la notte dei sei divani

picasso


Walkiria, l’assistente del professor Arien, aprì discretamente la porta dello studio:
“Professore, c’è quel giovane neurologo”
“Ah sì… come si chiama che non me lo ricordo più”, le chiese.
“Freud, Sigmund Freud”
“Lo faccia entrare”
Walkiria fece cenno al giovanotto e questi entrò. Si era intorno al 1886 ed il professore, malgrado avesse solo 15 anni più del giovane Freud, era già considerato il più grande luminare in campo neurologico. Chiunque lo incontrasse ne restava intimorito. Aveva un’espressione navigata ed uno sguardo intenso e profondo che creava addirittura più disagio dello studio dove riceveva sia i pazienti che i colleghi. Lo studio era circa 200 metri quadri. Quattro balconi nascosti dietro tende pesantissime che incutevano timore e rispetto persino alla luce. Sei divani in tessuto damascato e con ricami in filo d’oro. Una libreria in noce massello lunga 30 metri ed alta fino al soffitto. In essa vi erano allineati circa 4000 volumi che rappresentavano il Gotha della neurologia. Tutti scritti da lui.
Il giovane Freud entrò accompagnato da Walkiria che gli indicò la poltroncina su cui accomodarsi. Poltroncina in pelle di cinghiale nero austro-ungarico, posta davanti alla scrivania del professore. Una scrivania lunga 4 metri e realizzata dalla stessa partita di legname con la quale fu realizzata la Pinta, una delle tre caravelle di Colombo. Prima di sedersi, Freud notò un foro al centro della seduta. Walkiria sorrise e gli disse:
“Non ci badi, quello è il buco del culo del cinghiale. I Maestri pellai sono artisti estrosi.”
Walkiria aveva un corpo statuario. Coscia lunga, tacco 13, una quarta di seno che si offriva agli occhi. Proseguendo nella geografia di quella donna, due labbra intarsiate in quel viso che conduceva a due laghi alpini che ingoiavano lo sguardo di chi vi guardasse dentro. Azzurri come il cielo quand’è azzurro e profondi come il mare quand’è profondo. Walkiria si girò e si avviò alla porta. Il giovane Sigmund seguì con lo sguardo il culo di quella dea. Come scolpito nel marmo di Carrara e coperto solo dal camice in seta bianca. Nessuna cicatrice d’intimo.
“Ehm dottore”, disse il professore per svegliare Sigmund dal suo sogno erotico.
Freud si girò di scatto verso di lui.
“Eh capisco, una delizia. E che labbra.”
“Sì, bellissime labbra”, annuì Freud.
“E lei che ne sa?”
“Le guardavo il viso”, disse Freud.
“Non intendevo quelle labbra… è seduto comodo?”
“Sì”, rispose Freud pensando ai due buchi del culo che si scambiavano effusioni e baci.
“La donna è la più grande opera d’arte.”
“E lei se ne intende d’arte professore”, disse Freud indicando con lo sguardo i quadri che adornavano le pareti dello studio. C’erano quadri di Leonardo, Caravaggio e, curiosamente, anche “Il sogno”, quello che Picasso dipinse nel 1932. Era evidentemente un falso, ma come può un falso nascere prima dell’originale? Forse per questo Picasso lo intitolò “Il sogno”.
“Allora dottor Freud, mi dica.”
“Professore, da circa due anni sto elaborando una teoria sulle fasi del sogno e ho messo giù una conclusione che vorrei umilmente sottoporre al suo giudizio, soffermandomi soprattutto sul sogno bianco“, disse il giovane Freud. Il professore annuì con l’assenso delle palpebre.
Le mie conclusioni sono che i sogni avvengono in tre fasi. La prima fase è quella nella quale i sogni sono prodotti; la seconda, quella in cui sono codificati in memoria e l’ultima quando, da svegli, li ricordiamo. Secondo la mia interpretazione, i sogni bianchi sono come gli altri registrati in memoria, però impossibili da richiamare perché nel contenuto ci sarebbe qualcosa che attiva una censura“, disse Freud.
Il professore, restò per qualche secondo in silenzio, con gli occhi chiusi. Poi li aprì e guardò nella direzione del giovane Sigmund. Poi parlò:
“Inizio da un suggerimento. Quando elaboriamo una teoria riferita o riferibile a qualunque cosa, non commettiamo l’errore di partire dalla teoria stessa. Intendo dire che se vogliamo arrivare a Parigi, dobbiamo distinguere il punto d’arrivo da quello di partenza. Lei ha detto che la prima fase è quella nella quale i sogni sono prodotti, vero?”
“Sì”
Il professore prese il campanello che aveva sulla scrivania e lo agitò. Dopo un secondo sì aprì la porta e comparve l’incanto di Walkiria. Il professore le fece segno di chiudere la porta e di sedersi anche lei. Voleva sempre che la sua assistente partecipasse alle riunioni nelle quali si affrontavano problematiche sui fenomeni attinenti la mente umana. Walkiria chiuse, si avvicinò, si accomodò sulla poltroncina accanto a quella dove sedeva Freud ed accavallò lentamente le gambe. Quel lentamente che fece scorrere lo sguardo del professore da quelle che chiamava labbra della parola alle labbra delle emozioni. Nel suo saggio “Labbrador”, scritto con due bi, spiegava che le labbra della parola pur avendo caratteristiche climatiche abbastanza simili, in termini di temperatura, umidità e salivazione alle labbra delle emozioni, avevano comportamenti emotivi anch’essi molto simili ma, quelli delle labbra delle emozioni, erano incomparabili.
Rivolgendosi di nuovo a Freud gli disse:
“Immagini che lei stanotte sogni la Walkiria. Se la sentirebbe di affermare, come ha teorizzato, che la prima fase del suo sogno è quella nella quale il sogno viene prodotto? Ovvero affermare che il suo sogno nasce nel momento in cui inizia a sognare? Non crede invece che se pisciasse in un bicchiere, in esso non ci sarebbe solo il piscio ma anche il ricordo che quel piscio si porta dietro, quello che è il suo stesso divenire? Intendo dire, nel caso in cui lei, stanotte, davvero sognasse la Walkiria, non è tenuto a pensare che la prima fase del suo sogno è avvenuta fuori dal suo sogno ovvero ora, adesso, in questa stanza?”
A Sigmund gli si strinse il culo e disse:
“E’ vero, professore.”
Il buco del culo del cinghiale ci restò male. Non capiva il perché di quella stretta improvvisa come un rifiuto incomprensibile.
“Saltiamo alla fase due e veniamo al sogno bianco. Lei dice che “i sogni bianchi, vengono registrati in memoria, come gli altri, però sono impossibili da richiamare perché nel loro contenuto ci sarebbe qualcosa che attiva una censura“. Bene, qui lei si è avvicinato molto all’esatta interpretazione del sogno bianco perché, immaginiamo che lei, della Walkiria conosca solo quello che ha visto ed io invece conosca anche quello che lei non ha visto. Ora diciamo che stanotte sia lei che io sogniamo di spogliare nuda la Walkiria. Mi segue?”
“Sì certo, professore” rispose attentissimo Sigmund. Intanto la Walkiria, disaccavallò le gambe per riaccavallarle in modo inverso. Movimenti che fece come sempre con la lentezza e leggiadria che nascondono, con la disinvoltura, la donna anch’essa navigata. Il professor Arien, deglutì e riprese:
“Domattina ciascuno di noi racconterà il proprio sogno con la differenza, però, che alcuni particolari del corpo della Walkiria lei non potrà raccontarli e non perché, come ha detto, è intervenuta una qualche forma di censura attivata dal sogno stesso. Il sogno non potrà raccontare quei particolari perché lei non li ha visti. Non li conosce. Io invece glieli racconterò perché li ho visti, magari li ho anche toccati, comunque li conosco!”
La Walkiria tossì, discretamente ed il professor Arien aggiunse:
“E’ chiaro che sto parlando in termini astratti. Le aggiungo di più. Sarebbe grave e fuori da ogni concetto di razionalità, oltre che troppo comodo, ritenere che il sogno possa inventarsi quello che non conosce. Entreremmo spessissimo in realtà parallele e faremmo fatica, dopo, a distinguere quale delle due sia quella reale…”
“Ma è quello che avviene, professore!”, esclamò Freud.
“Quello che avviene nel sogno, mio caro Freud! Qui stiamo parlando di quello che ricordiamo dopo il sogno, da svegli! Il sogno non censura, ma si rifiuta d’immaginare, di inventare. Il sogno si rifiuta di sognare!”, disse il professore, fottendo per l’ennesima volta il giovane Sigmund.
La Walkiria agitò impercettibilmente la testa pensando: “questo giovanotto non farà molta strada”.
“Ma allora professore, perché sogniamo anche storie che nulla hanno a che vedere con la nostra realtà?”, chiese Sigmund.
“Com’è arrivato qua, in carrozza?”, gli chiese il professore sapendo che la Walkiria era affascinata da quelle frasi che sembravano a cazzo, ma andavano sempre a parare molto lontano.
“Sì, in carrozza.”
“E mi racconti, durante il tragitto, immagino che guardando fuori dal finestrino guardava le case, le persone che incrociavate, i bambini che correvano, il negozio del fioraio, quello del droghiere… mi racconti e si soffermi sul colore degli abiti, sulle fattezze dei bambini e degli adulti, sui fiori e sui vasi, sul rumore degli zoccoli del cavallo, su quante frustate ha dato il cocchiere. Mi racconti.”
La Walkiria avendo compreso il percorso mentale del professore, cominciava a bagnarsi e strinse forte le cosce.
“In realtà, professore, non ricordo tutti questi particolari perché, pur guardando fuori dal finestrino, la mente era rivolta all’emozione di incontrarla e di parlarle della mia teoria.”
“Già! La mente! Però i suoi occhi hanno visto queste immagini e le sue orecchie hanno sentito i rumori. Dottor Freud, soprattutto le immagini, sono finite in memoria senza attraversare il razionale. Qualcosa di esse, ne sia pur certo, prima di svanire, cercherà di darsi un ruolo, anche una particina di secondo piano, magari solo di comparsa, nel copione dei suoi sogni.”
Walkiria, strinse ancor più le sue cosce sperando di frenare il fiume. Quello che puoi rallentare ma non frenare perché troverà altri percorsi per i suoi rivoli d’emozione.
“Prosegua il suo lavoro con caparbietà e voli alto.” Con un sorriso incoraggiante si alzò e lo salutò tendendogli la mano.
Walkiria restò seduta. Troppo imbarazzata per alzarsi. Sigmund uscì chiudendosi la porta alle spalle. Il professor Arien poggiò il gomito sulla scrivania e si portò le dita agli occhi chiudendoli. Walkiria ne approfittò per alzarsi ed andargli a fianco. Il camice era bagnato dietro. Doveva solo evitare di girarsi.
“Mi ha mai sognata?”, gli chiese a bassa voce.
Lui, continuando a tenersi le dita sugli occhi, le rispose:
“Più volte”
“E cosa ha sognato di me”, disse Walkiria.
“Ad occhi chiusi, solo quello che di lei conosco. Quello che non sanno, i sogni non lo raccontano. Per questo, tante volte, s’interrompono sul più bello. Quello che non sappiamo, possiamo solo immaginarlo. Ad occhi aperti, però.”
“E lei come lo immagina?”
“Non lo immagino perché sarebbe comunque diverso dalla realtà. L’immaginazione è solo un surrogato”, disse aprendo gli occhi sul pavimento dove si andavano formando piccole dune di seta bianca da un camice che scivolava a terra.
La mattina dopo si svegliarono nello stesso respiro su uno dei divani dello studio. Non ne avevano risparmiato nessuno, in quella che chiamarono: la notte dei sei divani.
la notte dei sei divaniultima modifica: 2019-06-09T16:37:52+02:00da arienpassant

27 pensieri riguardo “la notte dei sei divani”

  1. Hai forse temuto una stroncatura? Avrei voluto infierire ma ho messo da parte il mio sadismo a favore dell’intelligenza…quando uno merita merita 🙂

  2. “Dottor Freud, soprattutto le immagini, sono finite in memoria senza attraversare il razionale. Qualcosa di esse, ne sia pur certo, prima di svanire, cercherà di darsi un ruolo, anche una particina di secondo piano, magari solo di comparsa, nel copione dei suoi sogni.” Io credo che siano proprio i dettagli a poter spiegare ciò che razionalmente ci sfugge sulle prima; succede anche da svegli, quando la memoria ci restituisce stralci di conversazioni che sul momento hanno significato poco o nulla…all’improvviso viene spontaneo esclamare:”ah, ecco perché ha detto di essere un po’ stanco…”.

  3. bravo non so, di sicuro ho dovuto faticare per portare Freud a diventare quello che è diventato. Walkiria aveva ragione perché Sigmund certe volte era proprio di coccio. Jung, anche lui mio allievo lo era molto meno. Walkiria scappò con lui, ma questa è un’altra storia.

  4. (Parafrasando un fortunatissimo spot)…bisognerebbe inventarle (lo so, me l’hai servita su un piatto d’argento)

  5. …cosa c’è di tanto incomprensibile ? L'”Assistente per i titoli ad effetto” e la “Walkiria dei 6 divani” sono o no le coprotagoniste dei tuoi racconti … buon giugno !

  6. ahhh ecco, non ci sarei mai arrivato. Quasi 80 post, se volessi fare l’elenco dei coprotagonisti, compresi i fumetti e gli oggetti, forse sarebbero più dei post. Buongiugno.

  7. Chiunque direbbe che avvicinare il bene ad un obbligo è togliergli poesia, ma se l’obbligo ti viene da dentro bisognerà ricredersi.

  8. no, intendevo che la tua stima mi obbliga a volerti bene, ma non lo sento come obbligo. Condivido, però, che piace molto anche a me questo racconto.

  9. No, mi sopravaluterei ma, alle volte, non so se capiti anche a te frompiscatole, ho come la sensazione di non aver risposto ad una domanda che forse ho sentito solo io… 🙂

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