarsi, favorire meccanismi che diano la certezza che pagare le tasse non significa sovvenzionare lo sperpero del denaro pubblico ma affidare a chi accetta di sottoporsi al pubblico scrutinio le risorse per migliorare la vita di tutti. Le persone che incontro nelle piazze, negli ospedali, nelle scuole, nelle aziende continuano a credere in questi valori, ma vogliono il confronto, chiedono di essere ascoltati perché non si fidano più di un progetto a scatola chiusa proposto da chi ha dimostrato di non essere più al passo con i tempi. I sostenitori del Partito democratico sono stufi, delusi, nauseati dalle incertezze e chiedono posizioni nette e trasparenti dove, come si legge nel Vangelo di Matteo, il sì è sì, il no è no, tutto il resto è del maligno. E se non si trova un accordo, o se vogliamo chiamarla una “mediazione alta”, su un tema specifico, io penso che tutto il partito debba esprimersi liberamente e poi esigere fedeltà alla linea decisa democraticamente dalla maggioranza: è un diritto che gli iscritti dovrebbero rivendicare e poi sarà compito dei dirigenti dirigere e conciliare. Perché se manca questo, manca l’efficacia dell’azione. E tutti sappiamo di quanto sia necessario in Italia abbandonare gli annunci e agire, agire, agire.

Condivido questi sentimenti con moltissimi sostenitori del Partito democratico che in questo momento non si sentono pienamente rappresentati dai leader attualmente in campo e che mi chiedono di impegnarmi in prima persona. Per questo credo che il congresso debba servire soprattutto a fare chiarezza, a raccogliere una sfida e a dimostrare che è possibile cambiare, costruire attraverso il lavoro di persone giovani di spirito e solide negli ideali, appassionate, libere, visionarie ma determinate a far uscire dal tunnel della crisi economica e della mediocrità informe di chi lo governa, un paese conosciuto in tutto il pianeta per la generosità e l’intelligenza del suo popolo.

Prof. Ignazio Marino
chirurgo, senatore Pd

 
 
 

Un saluto e arrivederci al 29 giugno

Post n°250 pubblicato il 18 Giugno 2009 da votattilio2008
 

Prima di andare in vacanza, parto domani e torno il 29, in esclusiva per Attilio, il nuovo inno del Pdl

 
 
 

Per non morire soffocati dal solito scontro Veltroni-D’Alema: il manifesto degli "Incoscienti"

Adesso che il dibattito congressuale l’hanno ufficialmente aperto quelli che dicevano che bisognava attendere l’esito dei ballottaggi, vorrei provare a ragionare sugli schieramenti in campo. E soprattutto vorrei spiegare per quale motivo non solo non mi ci riconosco, ma perché, a mio modesto avviso, serve un lavoro, faticoso e indispensabile al tempo stesso, per provare a sfondare questa cappa che opprime il Pd. Andiamo con ordine.

 

1) La situazione attuale

La situazione è chiara. Tornano in campo gli eterni duellanti. D’Alema da un lato e Veltroni d’altro. Questa volta lo fanno per interposta persona. Tramite due volti “nuovi” che poi nuovi non sono.

Franceschini è stato quello che ha preso in mano il partito dicendo “Ora basta litigare, da oggi in poi decido io”. Ha nominato una segreteria nuova, che era talmente nuova che non è mai (o quasi) stata riunita. E’ nuova, fosse che si rovina, meglio lasciarla incartata.
Le decisioni vere le ha prese ancora una volta con i capicorrente. I soliti Fioroni, D’Alema, Rutelli, Bersani e via dicendo.

Adesso riceve questo soffocante abbraccio di Veltroni, che dopo il silenzio assordante degli ultimi mesi (campagna elettorale compresa, salvo rarissime eccezioni) scopre che deve scendere in campo per salvare il progetto del Lingotto. Si mette la calzamaglia di superuolter e si presenta come la divina provvidenza, convocando le masse per il 2 luglio a Roma. Spero che spiegherà anche per quale motivo, invece di dare la battaglia che pur aveva annunciato contro correnti e capobastone, abbia preferito dimettersi.

Ma superuolter non è un ingenuo, capisce che deve darsi un manto nuovo e allora che ti combina, nel frattempo? Si inventa la Serracchiani. E’ inutile che ci prendiamo in giro. E’ una sua creazione – questa volta discreta, non sfacciata come la Madia – in veste di talent scout. Altrimenti qualcuno mi dovrebbe spiegare perché una che ti fa un discorso sentito mille volte in altrettante riunioni, letto duemila volte su internet, all’improvviso diventa una star mediatica. Il suo discorso esce su youdem, lo riprende Repubblica, spopola in rete, il video su youtube diventa uno dei più cliccati sulla rete. Sarà anche dietrologia, ma poi te la ritrovi in prima fila al revival uolteriano del 2 luglio.

 

Bersani è quello che è, un D’Alema con in più quell’aria bonaria romagnola che fa tanto dirigente paesano del Pci anni ’50. Per darsi una presentabilità dice nel ’94 aveva scritto un documento intitolato Progetto Democratico. In realtà non può e non vuole rappresentare il nuovo, perché la sua “mission” è quella di rassicurare il confuso popolo della sinistra. Tranquilli ci penso io, faccio il segretario, se ne vanno questi fastidiosi rutellidi, ci riprendiamo Vendola e compagna. Ognuno a casa sua, poi magari si fa una bella alleanza con il centro di Rutelli e Casini. Sicuramente più presentabile dell’attuale Udc di Totò Cuffaro (per chi non lo ricordasse condannato per affari attinenti alla mafia). E mi fermo qua senza parlare dell’inquietante intreccio tra affari e politica che caratteri il sistema di potere dalemiano.

Intanto si intrupperà con Letta. E anche qui che c'entrano? Quali sono i programmi comuni?

 

2) L’ennesima sconfitta dei quarantenni

Loro ci hanno provato, poverini, a convincere Nicola Zingaretti che lui poteva rappresentare una novità importante, non il nuovismo finto delle deboreserracchiani, ma un nuovo vero, cresciuto e forgiato sul territorio, impreziosito dalla vittoria alla Provincia di Roma nello stesso giorno in cui Rutelli veniva battuto da Alemanno proprio nella Capitale. Zinga ha detto no. Pubblicamente e ripetutamente. Fino ad arrivare a smentire la sua possibile candidatura con una piccata replica spedita a Repubblica a stretto giro di mail. “Si apra una discussione programmatica”, ha scritto Zingaretti. Salvo poi scoprire, dicono i bene informati, che aveva già chiuso un accordo con Bersani e che alle primarie, nel Lazio, troveremo qualcosa del tipo “Lista Zingaretti per Bersani segretario”.

(A proposito, off topic: che ne dite di scrivere a Nicola per fargli capire che chi lo ha sempre sostenuto questa volta non ci sta? Il titolo, provocatorio, potrebbe essere “Con i talebani mai”. Fatemi sapere).
Quale sia l’affinità programmatica tra chi ha sempre sostenuto che bisogna andare oltre le categorie del Novecento e chi ha non solo le radici, ma anche lo sguardo rivolto proprio a quelle categorie, non è dato saperlo).

Fatto sta che, al momento dei quarantenni si sono perse le tracce, spacchettati, come al solito, fra i due sfidanti che se ne faranno vanto e li useranno, come al solito, per appuntarsi qualche spilletta sulle loro consunte giacchette. Un pezzo di loro farà la sua comparsa il 27 giugno al Lingotto di Torino, ma temo sia soltanto l’occasione per dare fiato e patina alla candidatura di Franceschini. Spero che i cosiddetti Piombini democratici mi smentiscano fragorosamente. Ma ci credo poco.

 

Niente da fare, questa generazione, della quale purtroppo ho la sfortuna di far parte, non ha l’autonomia di pensiero e di azione necessarie per la conquista del Palazzo d’inverno, in sintesi soffre di una cronica mancanza di attributi, le donne come gli uomini, che li porta a elemosinare posizioni e visibilità dal papà di turno. Una sorta di mammismo politico. Non c’è niente da fare è una tara genetica che tende a peggiorare con il diminuire degli anni. In sintesi, quelli nati dalla metà degli anni sessanta in poi… sono senza palle.

 

3) L’urgenza di rompere gli schemi

Lo schemino per il congresso e le successive primarie, insomma, sembra drammaticamente scritto. Franceschini-Veltroni da un lato, D’Alema-Bersani dall’altro. Con buona pace di Marini, Fioroni e tutto l’armamentario ex Dc che credevano di aver vinto un terno al lotto e invece si vedono sfilare sotto il naso il loro candidato. Una bella quota di posti li farà stare più tranquilli.
Questo schemino è del tutto insoddisfacente. Perché tradisce nelle premesse la “ragione sociale” per cui abbiamo dato vita al Partito democratico, cioè fare un partito nuovo che rompesse i recinti angusti di due partiti agonizzanti, per dare una risposta innovativa a questo disastrato Paese. Risposta nuova voleva dire, e c’abbiamo creduto, spazio per i talenti, per le intelligenze, per le competenze. E ci siamo ritrovati i soliti capi e capetti che dettano legge grazie ai loro pacchetti di tessere e di preferenze.

Risposta nuova voleva dire un partito che desse risposte nuove ai nuovi bisogni. E ci siamo ritrovati la Binetti.

Risposta nuova voleva dire un partito che ritrovasse la sua ragion d’essere sul territorio. E ci siamo ritrovati i circoli finti, creati ad arte per dare libero sfogo alle correnti.

Risposta nuova voleva dire un’attenzione nuova al mondo del lavoro. E ci siamo ritrovati la faccina per bene di Colaninno (figlio) e quella cattiva di Marcenaro.
Risposta nuova voleva dire attenzione alle nuove tecnologie per coinvolgere e far partecipare gli iscritti, referendum, spazi di dibattito e di decisione diversi dai tradizioni. E ci siamo ritrovati caminetti, stufe e scaldini. Volevamo un partito che discutesse del futuro del campo progressista, quanto meno a livello europee, ci siamo ritrovati un partito che discute soltanto di come spartire le poltrone fra i soliti noti. E quando le poltrone non bastano ce ne inventiamo sempre delle nuove.

Di questo stato di cose, mi dispiace dirlo, è responsabile anche Veltroni. Non basta dire "non mi hanno fatto fare il partito che volevo". Ed è (più) responsabile anche Massimo D'Alema. Anche qui mi dispiace dirlo: ormai è troppo preso dalle trame quotidiane per poter fare il leader.

Al di là delle frasi di rito, insomma, riproporre questa partita vuol dire  rassegnarsi a un futuro grigio, lontano dai bisogni veri di questo Paese, lontano da quello che sognavamo. Abbiamo bisogno di un pensiero lungo, non di una baruffa per vedere chi fra Uolter e Max conta di più.

 

3) E allora serve il TRE

Serve una candidatura forte, autorevole, che sia nuova davvero e che al tempo stesso dia un segnale forte nella direzione di un’apertura vera alla società civile. Non a quella finta, fatta dalle associazioni create ad arte, dai professionisti della preferenza che si nascondono fattezze vecchie con un abito appena rattoppato.

E al tempo stesso serve un po’ di coraggio, anzi serve un po’ di sana incoscienza, per buttarsi davvero “pancia a terra” in una sfida che potrebbe sembrare impossibile.

Avete letto nei giorni scorsi chi potrebbe essere quello che io chiamo il TRE. Una figura autorevole che ha deciso di aspettare i ballottaggi e che, essendo persona seria e coerente, lo farà davvero. Per questo lo chiamo il TRE e per rispetto non lo nomino.

Conosco le obiezioni: è poco conosciuto, non ha una storia di partito, gli mancano le stellette del generale. Non arriva al 15 cento del voto degli iscritti necessario a superare lo scoglio del finto congresso per arrivare alle primarie.

Intanto: non possiamo chiedere l’innovazione e poi dire che non ha una storia di partito alle spalle. Non serve l’ennesima figura compromessa con un passato costellato di errori e sconfitte. Non serve uno di quelli che ha regalato l’Italia a Berlusconi, né uno della sua personale corte.

E soprattutto non serve il 15 per cento del voto degli iscritti per arrivare alle primarie. Lo statuto parla di 1500 firme e del 5 per cento dei voti. Un obiettivo che, in maniera scaramantica, definirei non irraggiungibile.

 

Quello che serve, lo ribadisco, è il nostro coraggio. Alziamo la testa, per una volta non facciamoci spacchettare. Non cediamo alle sirene che in questi giorni si fanno sentire.

 

Vogliamo il partito della partecipazione, vogliamo il partito dei nuovi diritti. Vogliamo il Partito Democratico. Ce la faremo? Non lo so, ma questa è una di quelle battaglie che vanno combattute comunque. Anche se sarà dura, se useranno contro di noi tutte le armi della vecchia politica.

 

Se quelli di Rutelli si chiamano i Coraggiosi, insomma, noi potremmo chiamarci, senza poter essere smentiti, gli “Incoscienti”. Ma serve anche un pizzico di follia per creare un futuro diverso per la sinistra nel nostro Paese.

 
 
 

Dedicato alle anime belle che girano armate di calcolatrice

 

Come promesso, ecco la seconda nota. buon fine settimana a tutti.

 

Girano nel nostro partito tante anime belle, che fanno gli unitari in pubblico e poi lanciano i macigni e minacciano in privato. E siccome sono notoriamente brutto, sporco e cattivo, a me, invece, le questioni piace dirle in maniera chiara, trasparente. Ai critici che sostengono che dire le cose come stanno danneggia il partito rispondo, come sempre, che il lavare i panni sporchi in famiglia, intanto fa parte di una metalità mafiosa che non mi appartiene, poi diventa del tutto ridicolo nella società della comunicazione. Chi ci fa perdere credibilità e consensi è chi si comporta in un determinato modo, non di chi denuncia quel comportamento.

 

Ma questo è un altro tema.

 

Molti di voi, e molti in maniera anche del tutto sincera, mi hanno criticato nei giorni scorsi come in passato per la mia eccessiva vis polemica (per i talebani, vuol dire che mi incazzo troppo). Vi informo che il tutto deriva da un dato genetico aggravato dalla provenienza geografica (Toscana) e quindi non può essere corretto (chi conosce mio padre non avrà difficoltà a capire). Rivendico però di aver sempre svolto nella mia attività politica una forte azione propositiva. Quando nei mesi scorsi mi sono candidato come coordinatore del Pd in X Municipio, tanto per fare un esempio recente, ho legato la mia candidatura a un preciso programma politico. Scritto nero su bianco e distribuito in assemblee pubbliche. E credo di essere stato uno dei pochi a farlo, in tutta Roma. Che nessuno, o quasi, l’abbia letto prima di votare è un altro dei sintomi del degrado del nostro Partito.

 

L’altra cosa a cui ho sempre tenuto è la libertà di pensiero. Anche qui un esempio chiarisce meglio cosa intendo. Correva l’anno 2001, ero responsabile dell’ufficio stampa del gruppo Ds alla Regione Lazio, capogruppo era Michele Meta. All’epoca anche coordinatore regionale della mozione Fassino insieme a Giraldi. A quel combattutissimo congresso io votai la mozione Berlinguer. Senza tra l’altro, e vorrei attribuirgli pubblicamente questo merito e questa correttezza, che Michele Meta pensasse a farmi qualsiasi forma di pressione. Una cosa è il lavoro, che credo di aver sempre svolto con la dovuta riservatezza e professionalità, un’altra è l’impegno politico che va svolto senza tener conto né di quello che pensa il tuo capo, né, tanto meno, dei possibili benefici che potresti avere da questo o quel comportamento.

 

Terzo punto, la campagna elettorale. Io, come molti altri, ho fatto campagna elettorale per il partito. Faccio notare alle anime belle che nel nostro territorio sono state organizzate quattro iniziative di questo tipo. La prima, al tennis club Garden, organizzata dai circoli di Capannelle, Anagnina, Cinecittà Est e Morena. Altre tre (in piazza per la miseria, riprendiamoci le piazze e i mercati come luogo della nostra iniziativa) organizzate dai circoli Capannelle e Anagnina che hanno messo in piedi una sorta di piccola festa de L’Unità itinerante. A queste iniziative sono stati invitati tutti i candidati del Pd ed è stata fatta propaganda per il voto al Pd. La quarta organizzata dal coordinatore e dalla segreteria del Pd del X Municipio, a largo Appio Claudio, c’erano quattro gatti e si distribuivano i santini dei candidati del coordinatore, ma questo fa parte delle miserie umane.

Per chi non lo sapesse sono iscritto al circolo del Pd di Capannelle.

 

Per organizzare queste iniziative mi sono preso le ferie, ho rinunciato a ore di straordinario, ho fatto ore in meno che dovrò recuperare pena la decurtazione dello stipendio. Vorrei sapere se chi ha fatto il galoppino elettorale di questo o quel candidato lo ha fatto con lo stesso metodo oppure ha potuto usufruire di permessi, servizi esterni e via dicendo, grazie alla benevolenza del suo datore di lavoro. Ricordo che chi lavora nelle segreterie di assessori, presidenti del consiglio provinciale e via dicendo è un dipendente pubblico a tutti gli effetti e viene pagato dalla collettività al pari mio, dipendente pubblico in seguito a un concorso vinto (chi fa commenti su questo sappia che sarà denunciato).

 

Detto questo, per la parte relativa alle preferenze, ho sostenuto – e sfido chiunque a dire il contrario – i candidati democraticamente decisi dal direttivo del mio circolo: Cioffredi, De Angelis, Milana. Abbiamo fatto (da soli) il materiale con le tre preferenze e queste abbiamo sostenuto. Provocando, a quanto mi dicono, anche parecchie proteste. Perché gli accordi presi a livello centrale erano rigidamente a coppia (Cioffredi De Angelis da un lato Gualtieri Milana dall’altro) e non era possibile fare cose diverse. Che volete, noi a Capannelle siamo parecchio strani. C’è stato addirittura chi, ma in questo caso trattasi di sottospecie talebana non dotata di intelletto, ha sostenuto che noi non potessimo sostenere la candidatura di Guido Milana. Come se fosse di un altro partito.

 

In campagna elettorale ho difeso questa scelta. Prima il partito, poi, in seconda battuta, queste tre preferenze. Ho polemizzato – e lo rivendico – con chi presentava programmi di un candidato prima di quello del partito e soprattutto con chi vedeva nelle elezioni europee una maniera per regolare i conti interni a suon di preferenze. Il motivo non lo ripeto, perché chiunque dotato di intelligenza minima dovrebbe capire che la cosa importante sono i voti presi dal Pd e non le preferenze. Il dato evidente a tutti l’8 giugno è stato il 26,1 per cento e non certo quanti voti aveva tizio rispetto a caio.

 

Dopo le elezioni, a chi mi aveva lanciato fini messaggi del tipo: “Bella rega’, tanto poi famo i conti l’8 giugno”, ho fatto notare che mi interessava di più parlare della disfatta del Pd che del successo di questo o quel candidato. E che se, malgrado questo, si volevano fare i conti, i conti si fanno sulle cifre. Le cifre, nel Lazio sono chiare. L’ordine di arrivo è Sassoli, Costa, De Angelis, Milana, Gualtieri. Punto. Altre valutazioni hanno la precarietà tipica di chi si arrampica su specchi unti abbondantemente di sugna.

 

Mi sono incazzato, e non poco, quando ho letto della marronata del capobanda romano dei talebani che, sui giornali, ha dichiarato che il voto romano indica una ripresa del Pd. Se il dieci per cento in meno è una ripresa, quando perdiamo il 5 cento cos’è, un trionfo inaspettato?

 

Di fronte a questo, diverse anime belle mi hanno detto che non sono costruttivo, che così non si fa il bene del partito. E poi in privato mi hanno spiegato che adesso andavano riaperti i conti sul regionale, mentre, per rimanere al territorio, nel X Municipio i conti erano stati chiusi dalle preferenze e che al congresso di ottobre ci avrebbero spazzati via. La natura del “ci”, visto lo stato attuale di confusione è del tutto misteriosa.

 

C’è stato perfino chi ha difeso il presidente del consiglio municipale del X Municipio (dicono iscritto al Pd) che ha fatto il rappresentante di lista (in quindici seggi) per il centro destra. Quelli più idioti si dichiarano addirittura conniventi di questi fatti. Una sorta di associazione a delinquere.

 

Tutte costruttive, le anime belle, mi hanno invitato al confronto delle idee. E io ci sono pure cascato, mi sono giustificato. Mi sono detto “avranno ragione, probabilmente sbaglio io”. Anche perché lo hanno fatto anche persone come Roberto Ceccarelli e Claudio Poverini che, al contrario degli altri, sono in buona fede.

 

Poi leggo che sei consiglieri del XIII Municipio, il giorno dopo le elezioni, hanno chiesto le dimissioni di Paolo Orneli da capogruppo. Motivo: le preferenze prese dalla coppia da lui sostenuta (Cioffredi De Angelis) non sarebbero proporzionate al peso che la componente Bettini Zingaretti ha in XIII Municipio

 

C’è di più, l’ex segretario regionale della sinistra giovanile, Giorgio Fano, su Facebook scrive: “Ora diamo una bella pulita anche al partito romano e regionale, anche se gia` una bella passata gliel`abbiamo data il 6 e 7 giugno!”. C’è chi, come il buon Quattrocchi, parla di buldozer da usare per asfaltare la corrente avversaria nel Pd. Occhio che l’asfalto è parecchio caldo.

Il tutto unito a giudizi sommari e offensivi verso Nicola Zingaretti e Roberto Morassut. Il quale Morassut, magari non mi starà neanche particolarmente simpatico, ma è l’unico che a Roma e nel Lazio abbia provato se non altro a sentire i circoli, a fare l’opposizione ad Alemanno, a far produrre materiale del partito da distribuire ai circoli. Del coordinatore provvisorio della Federazione di Roma nessuno parla. Scusate, scordavo che a Roma abbiamo vinto.

 

Salendo di livello si rivendicano assessorati regionali, presidenze del consiglio regionale, presidenze di società pubbliche. Ovviamente, siccome loro sono costruttivi, di tutto ciò si dovrà discutere, in base alle preferenze, soltanto dopo i ballottaggi. Intanto però lo diciamo sui giornali. Così, di sfuggita, tanto per dire qualche cazzata.

Altro che doppia morale. La morale vera è: voi dovete stare zitti, noi possiamo dire quello che ci pare perché siamo intoccabili.

 

Me cojoni, mi sono detto.

 

Allora mi sono messo a fare i conti. Nelle elezioni del coordinamento municipale del X ho preso il 38 cento dei voti. Dopo, negli incontri con il coordinatore municipale, il talebano Giulio Bugarini (segreteria assessore Mancini) non ho chiesto né posti in municipio né nella segretaria del Pd. Ho chiesto un luogo dove poter condividere la linea del partito. Ovviamente questo luogo non esiste, la linea del partito manco. Decide tutto il vero leader locale del Pd, il presidente Sandro Medici.

 

Poi ho ragionato sulle preferenze. Questo sono, a quanto risulta al Comune di Roma l’inappellabile responso dei seggi sui candidati del Pd, i principali, nel X Municipio: Sassoli 10737, Costa 3271, Milana 3187, Gualtieri 3146,  Cioffredi 1444, Mori 1312, Laurelli 1291, De Angelis 1291.

 

Posto che da noi c’erano due assi contrapposti uno fra popolari lato Costa, lettini, talebani e rutellidi (reggerà quest’asse? Mah?) l’altro costituito da sinistra (Cioffredi) e bettinidi (Cioffredi De Angelis) anche se si tratta di operazione da cui perdiamo qualcosa (io ho sostenuto e votato Cioffredi De Angelis Milana, lo ricordo) per calcolare il peso di ciascun asse basta sommare il numero delle preferenze e fare le percentuali. Facciamo pure che tutte le preferenze prese dalla Costa abbiano valenza locale e tutti sappiamo che non è proprio così. Ma ci metto tutti. Spero che siamo tutti d’accordo nel non attribuire ad alcuno le preferenze del capolista.

 

Allora il totale è questo:

Costa-Milana-Gualtieri: 9604

Cioffredi-De Angelis-Laurelli: 4026

Mori: 1312

 

Le percentuali relative sono:

Popolari lato Costa+rutellidi+talebani = 64%

Bettinidi+Sinistra= 26%

Popolari lato Mori= 8%

 

Ore nel nostro Municipio la situazione è questa:

assessori: due talebani, un popolare lato Costa. Capogruppo: talebano (dice di essere super partes ma non ci crede manco lui), presidente del consiglio municipale: rutellide (dice lui, ma fra qualche mese tornerà a casa Battaglia), vice presidente: neo talebano. Commissioni consiliari: 1 rutellide, una talebana, una sinistra, 1 lettino, 1 Udc (che volete fare essendo stravaganti abbiamo cercato di comprare un pezzo dell’opposizione, ma l’operazione non è un granché riuscita. Vota a favore solo quando sono cose proposte da lui).

 

Pd: coordinatore talebanissimo, vice coordinatore popolari lato Costa, segreteria: tutta fra loro, saranno una decina abbondante.

Bisognerebbe aggiungere che il presidente del Municipio, a parole di estrema sinistra, più a sinistra di Fidel Castro e dei centri sociali di tutta Italia messa insieme, è in realtà più talebano di Mancini, Marroni e Latino sommati fra loro.

 

Insomma le percentuali delle cariche, facendo il semplice conto all’ingrosso senza attribuire nessun peso, è questa: talebani+rutellidi+popolari lato Costa+lettini = 11 pari al 91.66 per cento

Resto del mondo= 1 tendente allo zero. E quell’uno è rappresentato dalla prsidenza di una commissione consiliare. Per di più sempre scavalcata quando si tratta di questioni “riservate” a pochi sodali come l’assegnazione di spazi pubblici nel X Municipio.

 

Depurando i dati dai voti personali si può dire, realisticamente che nel Pd del X Municipio circa il 35 per cento è rappresentato da bettinidi+sinistra, 25 per cento talebani, 30 per cento rutellidi, 8 per cento popolari lato Costa, 5 per cento popolari lato Mori, 2 per cento lettini. E’ una valutazione personale ma credo si avvicini molto alla realtà. Basta considerare i voti personali della Costa e la scarsa attitudine a chi viene da una cultura “vecchio Pci” a chiedere il voto di preferenza. Eccetto i talebani che ormai possono dare ripetizioni a tutti gli altri. E c’è da ribadire che l’asse con i rutellidi non si sa quanto possa tenere in futuro perché da noi, potrà sembrare strano, sono brave persone.

 

Stando così le cose, come “rappresentante” della minoranza uscita dall’elezione del coordinatore municipale dovrei chiedere un riequilibrio immediato. Come minimo a noi tocca: un assessore, il vicepresidente del consiglio, il vice coordinatore municipale. Come minimo.

 

Questa è la logica delle anime belle che fanno discorsi costruttivi in pubblico e si presentano con la calcolatrice di ultima generazione alle riunioni a porte chiuse.

 

Dovrei farlo, ripeto, anche per rispetto alle tante persone che hanno seguito un percorso insieme a me dalla nascita del Pd e che hanno il diritto di essere rappresentate.

 

Dovrei farlo, ma non lo faccio, perché io con questa immondizia che sta affossando il progetto del Pd non ci voglio entrare manco di striscio. Ci tengo all’etica, alla questione morale, alle idee. Ho bisogno di guardarmi allo specchio senza vomitare nel lavandino. Sarò strano, ma i miei genitori prima, Enrico Berlinguer poi, mi hanno insegnato a essere così.

 

 
 
 

Il voto e il congresso

Vi annoio due volte oggi: la prima è questa nota che rappresenta una rielaborazione della precedente. Ho inviato queste misere riflessioni ai "piombini democratici" come contributo al convegno che stanno organizzando al Lingotto.

Fra poche ore, invece, vi annoierò con una notarella più stronza a proposito delle anime belle.

1) Il voto

4.416.676. Sono i voti che il Pd ha preso in meno questa volta rispetto alle politiche dell'anno scorso. Se vediamo la distribuzione territoriale dei voti ci rendiamo conto quando il Pd regga soltanto in quelle che una volta venivano chiamate Regioni rosse. E anche lì si regge appena. In Emilia la lega sfonda la barriera che la vedeva da sempre confinata nelle Regioni del Nord. Prende voti anche in Toscana, perfino alle amministrative, segno di un radicamento che cresce. Segno che può spendere candidati credibili, che conoscono il territorio. Prende perfino un seggio alle europee nella circoscrizione Italia centrale. Mai successo prima.

Il Pdl è primo partito nelle Marche, in Umbria. Nel Lazio se sommiamo i voti di Pd, Idv e Udc (sempre che siano sommabili) non arriviamo alla somma dei voti del Pdl.
A Roma il Partito democratico perde quasi il 9 e mezzo per cento dei voti rispetto alle politiche. Nel Lazio quasi il 7.

E poi c'è quella cifra lì che fa paura. 4.416.676. Una volta le vittorie e le sconfitte, prima che sulle percentuali, si valutavano su quella cifra lì, quella dei voti assoluti. Perché ti danno una percezione netta: quella cifra ti dice quante persone in più o in meno hai convinto, non la percentuale di quelle che sono andate a votare. E' importante perché l'astensionismo è un altro sintomo di sfiducia che ha penalizzato molto il Pd. La Lega, tanto per dire, non ha risentito dell'astensionismo.

A Roma, vexata questio, perdiamo 287.110 voti. Vale a dire che il 41 per cento delle 690.340 persone che ci aveva scelto un anno fa non ha rinnovato la sua fiducia al Partito democratico.

Perdo un attimo per rispondere a chi dice che il confronto non si può fare con le politiche di un anno fa perché allora c'era il voto utile. C'era anche adesso. Sapevano tutti che né Sinistra e Libertà né Rifondazione avrebbero raggiunto la soglia del 4 per cento utile a prendere seggi. Né ci si può appellare alla presenza in lista dei radicali, un anno fa. Fino a ieri eravamo tutti concordi nel dire che i Radicali non ci avevano portato un voto, perché il loro è in gran parte un voto di opinione. Anzi, quelli che adesso per alleviare la portata della sconfitta si appellano a Pannella e Bonino, erano quelli che fino a qualche giorno fa ci spiegavano che la presenza dei radicali in lista aveva allontanato dal Pd buona parte del voto cattolico.

Né si può dire che i sondaggi fino a poco tempo fa ci davano al 21 per cento. E' falso. Sappiamo tutti che i sondaggi ci hanno dato sempre intorno al 25 per cento, con punte vicine al 30 per cento quando abbiamo fatto il Pd (ad esempio in occasione della straordinaria manifestazione del Circo Massimo) salvo che in un periodo ben preciso: dopo le dimissioni di Veltroni, quando precipitammo al 22 per cento.

Ora sia ben chiaro, sono tra quelli che credevano e che credono ancora nel progetto del Partito democratico. In quello illustrato da Veltroni (non è una parolaccia si può dire anche due volte nella stessa nota). A quel progetto hanno dato fiducia 12.424.530 italiani. Poi di quel progetto si sono perse le tracce.

Un anno fa ci dicemmo che quel 33,2 per cento era la base da cui ripartire per costruire un progetto diverso per l'Italia. Adesso la base è diventata il 26,1 per cento.

Il problema è come e quando ripartire. Come tornare in campo davvero, come essere percepiti come un'alternativa credibile per governare il Paese.

2) Quale partito e come ripartire

Occorre una netta discontinuità che non può essere rappresentata né da Franceschini né, tanto meno da Bersani. Serve che scenda in campo la “generazione democratica”, una generazione non invischiata nelle beghe del passato, che guarda il futuro e non al secolo scorso.
Intanto il Pd non può essere il partito che unisce semplicemente il campo cattolico progressista e il campo della socialdemocrazia. Sono categorie, lo ribadisco, che appartengono al secolo scorso. E la sconfitta, uniforme in tutta Europa, del Pse non fa che confermare la crisi profonda del modello socialdemocratico. Negli anni scorsi la crisi di “senso” del campo progressista è stata mascherata da Tony Blair in Inghilterra e da Zapatero in Spagna. Ma anche il new labour è stata una risposta difensiva, ha rappresentato un arretramento sul campo dei diritti e del lavoro. E si tratta comunque di “stelle” basate più sul carisma delle persone che su un progetto politico complessivo.

Per questo il congresso del PD di ottobre non è un appuntamento qualunque che possa essere liquidato da un accordo del cosiddetto caminetto. Un metodo che ci fa perdere da 20 anni. Un metodo che garantisce soltanto pezzi di potere. La stessa candidatura di Deborah Serracchiani come vicesegretaria di Franceschini appare più come una foglia di fico che come reale rinnovamento. La generazione dei quarantenni e dei trentenni deve avere ben chiaro che serve una battaglia per scalzare il vecchio. Non bastano le cariche generosamente elargite per fare un partito nuovo.

Un partito nuovo che, a mio avviso, non può che rilanciare la sfida progressista: serve il partito dei diritti. Questa è la nuova frontiera su cui possiamo tornare a dare battaglia alla destra. In un momento di ripiegamento, in cui sembrano vincere gli egoismi e la protezione di un proprio spazio messo sempre più in discussione, la risposta non può essere la semplice difesa dell’esistente. Dobbiamo rilanciare sui temi dell’immigrazione, delle scelte etiche, dei nuovi lavori.

Mi permetto di suggerire, infine, tre punti su cui basare una battaglia congressuale

1) Azzeramento della classe dirigente dalle federazioni in su
Nella grande maggioranza dei casi si tratta di dirigenti che derivano da una rigida spartizione correntizia. Il messaggio di rinnovamento che aveva lanciato Veltroni al lingotto non è riuscito a entrare in profondità nel nostro partito. Dunque candidati “liberi” a tutti i livelli. Candidati che non lavorano nella segreteria del parlamentare o del consigliere regionale di turno. E direi anche divieto di ricoprire incarichi esecutivi nel partito a livello regionale e federale per i parlamentari e i consiglieri regionali.

2) Dare centralità ai circoli, oggi semplice cinghia di trasmissione delle correnti.
I circoli devono diventare i titolari dell’azione politica sul territorio. Oggi, troppo spesso, sono il “regno personale” di questo o quell’esponente politico locale. A Roma, dove oltre al Comune abbiamo un’ulteriore divisione amministrativa, costituita dai municipi, rappresentano troppo spesso il territorio di caccia del consigliere municipale di zona.
Il partito degli eletti, insomma, è più che una realtà. Si supera e si sconfigge se si danno voce e poteri ai circoli. Referendum sui temi rilevanti, rispetto rigoroso del codice etico, periodicità obbligatoria nella riunione degli organismi dirigenti locali, uso della rete per la diffusione delle informazioni e come strumento di dibattito permanente. Su questa strada si esce dalla logica dei caminetti e si costruisce un partito davvero democratico.

3) Un congresso vero, dove non si contano le persone, ma si confrontano opzioni politiche alternative.
Il nostro Statuto, purtroppo, prevede non tanto un congresso, quanto una semplice “pre-conta”, cioè un posizionamento dei diversi candidati alla segreteria nazionale prima delle primarie aperte a cui viene data l’ultima parola. Se tutto ciò non è preceduto da una discussione sull’identità del Pd, sui valori, sulle risposte che dobbiamo dare a una società sempre più impaurita, tutto ciò rischia di essere inutile.

 
 
 

Per la serie "ho la faccia come il Mancini"

"Non vedo particolari fibrillazioni nel partito romano, perché qui abbiamo tenuto e in una situazione di difficoltà generale il risultato è positivo. Le opposizioni assommano il 57 per cento, il centrodestra non ha sfondato. Alemanno pur avendo il Campidoglio e i soldi del governonon è andato oltre la soglia del Pdl. La flessione nazionale del Pd è stata più alta rispetto a Roma, ma anche più contenuta rispetto ai sondaggi che davano disfatta".
Leggendo queste parole, mi sono chiesto quali dati abbia consultato Umberto Marroni. Per i molti che lo sanno visto che da un anno si fa gli affari suoi invece che fare opposizione alla giunta Alemanno, trattasi del capogruppo del Partito Democratico in consiglio comunale. Famoso per aver spaccato il Pd indicando per il Cda di Acea non il nome indicato dal gruppo, ma quello indicato da D'Alema.
Il Pd, a Roma, dalle politiche a oggi perde oltre 287 mila voti pari al 41 per cento degli elettori che ci avevano scelto un anno fa.
La cifra che attribuisce il capo dei talebani romani alle opposizioni si ottiene somando i rappresentanti dei centri sociali non solo al Pd e all'Idv, ma anche all'Udc. Una coalizione che magari sarà anche quella del futuro, ma che, allo stato attuale, non ha senso politico. Io, ad esempio, avrei grossi problemi a votare un partito alleato di quel Totò Cuffaro noto alle cronache per i suoi baci ai mafiosi.
La verità è che Marroni si sente euforico per l'elezione del suo collega Gualtieri, fino a ieri noto solo per aver contribuito alla scrittura di quel coacervo di incredibli puttanate noto come manifesto di Orvieto.
D'Alema ha battuto in lungo e in largo il Lazio, hanno fatto un'alleanza politicamente incredibile con i rutellidi, noti per avere la visione opposta sul Pd rispetto a D'Alema, si sono accollati anche il pluriprefernziato Di Stefano (un uomo da 14 mila preferenze) e alla fine sono riusciti a spuntare un sesto posto che non ha precedenti nella storia romana. Sono arrivati ultimi, ma sono ufficialmente molto contenti. Le cronache, in realtà narrano si riunioni furibonde, di notevoli incazzature. A leggere i giornali più accreditati con i talebani, alla vigilia delle elezioni, infatti, Gualtieri se la doveva battere con Sassoli. In effetti li separano soltanto alcune centinaia di migliaia di preferenze.
Ma che volete fare loro sono fatti così: sono ottimisti e buontemponi, gli basta aver eletto Gualtieri, dei 280 mila elettori in meno non gliene frega niente.
Fanno il paio con il Milana segreterio della federazione romana del Pd. Tutto contento per il successo del suo ominimo, nel Lazio arrivato quinto, poco sopra il talebano con cui aveva costituito una "coppia di fatto" (l'infausta definizione è sua). Dicono che si aggiri per le aule Parlamentari tutto soddisfatto.
Il Pd romano non esiste. Non sono riusciti neanche a far arrivare i manifesti con i simboli ai circoli, a stento la federazione ha prodotto uno striminzito volantino, ma a lui interessano soltanto le preferenze
Ultima notazione: faccio notare sommessammente che nel X Municipio, dove gli amici di Marroni hanno il cento per cento dei posti, il centro sinistra, posto l'Italia dei Valori sta all'opposizione, assomma (usiamo gli stessi termini dl loro capobanda così capiscono anche i talebani) il 44.92 per cento. Contenti voi...

Ps: vorrei segnalare all'augusta commissione federale di garanzia, che un personaggio si aggirava per i seggi di Statuario, Capannelle e Quarto miglio accreditandosi come rappresentante di Lista dei Liberali Democratici per Melchiorre. Trattasi del presidente del consiglio municipale, tal Rocco Stelitano, pare iscritto al Partito Democratico, nonché presidente del consiglio munipale, già noto alle cronache per aver, diciamo così per essere leggeri, distolto dei fondi destinati all'allora sezione Ds, nonché per avermi preso (colpa mia per l'amor di Dio, non mi sono spostato in tempo) preso a capocciate. E' lecito che un rappresentante del Pd (pare) nelle istituzioni rappresenti alle elezioni una lista di destra? Oppure ha una qualche forma di imunità, una sorta di lodo Alfano ad personam?

 
 
 

Zingaretti, "No a deriva autoconsolatoria del Pd"

Post n°245 pubblicato il 09 Giugno 2009 da mik154
 

"Non sono d'accordo con la deriva autoconsolatoria che si è aperta nel Pd. Come ho già ribadito le forze di centrosinistra in tutto il Lazio e specialmente nella
provincia di Roma registrano passi in avanti. A Roma, per esempio, la coalizione che sostiene la mia Amministrazione a palazzo Valentini ha raggiunto il 53%, mentre quelle che formano la maggioranza in Campidoglio solo il 40%".
Lo dichiara in una nota il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti.
"È innegabile, però, che il Pd abbia perso voti - aggiunge Zingaretti - Un dato ancor più grave se si considera che il Pdl, soprattutto a livello nazionale, ha fatto registrare una perdita sensibile. Non siamo quindi stati, come Pd, in grado di recuperare i consensi persi dalla destra".
"Ora tutti pancia a terra per vincere i ballottaggi, ma poi sarà necessario che il Pd, a ogni livello, si interroghi - conclude Zingaretti - e cominci a prendere atto che ha subito una
sconfitta e che molti dei nostri voti sono andati ai nostri alleati. È necessario recuperare un dialogo con le forze produttive delle città e con i ceti più popolari. Il Pd deve essere tra la gente con dirigenti giovani, autorevoli e con la volontà di mettersi in gioco". 

 
 
 

Quattromilioniquattrocentosedicimila seicentosettantasei

Post n°244 pubblicato il 09 Giugno 2009 da mik154
 

4.416.676. Sono i voti che il Pd ha preso in meno questa volta rispetto alle politiche dell'anno scorso. Se vediamo la distribuzione territoriale dei voti ci rendiamo conto quando il Pd regga soltanto in quelle che una volta venivano chiamate Regioni rosse. E anche lì si regge appena. In Emilia la lega sfonda la barriera che la vedeva da sempre confinata nelle Regioni del Nord. Prende voti anche in Toscana, perfino alle amministrative, segno di un radicamento che cresce. Segno che può spendere candidati credibili, che conoscono il territorio. Prende perfino un seggio alle europee nella circoscrizione Italia centrale. Mai successo prima. Il Pdl è primo partito nelle Marche, in Umbria. Nel Lazio se sommiamo i voti di Pd, Idv e Udc (sempre che siano sommabili) non arriviamo alla somma dei voti del Pd.
A Roma il Partito democratico perde quasi il 9 e mezzo per cento dei voti rispetto alle politiche. Nel Lazio quasi il 7.

E poi c'è quella cifra lì che fa paura.  4.416.676. Una volta le vittorie e le sconfitte, prima che sulle percentuali, si valutavano sulla quella cifra lì, quella dei voti assoluti. Perché ti danno una percezione netta: quella cifra ti dice quante persone in più o in meno hai convinto, non la percentuale di quelle che sono andate a votare. E' importante perché l'astensionismo è un altro sintomo di sfiducia che ha penalizzato molto il Pd. La Lega, tanto per dire, non ha risentito dell'astensionismo.

A Roma, vexata questio, perdiamo 287.110 voti. Vale a dire che il 41 per cento delle 690.340 persone che ci aveva scelto un anno fa non ha rinnovato la sua fiducia al Partito democratico.

Perdo un attimo per rispondere a chi dice che il confronto non si può fare con le politiche di un anno fa perché allora c'era il voto utile. C'era anche adesso. Sapevano tutti che né Sinistra e Libertà né Rifondazione avrebbero raggiunto la soglia del 4 per cento utile a prendere seggi. Né ci si può appellare alla presenza in lista dei radicali, un anno fa. Fino a ieri eravamo tutti concordi nel dire che i Radicali non ci avevano portato un voto, perché il loro è in gran parte un voto di opinione. Anzi, quelli che adesso per alleviare la portata della sconfitta si appellano a Pannella e Bonino, erano quelli che fino a qualche giorno fa ci spiegavano che la presenza dei radicali in lista aveva allontanato dal Pd buona parte del voto cattolico.

Né si può dire che i sondaggi fino a poco tempo fa ci davano al 21 per cento. E' falso. Sappiamo tutti che i sondaggi ci hanno dato sempre intorno al 25 per cento, salvo che in un periodo ben preciso: dopo le dimissioni di Veltroni, quando precipitammo al 22 per cento.

Ora sia ben chiaro, sono tra quelli che credevano e che credono ancora nel progetto del Partito democratico. In quello illustrato da Veltroni (non è una parolaccia si può dire anche due volte nella stessa nota). A quel progetto hanno dato fiducia 12.424.530 italiani. Poi di quel progetto si sono perse le tracce.

Un anno fa ci dicemmo che quel 33,2 per cento era la base da cui ripartire per costruire un progetto diverso per l'Italia. Adesso la base è diventata il 26,1 per cento.

Il problema è come e quando ripartire. Come tornare in campo davvero, come essere percepiti come un'alternativa credibile per governare il Paese.

Apro una parentesi, davvero a forza, sulla questione delle preferenze e di chi ha vinto o meno fra le correnti romane. Abbiamo scoperto che la somma fra rutellidi, talebani e lettiani (di stefano non va dimenticato) con qualche accordo locale con i popolari della Costa, pesa di più dei bettinidi, che da soli sostenevano la coppia Cioffredi - De Angelis. Complimenti. Intorno a noi crolla tutto, ma noi pensiamo a contarci fra di noi. Cosa sacrosanta, sia chiaro, ma quando avviene su opzioni politiche diverse, su progetti politici. E invece, secondo i nostri amici democratici, si si conta alle elezioni. Quando l'avversario dovrebbe essere fuori dal partito. Mi spiegate come si può sostenere l'alleanza fra talebani e rutellidi che hanno due visioni opposte sul Pd? Misteri democratici.

Anche in questa situazione, comunque, nel Lazio De Angelis, il candidato che fra i due era stato designato a essere eletto, prende sostanzialmente lo stesso numero di preferenze della coppia di fatto Milana Gualtieri. A Roma, a guardare le preferenze i bettinidi da soli rappresentano circa il 35 per cento del Pd. 

Ma interessa davvero a qualcuno 'sto giochetto?  A me francamente no. Vorrei poter tornare a parlare del PD che voglio contribuire a costruire, ripartendo dal basso.

Primo punto: 

1) azzeramento della classe dirigente dalle federazioni in su

2) dare centralità ai circoli, oggi semplice cinghia di trasmissione delle correnti

3) per fare questo serve un congresso vero, dove non si contano le persone, ma si confrontano opzioni politiche alternative.

Questo volevo dire. E adesso sosteniamo i democratici impegnati in ballottaggi importanti.

 
 
 

Io voto Pd, senza se e senza ma

Sono in tanti, in questi giorni, a chiedermi perché sono così ancora tenacemente affezionate al progetto del Partito demcoratico. La risposta è semplice: perché sono pervicacemente affezionato alla democrazia nel nostro paese. Molto affezionato.
E credo, senza toni allarmastici, senza gridare alla dittatura, che la fase prossima del berlusconismo sia quella della creazione di un nuovo modello stato, basato su maggiori poteri all’esecutivo. E di conseguenza sulla riduzione del peso del Parlamento.A questo punta la campagna durissima e purtroppo straordinariamente efficace che Berlusconi ha lanciatonegli ultimi mesi. Quando dice che il parlamento è sostanzialmente inutile, fa appello alla pancia dell’elettorato. In particolare del suo elettorato, quello più sensibile al tema: “So’ tutti uguali, è tutto un magna magna”. E vuole arrivare non tanto a una riduzione del numero dei parlamentari, tra l’altro difficilmente ottenibile da un voto del parlamento stesso, sarebbe come chiedere al vitello di suicidarsi per metterci a disposizione la cena. Vuole arrivare a un netto rafforzamento dei poteri del presidente del consiglio, trasformando di fatto l’Italia in una repubblica presidenziale. Il che non è un golpe, non è autoritarismo. Niente di tutto questo. Ci sono fior di stati democratici che hanno simili forme di governo.Semplicemente noi siamo per la Repubblica parlamentare, non ci piacciono le forme verticistiche, basate sul potere a un uomo solo. Sempre meglio avere un sistema bilanciato, fatto da più poteri che si equilibrano a vicenda.
Per questo voto Pd in maniera più che convinta. Perché soltanto un grande partito di opposizione può contrastare il disegno di Berlusconi. E tanto più forte sarà il Partito democratico l’8 giugno, tanto più difficile sarà una riforma della Costituzione decisa a colpi di maggioranza.Il Paritito democratico ha stentato nell'anno e mezzo che ormai ci separa dalle primarie del 14 ottobre a oggi. Non è stato colto il significato di quel 33.2 per cento di italiani che ci ha dato fiducia alle elezioni politiche.

In una situazione di oggettiva difficoltà, un terzo degli italiani ha detto che credeva nel progetto del Pd. Non abbiamo colto, lo ribadisco questo dato, e abbiamo passato un anno in cui mentre Veltroni prima e Franceschini poi provavano a costruire il Pd, altri dirigenti cercavano di demolirlo pezzo a pezzo.Eppure il Pd resta l'unico argine, al momento, al centro destra e, ancora di più resta l'unica speranza di costruzione di una credibile alternativa di governo. Per questo sabato e domenica serve un segnale forte, sia la Paese che allo stessa classe dirigente del Pd. Il nostro popolo ci vuole uniti e lo deve dire ad alta voce, con una bella croce sulla scheda.Nell’ambito dei candidati del Pd nell’Italia centrale, infine, ho deciso di sostenere Gianpiero Cioffredie e Francesco De Angelis. Duecandidati con profili diversi, che vengono da esperienze politiche e di volontariato assolutemante differenti, come potete vedere dai loro siti. Ma che hanno in comune il fatto che credono nel progetto del Partito democratico. Sarebbe, a nostro avviso, ben strano, infatti. Votare Partito democratico e dare la prederenza a chi, dall’elezioni politiche in poi, ha solo lavorato per distruggerlo. Il mio circolo, all'unanimità, ha deciso di indicare come terzo nome, quello di Guido Milana, altro candidato credibile, che ha ben guidato il consiglio regionale in questi anni.Ma la preferenza, per me viene dopo, la cosa importante è il voto al PD. Fate girare il materiale via mail, mandate sms, fate da cassa di risonanza. Usiamo i mezzi che abbiamo a disposizione, anche in queste ultime ore pche ci separano dal voto. Ricordate a tutti come si vota e gli orari, strani per le nostre abitudini.
Trovate tutte le informazioni necessarie sul fac simile della scheda elettorale.

 
 
 

Alle europee vota PD e scrivi Cioffredi - De Angelis - Milana

Post n°242 pubblicato il 21 Maggio 2009 da votattilio2008
 

Il coordinamento del circolo Pd Capannelle, all'unanimità, ha deciso di sostenere tre candidati: Gianpero Cioffredi, Francesco De Angelis, Guido Milana

Clicca qui per scaricare il Fac-Simile della scheda

 
 
 
 
 

VIVI IL PD - CAMBIA L'ITALIA

 

 

INTERVENTO ALL'ASSEMBLEA DEI CIRCOLI DEL PD

 

 

 

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I lettori più avvertiti l'hanno già capito da tempo, ma quelli che rivestono cariche pubbliche, si sa, tendono ad avere più difficoltà: questo non è un blog del Partito democratico o di un suo circolo, ma uno spazio libero che ospita gli sproloqui di un pericoloso criminale:  Michele Cardulli, 40 anni, giornalista, militante del Pd, libero sproloquiatore, nonché teppista della parola.
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