338. qual è il mito nel quale vivi?

“Avevo spiegato i miti dei popoli del passato; avevo scritto un libro sull’eroe, sul mito nel quale l’uomo è vissuto da tempo immemorabile. Ma qual è il mito nel quale gli uomini vivono oggi? La risposta poteva essere: ‘il Mito Cristiano’. ‘Vivi tu in esso?’ mi chiedevo. ‘Se devo essere sincero, no! Non è il mito in cui vivo’. – ‘Allora, non abbiamo più alcun mito?’ – ‘No, evidentemente non ne abbiamo più’. – ‘Ma allora qual è il tuo mito? Il mito nel quale vivi?’ – A questo punto il dialogo con me stesso diventava sgradevole, e smettevo di pensare. Ero giunto a un limite”.
C. C. JUNG, Ricordi, sogni, riflessioni, Rizzoli, Milano, 1978, p. 213)

cop

 

337. quando un amico mi chiama

Quando un amico mi chiama dalla strada
e rallenta il suo cavallo al passo,
non mi fermo e guardo attorno
verso tutte le colline che ancora non ho arato,
a urlare da dove sono, Che c’è?
No, non se c’è del tempo per parlare.
Getto la mia zappa nella terra smossa,
la parte della lama verso l’alto e lunga cinque piedi,
e mi trascino: vado fino al muro di pietra
per una visita amichevole.
(ROBERT FROST, Tempo per parlare  – fonte web)

bambini amici-2

mappamondo-ragazza

 

336. l’amicizia, il dolore e “chi sono io?”, “chi sei tu?”

Tu hai degli amici.

Uno di loro ti fa battute, ironiche e un po’ pungenti. A tal punto che ti chiede anche “Quando mi manderai a quel paese per queste battute?”. Tu sorridi alla domanda come hai sorriso alle battute, ma un che di pungente ti arriva.
Se si parla dei rapporti di coppia, l’amico, sempre scherzando, si schiera col tuo ex, e ti ripete la domanda “quando mi manderai ecc.?”.
Tu vuoi bene all’amico, per molti aspetti lo stimi, e sorridi, sempre sentendo quelle punturine.
Accade che si debba andare insieme ad altri amici in un certo posto, e gli altri amici poi recedano per precedenti e dimenticati impegni presi. L’amico dice che, vista la loro assenza, per lui non vale la pena spendere i soldi per spostarsi, come tu fossi nulla e senza nemmeno chiederti scusa di tale ‘facezia’.
Tu senti più che una punturina, anzi, proprio un pugno nello stomaco, ma taci.
Accade che l’amico una sera ti chieda come stai e tu, che non stai bene per niente, né fisicamente né psicologicamente, anzi, stai proprio male, rispondi sincera e l’amico, alla fine del tuo sfogo fiducioso, ti dica “e io ti rido in faccia”. Tu senti più che un pugno nello stomaco, ma taci, abbozzi un mezzo sorriso, e pensi che lo abbia detto per sdrammatizzare, chissà, forse, e che si sia solo espresso male.
Tempo dopo, si decide di trascorrere una festa insieme e si va. Tu non ti senti bene, non vorresti andare, anche i tuoi sesti sensi si mettono in moto per suggerirti di non andare, ma tu ami i tuoi amici e le tue amiche, e vai.
Resisti ai dolori finché puoi, tacendoli, finché a un certo punto, a ridosso del clou della festa, te ne devi andare e lo comunichi agli amici. E te ne vai, accompagnata dal tuo ex, con un sentimento di solitudine che, se possibile, è ancora più forte del dolore. Ma non pensi che sei sola perché i tuoi amici sono rimasti alla festa , che si stava concludendo; non pensi che potrebbero o dovrebbero essere lì con te, pensi ad altro per quello che te lo permettono i dolori.
È solo la mattina dopo, sotto la doccia, che pensi a questo, che senti note stonate, ma pensi ancora che nulla ti è dovuto.
Rivedi gli amici a colazione, e sentendo la loro leggerezza e allegria con cui parlano della serata precedente, ti scappa la pazienza e, contro ogni tua abitudine, alzi anche un po’ la voce e li rimproveri, sì, li rimproveri di averti lasciata sola la sera prima. E’ il tuo dolore, è il tuo grido di dolore, forse anche una richiesta di aiuto.
L’amico, quello di cui si diceva prima , si allontana e dopo un po’ torna.
Tu ti allontani, vai in camera.
Lì ti raggiungono due amici, con i quali vi spiegate, vi dite, vi chiarite.
L’amico, invece, da allora non lo vedi e non lo senti più, finito ogni affetto , ogni amicizia? Non vedi e non senti più nemmeno la sua compagna.
Tu non lo chiami più, lui non chiama più te.
Pare che potrebbe essere disponibile per un ‘confronto’ e che abbia pure detto, lui, come dovrebbe avvenire l’incontro.
L’amico, mesi prima, a fronte di una grave perdita subita dagli altri amici e del loro grande dolore, aveva detto, a proposito della necessità di essere presenti come amici in quei momenti dolorosi, aveva detto, con una metafora, che se una persona sta affogando tu non stai a farti domande o pensieri , bensì ti tuffi e vai a salvarlo, altrimenti “cosa stiamo costruendo, come amici?”. In realtà, queste cose, molto belle, le aveva dette la sua compagna, ma lui era d’accordo. E lo erano tutti, d’accordo.
CI SONO MODI MIGLIORI PER ESPRIMERE UN DOLORE, UNA DISPERAZIONE?
Forse si, non nel senso assoluto, ma nel senso della capacità di accoglienza del dolore, del giudizio sulla persona che lo sta esprimendo, e di chissà quanti altri fattori.
Ci sono dolori che da fuori sono comprensibili, comunemente classificati come grandi, terribili, e altri no.
Poi ci sono dolori che da fuori non solo non sono comprensibili, ma sono giudicabili in modo molto negativo. Non puoi soffrire se muore un tuo gatto, un tuo cane: questi sono tra i dolori derisibili, per esempio.
Ricordo che molti molti anni fa lessi un elenco di fattori causa di stress, un classifica in ordine di gravità; al primo posto c’era il lutto, al secondo la separazione. Dopo un po’ di tempo la classifica vide al primo posto la separazione, al secondo il lutto, e questo perché le separazioni erano aumentate ed aumentavano, dando così ulteriori elementi di lettura delle cause dello stress.
Niente è assoluto, quando si riesce a vedere tutti gli elementi di un fatto.
E così, dopo aver ascoltato la storia di quella persona di cui ho parlato, di quel “tu” posto come esempio, le domande, le solite , ricorrono silenziose e pressanti.
CHI SONO IO? CHI SEI TU?
E L’AMICIZIA, COS’È?
amicizie-silenzio-1658998544“Ringrazio il vaso che trabocca, l’ultima goccia, il braccio che mi ha spinta sotto, il passo lungo del dolore, nell’istante in cui ha raggiunto la forcella, il bivio. Senza di loro, avrei indugiato, tappandomi gli occhi con le mani, perseverando nella fuga, nel nascondimento. Ringrazio il punto di rottura, l’umiliazione più cocente, lo strappo immedicabile. Ringrazio le scuse mai arrivate o arrivate per procura, il rispetto sconosciuto, ogni forma di bene clandestino. Ringrazio l’arte della sutura e del ricamo, con cui ho fatto ammenda di ferite. Ringrazio la punteggiatura e l’elemosina, la questua, il disonore del poco cui ho preferito la dignità contegnosa del niente. Più di ogni altra cosa, ringrazio il male immeritato. In sua assenza, sarei rimasta ferma, illesa ed incorrotta ma senza aria, dormendo un sonno di commedia, di facciata, tragicamente destinata a ripassare una lezione che rifiutavo d’imparare: l’amore per me stessa e la sua carestia.”
(Antonia Storace, fonte web)

335. ❤️ il silenzio è la lingua dell’ “essere accanto”

FB_IMG_1707934027215

Fabio Magnasciutti ha pubblicato questa vignetta riferendosi alla conclusione del festival di Sanremo di quest’ anno.

Ma la trovo molto bella a prescindere, per quell’ idea di silenzio “scritto” come dedica d’amore. Un ottimo modo per comunicare l’amore, e cioè la vicinanza, la presenza ;  il silenzio è la lingua dell'”essere accanto”.

Fabio Magnasciutti nasce a Roma l’11 maggio 1966, illustratore e vignettista pubblica con Giunti, Curci, Lapis, Barta e altri editori. Collabora con la Repubblica, l’Unità, il Fatto quotidiano, gli Altri, Linus e Left, per i quali attualmente realizza copertine e vignette.

334. cuoriangoli

IMG_20240213_231053

Oggi ho bruciato la tua lettera. L’unica che mi hai scritto. E io ti ho scritto, senza che tu lo sapessi, giorno per giorno. A volte con amore, a volte con desolazione, altre con rancore. La tua lettera la conosco a memoria: quattordici righe, ottantotto parole, diciannove virgole, undici punti di sospensione, diciassette accenti ortografici e neanche una sola verità.”

In JOSÉ EMILIO PACHECO, Il principio del piacere

IMG_20240213_231204IMG_20240213_231218

333. OnDe sU CarTa :-)

QUANDO COMPRENDI CHE LA RETTA VIA NON È DRITTA E SENZA FANTASIA.
QUANDO COMPRENDI CHE LA RETTA VIA NON CORRISPONDE ALLA FIGURA GEOMETRICA DELLA RETTA.
QUANDO COMPRENDI CHE LA RETTA VIA E’ PIENA DI CURVE E RICCA DI IMMAGINAZIONE E DI INVENZIONE.
QUANDO …

La vecchia macchina per scrivere: il foglio che stava per uscire dal rullo eppure si continuava a scrivere; la tenerezza di Charlie Brown e il genio di Schulz. E io, mi ci metto anch’io "</p

422425066_1539210036899857_1727538215922335077_n

foto1

foto2

foto3

332. quelli erano i giorni delle farfalle

pngtree-colorful-butterflies-are-flying-over-some-flowers-picture-image_2665284

Guido Gozzano chiamava le farfalle “i fiori senza stelo”. Osservava e incubava farfalle con la stessa cura dell’entomologo. Sull’argomento stava  scrivendo il poema Le farfalle, che rimarrà incompiuto.

Per Gozzano, le farfalle erano simboli perfetti di  fugace bellezza e volle farne dono ad Amalia Guglielminetti, la donna a cui, da circa due anni, era legato da una forte amicizia amorosa e con cui intratteneva in un intenso rapporto epistolare. Così, un giorno, Amalia Guglielminetti vide recapitarsi dei bruchi:
Allevo una straordinaria colonia di bruchi. Voglio ritrarne alcune osservazioni e molte belle fotografie a commento di un libro di storia naturale che sogno da tempo: Le farfalle. Vi attenderò dopo il volume di versi: ma comincio ad adunare materiale di testo e d’illustrazioni. Vedrete che cosa nuovissima e bella. Immaginatevi che in una cassetta ho circa trecento crisalidi di tutte le specie, ottenute da bruchi allevati con infinita pazienza, per settimane e settimane; ora si sono quasi tutti appesi al coperchio graticolato e hanno presa la forma strana di crostacei stilizzati pel monile d’una signora. Fra pochi giorni saranno farfalle. Anzi, voglio mandarvi qualche crisalide: non ridete, vi prego. Mi attira il pensiero che si schiuderanno nella vostra camera, tra i vostri nastri e i vostri profumi. Estraetele dalla scatola dove ve le invierò, SENZA TOCCARLE, sollevando PEI LEMBI il COTONE dove sono adagiate e deponetele senza smuoverle dal letto di cotone in una scatola più ampia, dove la farfalla nascitura abbia sufficiente spazio per distendere le ali. E lasciatele in pace, come bimbi che dormono: senza toccarle, né agitarle: fra quindici giorni nasceranno. Mi scriverete e mi descriverete i loro colori; e mi direte che v’hanno detto da parte mia le belle prigioniere, addormentate in questa valle e risvegliate sui colli di un paese lontano, dall’altra parte del Piemonte… E non sorridete tanto di queste cose, più belle e più profonde di molte altre, per consolare la nostra malinconia…” (3 settembre 1908).

I  minuziosi suggerimenti sul trattamento delle crisalidi indicano la particolare attenzione alla loro fragile bellezza e anche una devozione. Gozzano era affascinato dalle farfalle fin da piccolo:
“Sono creature perfette”, scriveva all’amico Ettore Colla, “non vivono che un giorno di sole, ma la loro vita è tutto un trionfo di bellezza e d’amore; col tramonto è la morte”.
Gozzano aveva un doppio interesse verso le farfalle, sia quello poetico che quello scientifico: esse appartengono al suo più intimo mondo interiore.

Le parole spiegano i sentimenti contrastanti tra rinuncia e  sublimazione dell’amore, inserite tra i due invii “devo far violenza a me stesso per sottrarmi alla tentazione d’un passo con Voi, passo imprudente e prematuro, credetelo.” (9 settembre 1908).
Pur amandola, le restava a distanza, forse per non trascinarla nel proprio destino, minato dalla tubercolosi, insorta – per ironia della sorte – in concomitanza al loro incontro.

Forse si giunge solo tardi, troppo tardi, a capire che nessuna dote può sostituire ciò che può essere creato in due. Forse perché in due non vince la somma delle unità, ma la dinamica di relazione, il mettersi alla prova in un gioco reciproco: un obiettivo non raggiungibile con finzione, nemmeno dalla mente più brillante. Giungere ad un’inconsolabile solitudine, meno dura da sopportare solo perché non c’è speranza né aspettativa di essere felici, forse può essere la chiave per un’ispirazione magistrale e per la composizione di superiori opere d’arte, ma non quella per misurarsi con la vita e il grande compito dell’amore. Alla fine del carteggio, Guido pare esserne consapevole, ma non è possibile sapere se abbia mai avuto modo di chiarirlo. Qualcosa, di quell’incontro, sfugge alla comprensione e alla testimonianza della memoria, consegnato per sempre alla sacra sfera dell’invisibile.

Articolo di Marilena Garis e Riccardo Peratoner, con variazioni mie.

082826382-8fdaa99b-4c13-4ffd-8add-91e86f8bf2512

330. e la chiamiamo “anche” Terra: nominarLa in ogni lingua attualmente conosciuta e parlata

nomi del pianeta Terra in varie lingue

Inglese britannicoearth  /ɜːθnoun

planet The earth is the planet that we live on.
  • Inglese americanoearth  /ˈɜrθ/
  • Araboالأَرْض
  • Portoghese brasilianoterra
  • Cinese地球
  • CroatoZemlja
  • CecoZemě
  • Danesejord
  • Olandeseaarde
  • Spagnolo europeotierra  mundo
  • FinlandeseMaa
  • Franceseterre  monde
  • TedescoErde
  • Grecoγη
  • Italianoterra
  • Giapponese地球
  • Coreano지구
  • Norvegesejord
  • Polaccoziemia
  • Portoghese Europeoterra
  • Romenopământ
  • Russoземля
  • Spagnolotierra  planeta
  • Svedesejord
  • Thailandeseโลก
  • Turcoyeryüzü
  • Ucrainoпланета Земля
  • Vietnamitatrái đất

Inglese britannicoland  /lændnoun

Land is an area of ground.
This is good farm land.
  • Inglese americanoland  /ˈlænd/
  • Araboأَرْضٌ
  • Portoghese brasilianoterra
  • Cinese土地
  • Croatozemlja
  • Cecopevnina
  • Daneseland  jordstykke
  • Olandeseland  terrein
  • Spagnolo europeotierra  terreno
  • Finlandesemaa
  • Franceseterre  parcelle
  • TedescoLand  Grundbesitz
  • Grecoξηρά
  • Italianoterreno
  • Giapponese
  • Coreano
  • Norvegeseland
  • Polaccoląd
  • Portoghese Europeoterra
  • Romenopământ
  • Russoземля
  • Spagnolotierra  terreno
  • Svedesemark
  • Thailandeseที่ดิน
  • Turcokara  coğrafya
  • Ucrainoземля
  • Vietnamitađất

Inglese britannicosoil  /sɔɪlnoun

Soil is the substance on the surface of the earth in which plants grow.
The soil here is good for growing vegetables.
  • Inglese americanosoil  /ˈsɔɪl/
  • Araboتُرْبَةٌ
  • Portoghese brasilianosolo  chão
  • Cinese土壤
  • Croatozemlja
  • Cecopůda  zemina
  • Danesejord
  • Olandesegrond
  • Spagnolo europeotierra  material
  • Finlandesemaaperä
  • Franceseterre  sol
  • TedescoErde
  • Grecoχώμα
  • Italianosuolo
  • Giapponese
  • Coreano
  • Norvegesejord
  • Polaccogleba
  • Portoghese Europeosolo  chão
  • Romenopământ
  • Russoпочва
  • Spagnolotierra  material que compone el suelo natural
  • Svedesejord
  • Thailandeseดิน
  • Turcotoprak
  • Ucrainoґрунт
  • Vietnamitađất

Inglese britannicoearth  /ɜːθnoun

soil Earth is the soil that plants grow in.
  • Inglese americanoearth  /ˈɜrθ/
  • Araboأَرْض
  • Portoghese brasilianoterra
  • Cinese土壤
  • Croatozemlja
  • Cecohlína
  • Danesejord
  • Olandeseaarde
  • Spagnolo europeotierra
  • Finlandesemaa
  • Franceseterre
  • TedescoErde
  • Grecoγη
  • Italianoterra
  • Giapponese
  • Coreano
  • Norvegesejord
  • Polaccogleba
  • Portoghese Europeoterra
  • Romenosol
  • Russoпочва
  • Spagnolotierra
  • Svedesejord
  • Thailandeseดิน, พื้นดิน
  • Turcotoprak
  • Ucrainoґрунт
  • Vietnamitađất

fonte: sito web collinsdictionary

main-qimg-360736362104eea21fe4ffadd67a8b45-lq

 

https://www.youtube.com/watch?v=I1fQ-3-CEFg&t=772s
film- documentario HOME, di  Yann Arthus-Bertrand, Presidente della fondazione GoodPlanet, 2009, prodotto da Luc Besson

https://www.youtube.com/results?search_query=dcumentario+film+human
film-documentario HUMAN, di  Yann Arthus-Bertrand, Presidente della fondazione GoodPlanet, 2015, prodotto da Luc Besson, 2015, prodotto da due Fondazioni No Profit: Bettencourt Schueller e GoodPlanet

C’è poi il film-documentario dal titolo WOMAN, di Anastasia Mikova e Yann Arthus-Bertrand, 2019, prodotto da Hope Production Fabienne Calimas
(Non lo trovo completo su youtube, ci sono spezzoni)

per tutti e tre i film la musica è di Armand Amar

 

329. buon compleanno

MATTINA

M’illumino

d’immenso

Giuseppe Ungaretti compose questa poesia il 26 gennaio 1917 nelle trincee del Carso. Soldato semplice -un fante- nella prima guerra mondiale.

Auguri, splendida poesia.

Noi ci ricordiamo i compleanni, ma non sempre facciamo gli auguri. A te, oggi, i più cari. A Giuseppe Ungaretti, grazie per sempre.

 

328.

Tutto il problema dell’esistenza consiste nel cogliere i momenti in cui le cose si fanno trasparenti e si trova la traccia.

Come se, per uno squarcio improvviso, il fondo dell’essere divenisse visibile e la poesia si facesse realtà.

(Virginia Woolf)

IMG_20240114_235111

327. in quel preciso momento

 

“Alcune cose sono belle per quel che sono. In quel preciso momento.
Che durino minuti, ore, giorni o mesi, non importa.
Non sono belle per quello che potrebbero diventare.
Per il luogo da cui arrivano.
Sono belle lì, in quel momento perché sono così.
Sospese.
Appena sfiorate”

Jorge Luis Borges

FB_IMG_1705752112664

FB_IMG_1702823926766

FB_IMG_1705752988303

326. risultati inaspettati

FB_IMG_1703784335999“Per quanto tu ragioni, c’è sempre un topo – un fiore – a scombinare la logica. Direi che tutto nel tuo ragionamento è perfetto, se non avessi davanti questo prato di trifoglio. E sarei anche d’accordo con te, se nella mente non mi bruciasse (se non mi bruciasse la mente – con dolcezza) quest’odore di tannino che viene dalla segheria sotto la pioggia: quest’odore di tronchi sbucciati (d’alba e d’alburno), e non ci fosse il fresco delle foglie bagnate come tanti lunghi occhi, e il persistente (ma sempre più sbiadito) blu della notte.”

(GIORGIO CAPRONI,  da Altro inserto, in Il franco cacciatore, 1973-1982)

FB_IMG_1704878268089

419976952_7853294858018723_7531550355070152566_n

325. semplicemente vedere il mondo apparire

“I momenti più luminosi della mia vita sono quelli in cui mi accontento di vedere il mondo apparire. Questi momenti sono fatti di solitudine e di silenzio. Sono sdraiato su un letto, seduto a una scrivania o cammino per strada. Non penso più a ieri e domani non esiste. Non ho più legami con nessuno e nessuno mi è estraneo.
Questa esperienza è semplice. Non c’è da volerla. Basta accoglierla quando arriva. Un giorno ti sdrai, ti siedi o cammini, e tutto ti viene incontro senza fatica, non c’è più da scegliere, tutto quello che viene porta il segno dell’amore.”

CHRISTIAN BOBIN,  Mozart e la pioggia

FB_IMG_1705080196366

324. se l’anima vuole essere guidata, non si vede dove sta veramente la stella

Perdettero la stella un giorno.
Come si fa a perdere la stella?
Per averla troppo a lungo fissata…
I due re bianchi, ch’erano due sapienti di Caldea,
tracciarono al suolo dei cerchi, col bastone.

Si misero a calcolare, si grattarono il mento…
Ma la stella era svanita come svanisce un’idea,
e quegli uomini, la cui anima
aveva sete di essere guidata,
piansero innalzando le tende di cotone.

Ma il povero re nero, disprezzato dagli altri, si disse:
“Pensiamo alla sete che non è la nostra.
Bisogna dar da bere, lo stesso, agli animali”.

E mentre sosteneva il suo secchio per l’ansa,
nello specchio di cielo
in cui bevevano i cammelli
egli vide la stella d’oro che danzava in silenzio.

(Edmond Rostand, La Stella)

FB_IMG_1704538776043

323. è così pura l’ora che l’anima schiarisce dentro la notte

NOTTURNO INVERNALE

Così lieve è il tuo passo, fanciullo,
che quasi non t’odo,
dietro me, sul sentiero.
E così pura è l’ora, così puro
il lume delle grandi stelle
nel cielo viola
che l’anima
schiarisce
dentro la notte
come i tetri pini che albeggiano
nel biancore della neve.
Un alto sonno tiene la foresta
ed i monti
e tutta la terra.
Come una grazia cade
dal cielo il silenzio.
Ed io ti sento l’anima battere,
dietro il silenzio,
come un filo vivo di acque
dietro un velo di ghiaccio –
e il cuore
mi trema,
come trema il viandante
quando il vento gli porta
attraverso la notte
l’eco d’un altro passo
che segue il suo cammino.
Fanciullo, fanciullo,
sopra il mio cammino,
che va per una landa senza ombre,
sono i tuoi puri occhi
due miracolose corolle
sbocciate a lavarmi lo sguardo.
Fanciullo, noi siamo
in quest’ora divina
due rondini che s’incrociano
nell’infinito cielo,
prima di mettersi in rotta
per plaghe remote.
E domani saremo
soli
col nostro cuore
verso il nostro destino.
Ma ancora, nel profondo, tremerà
il palpito lontano delle ali sorelle
e si convertirà
in nuova ansia di volo.

(Antonia Pozzi, Gennaio 1931)

IMG-20231210-WA0074

 

 

322. hic ipso tecum …

FB_IMG_1703863617793

hic ipso tecum consumerer aevo

(Virgilio, Bucoliche)

FB_IMG_1704199788845

(non-ascoltando il peana che una rete rai sta facendo sull’inizio dei saldi e sul fatto che le persone hanno speso tanto … e pensicchiando che si potrebbero cambiare i nomi dei mesi dell’anno a seconda della “festa” o dell’ iniziativa che spinge a spendere: vacanze, turismo, halloween, black friday, regalidinatale, cenoni di capodanno, sorpresedell’epifania, saldi, sanvalentino, carnevale, festa del papà, … e … evviva, si spende si compra, l’economia funziona … E … gli esseri umani funzionano??!!?? )

321. l’insostenibile pesantezza dei modelli

416911481_6975898835835612_5818034283627671399_n

E’ lungo da dire.
E oggi ho visto una rosa rossa fiorita. che sembra non entrarci niente, e invece c’entra eccome, è una conseguenza, una delle conseguenze.
La parola chiave della magnificente vignetta del genio Schulz è, in questo caso, “somigliano” e il concetto che sottolineo è quello espresso dal termine.
Cosa già scritta in questo mio blogghino, ma è talmente devastante che occorre ripeterla, e prenderne coscienza.
Vado velocemente.
Si apprende per imitazione e per creatività immaginativa, nonché, poi, per esperienza. Insomma, tutto ciò che costituisce l’apprendimento, è un  insieme di elementi in equilibrio tra loro.
Da tempo, l’aspetto imitativo è potenziato in maniera forte, da mezzi di comunicazione di massa, e, tra questi, quelli che comunicano con le immagini (televisione [pubblicità, trasmissioni, film], cinema, foto, ecc.) sono proprio i maggiori fautori del potenziamento dell’aspetto imitativo.
Imitativo di cosa? Di modelli proposti in ogni dove in ogni modo, soprattutto con i modi impliciti che più in profondo e velocemente arrivano alle persone, trasformate – come già detto e ridetto in questo blogghino- in consumatori, fruitori, spettatori: cioè in “figure” che imitano i modelli, chiamando tutto ciò “realtà”, “questi sono i tempi da vivere”, “moda”, “fanno tutti così”, ecc., insomma esprimendo linguisticamente l’adesione ai modelli a seconda del livello cultural-nozionistico di appartenenza, e non certo a livello di consapevolezza di ciò che sta accadendo.
L’equilibrio degli elementi che costituiscono l’apprendimento è stato fortemente alterato e sbilanciato verso l’imitazione.
La rete contribuisce anch’essa a questo sfacelo.
Questo andamento sembra non fermarsi, nonostante gli avvertimenti di chi, nel settore educativo e formativo, da tempo ha rilevato questa tendenza negativa.
Di Platone e del suo mondo ideale da tempo potremmo fare a meno. Soprattutto se, analizzando i modelli – di qualsiasi tipo e di qualsiasi epoca – ci accorgiamo che cambiano nel volgere del tempo e, attualmente, il cambiamento ha assunto una velocità vertiginosa, sulla spinta di un modello di economia che rivela sempre più i suoi limiti folli dati da una sua sopravvivenza basata sul maggiore progressivo consumo.

Le mode. Di ogni tipo.
Il consumo. Di ogni tipo.
Da denigrare e affossare chi dice il contrario. A meno che quel contrario non diventi a sua volta di moda, perché vi si intravede una possibilità di guadagno e di consumo.
Ne è un triste e doloroso esempio l’ecologia.
I pericoli insiti nel modello di vita intrapreso dopo la seconda guerra  mondiale, in Italia furono segnalati dal Club di Roma  nei primi anni Settanta del Novecento; e si creò all’epoca un movimento denigratorio, quei pericoli vennero fatti  passare come ostacoli alle “magnifiche sorti e progressive”, all’incedere di una modernità che, appunto, basava, in quegli anni, il consumismo come elemento identitario, e un modello americano come traino di questa identità, che tale non era, ma appunto, modello, imitazione. A queste imitazioni i mezzi di “imitazione di massa” hanno fatto da gigantesco megafono, mascherando con immagini mulinobiancolesche l’infimo processo in atto.
Poi, a un certo punto, sembra essere esplosa una coscienza ecologica, e per molte persone sicuramente è accaduto e accade; ma ciò che viene proposto come modello è sempre qualcosa che implementa la strada intrapresa del consumo, e questo è un elemento sicuramente più palese a chi vive da sempre in contatto con la natura.
E le rose fioriscono i primi di gennaio, e il cielo è terso, e la temperatura è dolce. E nel dopoguerra furono fatte svuotare progressivamente le campagne, e le persone furono indirizzate nelle città, nelle fabbriche. E la terra fu fatta apparire come il mondo sporco, arretrato, un mondo di cui quasi vergognarsi, il passato da cancellare; e la città e le fabbriche furono scintillate come il mondo pulito, moderno, perfetto, quello da anelare, il futuro verso cui camminare.

Ma i modelli sono pesanti da portare, sono fardelli che trasformano succhiano seccano l’identità: la fissano in uno solo degli aspetti che la costituiscono; pietrificano il suo flusso dinamico come fossero sguardi di Medusa.
I modelli, le mode, gli influencer; religioni e teologie che affossano i messaggi etici e d’amore che ne sono alla base.
Sono fardelli pesanti che omologano comportamenti perché ancor prima hanno omologato il pensiero. E ancor prima la capacità che gli esseri umani hanno di sapere e potere guardare se stessi. No, non vediamo più chi siamo; non lo sappiamo.
Montale ce lo disse: “Non chiederci la formula che mondi possa aprirti [… ] Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo,  ciò che non vogliamo”: E, comunque, già sarebbe un bel passo avanti sapere che “non sappiamo”, ma certe soglie – Montale scriveva nel 1923- sono state superate da un bel po’.
L’incertezza in cui mano a mano  siamo scivolati, non è data solo da contesti sociali, problemi di lavoro, ecc.; ma è da considerare e includere anche questo elemento, cioè il potenziamento dell’imitazione, e di imitazione di modelli negativi, limitanti. Per questo poi si arriva a parlare solo in negativo, come sottolinea Montale, in un circolo disfunzionalissimo e vizioso di crescente incertezza.

Modelli negativi, limitanti. Sì. Perché non è assoluto che non si debbano avere modelli -apprendiamo anche per imitazione, appunto- ma è da chiarire che il modello serve a suggerire un come, un processo che poi si personalizza, e non il cosa, che invece fa scomparire ciò che non è quella stessa cosa.
Ma tutto ciò che viene fatto tacere, poi parla in altro modo.
E di questo rifletteremo tra un po’.

Ed ecco allora, che ci sentiamo vivere solo se somigliamo a qualcuno a qualcosa, al cosa di qualcuno o di qualcosa.
Charlie Brown e Lucy sembrano avere coscienze stellari rispetto alle nostre, ridotte e abusate.
E forse sì, sono più veri di chi li sta leggendo.

“Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.”
(Eugenio MontaleOssi di seppia, Torino, Piero Gobetti Editore 1925)

 

320. altri sguardi sul Capodanno e “altro”, dalle vette poetiche di Eugenio Montale

IL PRIMO GIORNO DELL’ANNO

So che si può vivere
non esistendo,
emersi da una quinta, da un fondale,
da un fuori che non c’è se mai nessuno
l’ha veduto.
So che si può esistere
non vivendo,
con radici strappate da ogni vento
se anche non muove foglia e non un soffio increspa
l’acqua su cui s’affaccia il tuo salone.
So che non c’è magia
di filtro o d’infusione
che possano spiegare come di te s’azzufino
dita e capelli, come il tuo riso esploda
nel suo ringraziamento
al minuscolo dio a cui ti affidi,
d’ora in ora diverso, e ne diffidi.
So che mai ti sei posta
il come – il dove – il perché,
pigramente rassegnata al non importa,
al non so quando o quanto, assorta in un oscuro
germinale di larve e arborescenze.
So che quello che afferri,
oggetto o mano, penna o portacenere,
brucia e non se n’accorge,
né te n’avvedi tu animale innocente
inconsapevole
di essere un perno e uno sfacelo, un’ombra
e una sostanza, un raggio che si oscura.
So che si può vivere
nel fuochetto di paglia dell’emulazione
senza che dalla tua fronte dispaia il segno timbrato
da Chi volle tu fossi…e se ne pentì.
Ora,
uscita sul terrazzo, annaffi i fiori, scuoti
lo scheletro dell’albero di Natale,
ti accompagna in sordina il mangianastri,
torni indietro, allo specchio ti dispiaci,
ti getti a terra, con lo straccio scrosti
dal pavimento le orme degli intrusi.
Erano tanti e il più impresentabile
di tutti perché gli altri almeno parlano,
io, a bocca chiusa.
(Satura, Milano Mondadori, 1971)

Il “tu” a cui si rivolge Montale è sua moglie, Drusilla Tanzi, detta Mosca.
Ed ecco un’altra poesia di Montale dedicata alla moglie.
Così, per non farci mancare niente, in un Capodanno che speriamo di riflessione.

EX VOTO

Accade
che le affinità d’anima non giungano
ai gesti e alle parole ma rimangano
effuse come un magnetismo. È raro
ma accade.

Può darsi
che sia vera soltanto la lontananza,
vero l’oblio, vera la foglia secca
più del fresco germoglio. Tanto e altro
può darsi o dirsi.

Comprendo
la tua caparbia volontà di essere sempre assente
perché solo così si manifesta
la tua magia. Innumeri le astuzie
che intendo.

Insisto
nel ricercarti nel fuscello e mai
nell’albero spiegato, mai nel pieno, sempre
nel vuoto: in quello che anche al trapano
resiste.

Era o non era
la volontà dei numi che presidiano
il tuo lontano focolare, strani
multiformi multanimi animali domestici;
fors’era così come mi pareva
o non era.

Ignoro
se la mia inesistenza appaga il tuo destino,
se la tua colma il mio che ne trabocca,
se l’innocenza è una colpa oppure
si coglie sulla soglia dei tuoi lari. Di me,
di te tutto conosco, tutto
ignoro.
(Satura, Milano Mondadori, 1971)

https://it.wikipedia.org/wiki/Eugenio_Montale

319. e che a fare un anno buono sia capace ognuno di noi: “¿Quién dijo que todo está perdido? Yo vengo a ofrecer mi corazón.”

FB_IMG_1703977463353

Che sia un Anno Buono, e che a farlo buono sia capace ognuno di noi, con consapevolezza e responsabilità.

FITO PAEZ

¿Quién dijo que todo está perdido?

Yo vengo a ofrecer mi corazón.Tanta sangre que se llevó el río,
yo vengo a ofrecer mi corazón.

No será tan facil, ya sé que pasa.
No será tan simple como pensaba.
Como abrir el pecho y sacar el alma, ‎
una cuchillada de amor.

Luna de los pobres, siempre abierta,
yo vengo a ofrecer mi corazón.
Como un documento inalterable,
yo vengo a ofrecer mi corazón.

Y uniré las puntas de un mismo lazo,
y me iré tranquilo, me iré despacio,
y te daré todo y me darás algo,
algo que me alivie un poco nomás.

Cuando no haya nadie cerca o lejos,
yo vengo a ofrecer mi corazón.
Cuando los satélites no alcancen,
yo vengo a ofrecer mi corazón.

Hablo de países y de esperanza,
hablo por la vida, hablo por la nada,
hablo por cambiar esta, nuestra casa,
de cambiarla por cambiar nomás.

‎¿Quién dijo que todo está perdido?
Yo vengo a ofrecer mi corazón.‎

 

317. sul finir dell’anno un po’ di cose e un po’ di musica scelta dai miei mici :-) e con poesia finale

Innanzi tutto grazie ai miei mici.
Per puro caso ho scoperto che amano ascoltare Julio Iglesias, i Notturni di Chopin, il jazz classico.
Stiamo esplorando altri orizzonti musicali.

PRIMA COSA 🙂
DEDICATE AI MIEI GENITORI, NOTE CHE HANNO AMATO, E CHE ABBBIAMO BALLATO. ORA LE PIAZZE SEMBRANO VUOTE, PERCHE’ NON CI SONO  PIU’ I NOSTRI PASSI RITMATI, BABBO, E IL TUO SGUARDO ALLEGRO, MAMMA, CHE CI GUARDAVI CONTENTA DAL BORDO DELLA PISTA.
O ANCHE SENTIRTI CANTARE, BABBO, CON LA TUA VOCE MERAVIGLIOSA. AVEVI LA MUSICA DENTRO.
SCEGLIESTI DI NON BALLARE PIU’, PERCHE’ LA MAMMA NON BALLAVA, ANCHE SE LEI NON TE LO AVEVA CHIESTO.
VI SIETE INCONTRATI SEMPRE, CON LE SCELTE CHE SOSTENEVANO L’UN L’ALTRO.
NON VI SIETE FERMATI ALLE INCOMPRENSIONI, VI SIETE SPIEGATI; NON VI SIETE FERMATI ALLA RABBIA, VI SIETE PARLATI; AVETE SUPERATO OGNI OSTACOLO INCONTRATO.
GRAZIE PER AVERMELO INSEGNATO.
MANCANO I VOSTRI SORRISI, I VOSTRI RIMPROVERI, LA VOSTRA GENEROSITA’, IL VOSTRO AFFETTO SINCERO.
MA LI AVETE DONATI A ME, E AL MONDO; E ORA CIRCOLANO COME ENERGIE POSITIVE, COME FIORI PROFUMATI, COME RADICI PROFONDE. GRAZIE.

LA PALOMA
https://www.youtube.com/watch?v=I1hXrV7oRtk
LA CUMPARSITA
https://www.youtube.com/watch?v=YNMcHaLhwlg
A MEDIA LUZ
https://www.youtube.com/watch?v=RnL3GzCNLrY
FELICITA’
https://www.youtube.com/watch?v=xUj-lfx6vbo
LA RIVA BIANCA LA RIVA NERA
https://www.youtube.com/watch?v=NWjZD37rkhM
UN FIUME AMARO
https://www.youtube.com/watch?v=j69NsrQd1vs
UN CANTO A GALICIA
https://www.youtube.com/watch?v=j802Z7PmLQM
PAESE MIO CHE STAI SULLA COLLINA (CHE SARA’)
https://www.youtube.com/watch?v=JBdZqEggolk

 

 

SECONDA COSA 🙂
UN PO’ DI AMORE, UN PO’ DI EROS, UN PO’ DI QUELLO CHE PENSIAMO SIA AMORE E INVECE … E’ UN CALESSE

EL AMOR
https://www.youtube.com/watch?v=iGvRo7VOV_M
ABRAZAME
https://www.youtube.com/watch?v=D5PsCqxDa_0
QUE NO SE ROMPA LA NOCHE
https://www.youtube.com/watch?v=uLLu_SKbJy0
ALLE PRESE CON UNA VERDE MILONGA
https://www.youtube.com/watch?v=EuEfhz0OCwA
BAILA MORENA
https://www.youtube.com/watch?v=U3gOBGupOm0
MAL ACOSTUMBRATO
https://www.youtube.com/watch?v=Jb4d3H6yvrQ
MILONGA SENTIMENTAL
https://www.youtube.com/watch?v=jdKdPQNEZzU

Una nota sul testo di “Baila Morena” 🙂
Chi  ha guardato e ha scritto ha avuto occhi e cuore che amano.
E ha visto nella sua amata il mondo intero :
“Tiene cosas de blanca
Tiene cosas de negra
Tiene cosas de india”
Ancora grazie ai miei mici per l’emozione provata ascoltando questi tre versi.

 

 

TERZA COSA 🙂
RIFLESSIONI SUL TEMPO CHE PASSA, SULLA VITA

ME OLVIDE’ DE VIVIR

https://www.youtube.com/watch?v=jSYYq8cXdlc
AGUA DULCE AGUA SALA’
https://www.youtube.com/watch?v=XQd_DkSG16M

 

 

QUARTA COSA 🙂
BUON ANNO NUOVO

359797354_9554912701249469_597387869518608481_n

CHOPIN  – NOCTURNES
https://www.youtube.com/watch?v=-gDinVAmtA0&t=612s

 

JORGE LUIS BORGES, FINE D’ANNO

Né la minuzia simbolica
di sostituire un tre con un due
né quella metafora inutile
che convoca un attimo che muore e un altro che sorge
né il compimento di un processo astronomico
sconcertano e scavano
l’altopiano di questa notte
e ci obbligano ad attendere
i dodici e irreparabili rintocchi.
La causa vera
è il sospetto generale e confuso
dell’enigma del Tempo;
è lo stupore davanti al miracolo
che malgrado gli infiniti azzardi,
che malgrado siamo
le gocce del fiume di Eraclito,
perduri qualcosa in noi:
immobile.

(tratta dalla prima raccolta di Borges, “Fervore di Buenos Aires”, 1923)

 

316. nascere

“Sì, non credo di essere venuto al mondo per niente; credo che ci fosse in me qualcosa di cui il mondo non poteva fare a meno.”
(Paul Claudel, citato da Annie Ernaux -Premio Nobel per la letteratura  2022 – in un suo romanzo)
 mother-earth-pregnant-woman-2
C’è una sproporzione nel modo in cui la rivelazione natalizia ci viene presentata. Le Scritture dicono, per esempio, che il male sarà sradicato, che l’arsenale di guerra sarà archiviato, che ogni violenza si estinguerà come cenere, e che noi vedremo questo. “Ma in che modo?”, giustamente ci domandiamo. La risposta non potrebbe essere più sconcertante: «Perché un bambino è nato per noi. Ci è stato dato un figlio». Dio davvero agisce in modo sorprendente e paradossale. Conta sulla fragilità come forza, ci spiega che non si vince la violenza con la violenza, né l’oppressione con un’altra oppressione. È da qui che dobbiamo partire: da un neonato indifeso buttato su una mangiatoia. Per questo dobbiamo, credere di più nella potenzialità che ha la vita fragile, la vita nuda. Dio illumina e rilancia la vita nella sua condizione più piccola, la vita minima, la vita che soltanto nasce, la vita pura, senza ritocchi, senza ornamenti, la vita e niente più. La sfida sta nel credere nelle possibilità che questa vita innesca in noi. Il Natale ci lascia un presente tra le mani: ci affida un verbo per ogni giorno dell’anno. E questo verbo è “nascere”. Un avvenimento che normalmente situiamo al principio della vita e che pensiamo possa accadere un’unica volta. Ora, il Natale ci consegna il verbo nascere come un programma di vita, una mappa sempre da completare, sempre da rifare. Quel bambino che il Natale celebra dice a ciascuno: “E adesso nasci tu”.
 ( José Tolentino de Mendonça, Avvenire, sabato 23 dicembre 2023)

314. a-z, tutto qui

L’alfabeto italiano è costituito da 26 lettere, 21 italiane e 5 di origine classica (latina e greca). Di esse 5 sono vocali e 16 consonanti.

In queste 26 lettere è contenuto tutto il dicibile, il già detto, ciò che si sta dicendo, ciò che si dirà.
E’ la mappa delle mappe.
Eppure non la usiamo per comporre comprensione, gentilezza, giustizia, pace.

34x40-Alfabeto-Corsivo-Classico

MAPPA

alfabeto-italiano

https://www.aforismario.eu/2019/11/frasi-alfabeto.html

https://aforisticamente.com/frasi-citazioni-aforismi-su-alfabeto/

https://www.treccani.it/enciclopedia/alfabeto_(Enciclopedia-dell’Italiano)/

https://it.wikipedia.org/wiki/Alfabeto

SI POTREBBE PARLARE COSI’

       E   I N V E C E

https://it.wikipedia.org/wiki/Parole_parole

images (1)

MA E’ POSSIBILE

161982569-mappa-del-mondo-dal-modello-di-lettere-sparse-dell-alfabeto-latino-nero-illustrazione-vettoriale

https://www.youtube.com/watch?v=gD4mpyEHiFo

 

313. a-z: “ricostruire” una “verità” “plausibile” “condivisa”

“AZ un fatto come e perché”, trasmissione RAI, anni ’70
https://it.wikipedia.org/wiki/AZ,_un_fatto_come_e_perch%C3%A9

“Nella sostanza, lo scopo della trasmissione era ricostruire – secondo il modello dell’analisi giudiziaria di cultura anglosassone – una “verità” plausibilmente condivisa riguardo ad uno specifico tema.”

ttps://www.raiplay.it/programmi/azunfattocomeeperch

sigla della trasmissione AZ un fatto come e perché

310. “essere franco all’altro come a sé, sognando gli altri come ora non sono: ciascuno cresce solo se sognato”

IMG_20230919_095333

C’è chi insegna
guidando gli altri come cavalli
passo per passo:
forse c’è chi si sente soddisfatto
così guidato.

C’è chi insegna lodando
quanto trova di buono e divertendo:
c’è pure chi si sente soddisfatto
essendo incoraggiato.

C’è pure chi educa, senza nascondere
l’assurdo ch’è nel mondo, aperto ad ogni
sviluppo ma cercando
d’essere franco all’altro come a sé,
sognando gli altri come ora non sono:
ciascuno cresce solo se sognato.

(Danilo Dolci)