80. figure di donna 4, alla stazione

 

Stavolta lui ha viaggiato col treno. E per il ritorno è tutto pronto: il bagaglio, il biglietto, gli orari memorizzati. Due cambi, con il secondo treno ci sarà la sosta alla stazione ferroviaria della città di lei. Non chiedetegli il perché di questa scelta. Alzerebbe le spalle, tacerebbe, risponderebbe ‘non lo so’. Non lo sa, non vuole saperlo, non gli importa, è un capriccio, è una cosa seria; non glielo chiedete. Sarà su quel treno e basta.
Le vacanze sono finite, trascorse al massimo come piace a lui: località alla moda, feste private e nei locali, ottimo cibo, ottimi vini, donne. Ha ballato, ha fatto sesso, ha sciato; è stato elegante, diffidente, seduttivo, antipatico. E adesso il rientro a casa.
Sale sul primo dei tre treni che prenderà, prima classe, si siede vicino al finestrino, posto prenotato con largo anticipo, lui dice spesso che tutto scorre e bisogna farlo scorrere al meglio. Non fategli domande, voi che state leggendo.
Il treno parte.
Il primo cambio avviene poco dopo, per salire su un treno a lunga percorrenza, dove si accomoda sempre vicino al finestrino. Non ha voluto prendere né Italo né una delle Frecce. Ha deciso di fare una gita così, d’altronde gli sottolineano spesso la sua aristocratica e imprevedibile originalità. Forse tra un po’ leggerà. Sicuramente per un po’ non vorrà parlare, ma d’altronde il vagone è quasi vuoto, otto nove viaggiatori, lui compreso.

Lei si è alzata tardi, arruffata assonnata infreddolita. Se le chiedete qualcosa, lei vi risponde, quindi potete sbizzarrirvi. Per esempio vi dirà che sta facendo tutto di corsa perché le è venuto in mente che forse ricorda male l’orario di arrivo del treno col quale viaggia il suo carissimo amico che viene a trovarla. No, non è che sia sicura sicura di questo, ma forse sì, è probabile, oddio è tardi, è sicuramente comunque tardi. Volete sapere qualcos’altro? Al volo, mentre sale in macchina, vi direbbe che vuole un mondo di bene al suo amico, che sono amici da una vita, che è un affetto profondo, duraturo, che è l’unica persona della quale si fida.
Ha fatto appena tre metri, le mani ancora impicciate con la cintura di sicurezza, e il telefono squilla, pronto?, pronto, sorride l’amico dall’altra parte, sono arrivato, oddio fa lei, allora mi sono sbagliata davvero, sto arrivando, aspettami. Mannaggia, mannaggia, sono così poche le ore che passeranno insieme, non vuole perdere nemmeno un minuto.

Cinque, sei ore passano veloci.

Lei e il suo amico a parlare, mangiare insieme, ridere, sorridere, prevedere il prossimo incontro da lui, a vedere una mostra, a passeggiare. Passa veloce il tempo, e un tè, e la musica, e la vita che è la vita, e ti voglio bene, e anch’io, e oddio, bisogna tornare in stazione, è quasi ora del treno dice l’amico, mannaggia, dice lei, andiamo.

Lui ha finito di leggere un libro, ha preso appunti di due tre idee che vuole far confluire nella relazione trimestrale; ha cominciato la lettura di un altro, non gli va, ma ne parlano tutti, lo legge perché a volte le conversazioni diventano banali e si va a finire a parlare proprio di quel tipo di libri inutili. Sbadiglia. Guarda di nuovo l’orologio. Tra non molto arriverà alla stazione della città di lei.

Lei e il suo amico sono sul marciapiedi della stazione. Il treno sta per arrivare, lo hanno già annunciato. Si salutano, il treno appare in fondo al binario, il rumore aumenta, e poi lo stridio dei freni, e poi si ferma. Persone salgono, persone scendono. Lei sorride al suo amico, che è salito; aspetto che il treno parta, gli dice.
Il treno parte, lei rimane sul marciapiedi, per lei hanno sempre un che di magico le partenze, gli arrivi, i treni, le navi, gli aerei. Lentamente scorrono davanti ai suoi occhi i vagoni, le luci che sembrano avere scie per effetto della velocità che aumenta, sconosciuti seduti, in piedi, brani di umanità.
E poi lo vede. Lui ha la testa leggermente reclinata in avanti, forse legge, forse no; di lui in realtà vede solo la testa, di profilo, e parte del busto. Un pensiero come un lampo nella mente di lei: solo questo ho saputo di lui, parti, brani, spezzoni, quello che lui ha voluto far vedere, quello che lui ha potuto scoprire di sé.
E poi nulla: un attimo e lui non è più lì, dieci, venti, cento metri oltre, un chilometro, cento, trecento chilometri distante, nella sua casa, nel suo lavoro, nella sua vita. Un attimo.

Per un attimo anche lui la vede, ma lei non se ne accorge, lui la vede quasi con la coda dell’ occhio. Se voi che leggete foste sul treno, vedreste in lui un sussulto, ma dovreste stare attenti, è un piccolo minuscolo quasi invisibile sussulto. E poi vedreste uno stupore nei suoi occhi e qualcosa sul suo viso che potreste interpretare come un’espressione di soddisfatta vittoria.
Qualche chilometro prima aveva giocato con i suoi pensieri, immaginando di scendere alla stazione della città di lei, immaginando di fare due passi verso il centro, fino all’ora del treno successivo; di godersi un’ulteriore piccola stravagante vacanza, di sfidare con noncuranza il destino, per vedere se il caso avrebbe spinto fino a farli incontrare, fino a farlo godere dello stupore di lei e del proprio silenzio, e della propria distanza; guardarla ma facendo intendere di non vederla, andare oltre e lasciarla lì per il resto dei giorni di entrambi. Il silenzio come sevizia, pensate voi che leggete; ed è così, ma lui non si permette di saperlo, lui avrebbe soltanto goduto il suo momento di dominio e le sue ragioni inossidabili.
Non è sceso, e l’ha vista lo stesso, e ha visto che lei lo ha visto. E’ stato un momento della vittoria degli occhi, della supremazia della distanza, del trionfo dell’indifferenza. Lui si sente vincitore.

Lei scende le scale del sottopassaggio, torna alla macchina. Che strana sensazione vedere chi hai amato come fosse uno sconosciuto, pensa; che strano quel corpo quasi sfocato che invece hai visto così da vicino, e amato e accarezzato, pensa. Lei non si sente né vincitrice né vittima. Se glielo chiedete, potrebbe dirvi che non è vittoria o perdita ciò che lascia un amore. Però chiedeteglielo dopo, adesso è assorta, potrebbe non sentirvi e le dispiacerebbe non rispondervi. Eccola lì, guardatela soltanto, adesso. Aggancia la cintura di sicurezza, mette in moto, e ciao, gli dice mentalmente, fa’ buon viaggio, sempre.
(9 gennaio 2016)

trenino


80. figure di donna 4, alla stazioneultima modifica: 2019-04-25T11:19:26+02:00da mara.alunni