Passi incerti…

Bianco di anima, raggiunsi l’infame.

Con cappello alto e fare elegante egli aspettava al molo,secondo gli accordi presi con mio padre.

Quel povero vecchio,con gli arti oramai in sfracelo, le vertebre in declino e gli occhi divorato dalle tenebre, oscure ombre che lo circondavano.

Entrato in bottega ancora bambino, spinto dall’esempio di suo nonno, del padre, lontano da quello dei suoi fratelli, viziosi senza pudore e senza sdegno.

Fu lì che scoprì l’amara realtà… a lui, dell’infanzia, non era permesso portare neppure il ricordo.

Chiuso in quel luogo dell’alba a tarda sera, riceveva spesso le visite amorevoli della madre, sartina in un salone di bassa morale, povera vecchia, poiché nell’atelier, per una come lei, non c’era più posto.

Lei, però, quell’aria di carne andata a male la sentiva ormai da tempo.

Non erano rari, difatti, le occasioni in cui, seppur in maniera velata, qualcuna delle patrone cercava di accusata di furto.

Lei, con fervor, ricusava ogni accusa.

Onesta lavoratrice lei lo era sempre stata.

Nessuno di lei si era mai lamentato.

Col suo orgoglio di povera, mascherava le sue disgrazie,e nel mentre continuava a ribadire la propria innocenza.

Prese dal rispetto di povera madre, d’un tratto, tutte le accusatrici ritiravano il guanto.

Si affrettavano ad avanzare l’idea che a prendere l’oggetto mancante fosse stata qualcuna delle serve.

Poi prese da chissà quale furia, uscivano di corsa, sbattendo la porta.

Per anni erano andate avanti quelle scenette.

Copione diverso, ma uguale sostanza.

Per le proprietarie non pareva esserci risoluzione.

Troppo forte era il rispetto per quella povera donna che, a tratti, ricordava così tanto la madre scomparsa!

Ci volle del marito di una la comparsa, sotto il titolo importante di socio di maggioranza, per buttar sulla strada la vedova ormai decadente.

Ci vollero giorni, di lacrime, di fame e miseria, per trovare un lavoro decente.

Quante ricerche, condotte sotto il sole concentrato, su quelle gambe secche come canne dagli umori dei tempi, con quegli occhi divenuti quasi ciechi!

Quanto vicina sembrava la verga del caino marito!

Uomo insulso, dal menzognaro aspetto di uomo benevolo,le cui mani,fragili per scherzo, fendevano l’aria condizionata colpi potenti.

Bastava una parola,da lui considerata un insulto o una grave mancanza, per farle vibrare.

Che misero uomo, sposato per un obbligo antico.

Un tacito accordo, stipulato dall’amato primo marito con quell’essere meschino, da lui chiamato amico, permetteva a lui e alla consorte di vivere in quella casa, solamente se, un giorno lui morto prematuramente, lei avesse sposato l’amico,vero padrone di…tutto.

Firmato dal padre con la leggerezza dei suoi anni, l’ingenuità di due persone di buon cuore e l’illusione di non dover morire così presto.

Invece, è bastato un cavo mal collegato per rendere vedova una donna non ancora matura, e orfano un bimbo che non andava neanche a scuola.

Senza soldi, senza aiuto nè qualcuno su chi contare, il cibo era senza nome… e il futuro incerto.

La soluzione era unica.

E così l’accordo era stato rispettato, in ogni suo punto.

Una casa in cambio, dapprima di un pasto caldo, dopo qualche anno della libertà.

Alla fine la moneta di scambio era diventata la vita stessa.

Della madre, rimessa in riga con qualche sguardo che bruciava come un pugno allo stomaco, sferrato all’improvviso.

Del figlio, preso a botte con qualsiasi cosa capitasse a tiro del buon patrigno.

La soffitta, però, era l’angolo che ancora lo legava al cielo.

Lì trovò se stesso.

Lì trovò la chiave.

L’inizio di tutto…

 

Un Inizio…!

È iniziato tutto come un gioco di bimba.

Inventare storie per riempire i silenzi del mondo che mi circondava.

Certo,ne esploravo ogni centimetro, che mi fosse permesso o meno.

Per la gioia dei miei genitori!

C’erano, però, quei momenti di pace,e di noia.

Il mondo da esplorare diventava per me buia e piena di pericoli.

Mi rintanavo fra le coperte e pregavo di addormentarmi presto.

Solo le storie che mi leggeva ogni membro della sua famiglia riuscivano a calmarmi.

Con il tempo, le esperienze vissute, le storie ascoltate dai passanti e dalle persone che mi stavano accanto fecero nascere in me qualcosa.

Non erano solo lettere di un alfabeto che dovevo imparare a memoria.

Erano i mattoncini per il ponte verso un mondo che solo a me era concesso vedere.

Grazie a un esercizio, datomi da una delle tanti supplenti chiamate precarie, riuscì a condividerlo con gli altri.

Fra questi,tanti hanno gettato in un cestino i fogli che gli davo, scambiando per fazzoletti.

Altri sono rimasti indecisi.

Pochi hanno capito.

Nonostante questo,io non ho mai smesso.

Adesso,vorrei che la mia passione potesse diventare più di un semplice sogno.

Mi sto illudendo? A voi scoprirlo.

Io devo solo scrivere…