Truncare sas cadenascun sa limba e sa cultura sarda - de Frantziscu Casula. |
CERCA IN QUESTO BLOG
I MIEI LINK PREFERITI
AREA PERSONALE
TAG
MENU
I MIEI BLOG AMICI
I MIEI LINK PREFERITI
Messaggi di Luglio 2016
Post n°870 pubblicato il 08 Luglio 2016 da asu1000
Alcune motivazioni perché Umberto I di Savoia non è degno di essere intestatario di una Via, una Piazza o altri simili ed equivalenti "onori" e riconoscimenti nei paesi e nelle città della Sardegna.
Durante il suo regno (1900-1946) Vittorio Emanuele III fu connivente e spesso attivo sostenitore di scelte sciagurate e funeste per l'intera Italia e per la Sardegna in particolare, per le conseguenze devastanti che quelle scelte comportarono. Per cui il giudizio della storia sulla sua figura è spietato e senza appello. Egli infatti è, in quanto re e dunque capo dello stato, responsabile o comunque corresponsabile della partecipazione dell'Italia alle due grandi guerre e del Fascismo. Anche durante il suo regno, fin dall'inizio del Novecento, continua la repressione violenta nei confronti della protesta popolare e dei movimenti di opposizione.
1. Repressione poliziesca agli inizi del Novecento in Sardegna: L'eccidio di Buggerru. La sommossa di Cagliari , Villasalto e Iglesias Ricollegandosi al clima di repressione di fine secolo in Italia con la strage di Milano, nel romanzo Paese d'ombre Giuseppe Dessì scrive a proposito dell'eccidio di Buggerru: Bava Beccaris era nell'aria e con esso il suo demente insegnamento. Anche a Buggerru, allora importante centro minerario, l'esercito, come a Milano nel 1898, sparò sulla folla inerme. Il 4 settembre del 1904 nel paese di Buggerru giunsero da Cagliari due compagnie del 42° reggimento di fanteria. La folla che gremiva la strada principale del paese li accolse in un silenzio ostile. Poco dopo i soldati con le baionette già cariche si schierarono in assetto da guerra all'esterno dell'Albergo dove alloggiavano. Le minacce e i tentativi di disperdere con la forza i manifestanti da parte dei soldati non sortirono alcun effetto. Fu allora che i soldati imbracciarono i moschetti e spararono sulla folla inerme. La tragedia si consumò in pochi minuti: sulla terra battuta della piazza giacevano una decina di minatori. Due, Felice Littera di 31 anni, di Masullas, e Giovanni Montixi di 49 anni, di Sardara, erano morti. Un terzo, Giustino Pittau, di Serramanna, colpito alla testa, morì in ospedale. Un mese dopo anche il ferito Giovanni Pilloni perì. A Cagliari due anni dopo nel 1806, in seguito a una sommossa popolare contro il caro vita ci furono 10 morti. "Alla notizia dei morti di Cagliari - scrive Natale Sanna - insorsero subito i centri minerari dell'Iglesiente con richieste varie, scioperi, saccheggi, scontri con i soldati, morti (due a Gonnesa e duie a Nebida) e feriti (17 a Gonnesa e quindici a Nebida) fra i dimostranti" (Natale Sanna, Il cammino dei Sardi, volume terzo, Editrice Sardegna, Cagliari, 1986, pagina 472). Duramente repressi furono anche gli scioperi e le manifestazioni che si innescarono sempre dopo i fatti di Cagliari a Villasimius, San Vito, Muravera, Abbasanta, Escalaplano, Villasalto (con 6 morti e 12 feriti). Mentre a Iglesias nel 1920 i carabinieri sparano su una manifestazione di minatori causando 7 morti.
2. Vittorio Emanuele III e la Prima Guerra mondiale La decisione di entrare in guerra fu presa esclusivamente dal sovrano, in collaborazione con il primo ministro Salandra, desideroso com'era di completare la cosiddetta "unità nazionale" con la conquista di Trento e Trieste, ancora in mano austriaca. il conflitto fu, come noto, tremendo per le forze armate italiane, che andarono incontro ad una spaventosa carneficina, tra il fango, la neve delle trincee e tra indicibili stragi e sofferenze. Fu lo stesso Papa Benedetto XV a definire quella guerra una inutile strage. Ma in una enciclica del 1914 Ad Beatissimi Apostolorum Principis lo stesso papa era stato ancora più duro definendola una gigantesca carneficina. Sarà il sardo Emilio Lussu, in una suggestiva testimonianza storica e letteraria come Un anno sull'altopiano a descrivere gli orrori di quella guerra. Egli infatti al fronte però sperimenterà sulla propria pelle l'assurdità e l'insensatezza della guerra: con la protervia e la stupidità dei generali che mandano al macello sicuro i soldati; con i miliardi di pidocchi, la polvere e il fumo, i tascapani sventrati, i fucili spezzati, i reticolati rotti, i sacrifici inutili. Una guerra che comportò oltre a immani risorse (e sprechi) economici e finanziari immani lutti, con decine di migliaia di morti, feriti, mutilati e dispersi. A pagare i costi e il fio maggiore fu la Sardegna: "Pro difender sa patria italiana/distrutta s'este sa sardigna intrea, cantavano i mulattieri salendo i difficili sentieri verso le trincee, ha scritto Camillo Bellieni, ufficiale della Brigata" (Brigaglia, Mastino, Ortu, Storia della Sardegna, Editori Laterza, 2002, pagina 9). Infatti alla fine del conflitto la Sardegna avrebbe contato bel 13.602 morti (più i dispersi nelle giornate di Caporetto, mai tornati nelle loro case). Una media di 138,6 caduti ogni mille chiamati alle armi, contro una media "nazionale" di 104,9. E a "crepare" saranno migliaia di pastori, contadini, braccianti chiamati alle armi: i figli dei borghesi, proprio quelli che la guerra la propagandavano come "gesto esemplare" alla D'Annunzio o, cinicamente, come "igiene del mondo" alla futurista, alla guerra non ci sono andati. La retorica patriottarda e nazionalista sulla guerra come avventura e atto eroico, va a pezzi. Abbasso la guerra, "Basta con le menzogne" gridavano, ammutinandosi con Lussu, migliaia di soldati della Brigata Sassari il 17 Gennaio 1916 nelle retrovie carsiche, tanto da far scrivere allo stesso Lussu - in Un anno sull'altopiano - Il piacere che io sentii in quel momento, lo ricordo come uno dei grandi piaceri della mia vita. In cambio delle migliaia di morti, - per non parlare delle migliaia di mutilati e feriti - ci sarà il retoricume delle medaglie, dei ciondoli, delle patacche. Ma la gloria delle trincee - sosterrà lo storico sardo Carta- Raspi - non sfamava la Sardegna. Sempre Carta Raspi scrive:"Neppure in seguito fu capito il dramma che in quegli anni aveva vissuto la Sardegna, che aveva dato all'Italia le sue balde generazioni, mentre le popolazioni languivano fra gli stenti e le privazioni. La gloria delle trincee non sfamava la Sardegna, anzi la impoveriva sempre di più, senza valide braccia, senza aiuti, con risorse sempre più ridotte. L'entusiasmo dei suoi fanti non trovava perciò che scarsa eco nell'isola, fiera dei suoi figli ma troppo afflitta per esaltarsi, sempre più conscia per antica esperienza dello sfruttamento e dell'ingratitudine dei governi, quasi presaga dell'inutile sacrificio. Al ritorno della guerra i Sardi non avevano da seminare che le decorazioni:le medaglie d'oro. d'argento e di bronzo e le migliaia di croci di guerra; ma esse non germogliavano, non davano frutto". (Raimondo Carta Raspi, Storia della Sardegna, Ed. Mursia, Milano, 1971, pagina 904)
3. Vittorio Emanuele III e il Fascismo. Una delle massime responsabilità storiche di Vittorio Emanuele III fu l'aver favorito l'avvento e l'affermarsi del Fascismo. In seguito alla cosiddetta Marcia su Roma infatti, incaricò Benito Mussolini di formare il nuovo governo. Avrebbe potuto far intervenire l'esercito per combattere e disperdere gli "insorti", invece mentre le forze armate si preparavano a fronteggiare "le camicie nere", - con Badoglio fra i principali esponenti della linea, giustamente dura -, Vittorio Emanuele III si rifiutò di firmare il decreto di stato d'assedio di fatto aprendo la strada al fascismo. Poco interessa oggi sapere se lo abbia fatto per viltà, opportunismo e calcolo politico: fu comunque il re a nominare Mussolini capo del Governo dando il via alla tragedia ventennale di quel regime. Non tenendo conto che nelle ultime elezioni politiche del 1919 il movimento fascista, presentatosi nel solo collegio di Milano, con una lista capeggiata da Mussolini e Marinetti, raccolse meno di 5.000 suffragi sui circa 370.000 espressi, non riuscendo a eleggere alcun rappresentante. Non tenendo conto che i due partiti democratici e di massa nelle stesse elezioni avevano trionfato: il Partito Socialista Italiano con il 32% dei voti e 156 seggi e il neonato Partito Popolare Italiano di don Sturzo con il 20% dei voti e 100 seggi. Mussolini di fatto esautorerà la stessa monarchia che beata e beota si godeva il suo "impero" di sabbia con le conquiste imperiali, che evidentemente riteneva dessero lustro e prestigio alla stessa monarchia, non comprendendo che invece di volare stava precipitando e con essa l'intero popolo italiano e quello sardo in primis! Abbeverato di olio di ricino, internato nelle galere e esiliato al confino, condannato per ben quattro lustri ad ulteriore sottosviluppo. Scrive Carta Raspi:"Mussolini più volte aveva fatto grandi promesse alla Sardegna e aveva pure stanziato un miliardo da rateare in dieci anni. Era stato tutto fumo, anche perché né i ras né i gerarchi e i deputati isolani osarono chiedergli fede alle promesse. Già sarebbero state briciole; ormai le aquile imperiali spaziavano nel mediterraneo e oltre tutto veniva inghiottito dalla Libia, poi dalla conquista dell'Abissinia e dalla guerra di Spagna. Solo all'inizio della seconda guerra mondiale Mussolini si ricordò della Sardegna, per attribuirle il ruolo di portaerei al centro del Mediterraneo occidentale". (Raimondo Carta Raspi, op, cit. pagina 914). In conclusione Vittorio Emanuele III non separò mai le sorti e le responsabilità della dinastia da quelle del regime: sul piano interno non si oppose alla graduale soppressione delle libertà garantite dallo Statuto e non si oppose neppure all'infamia delle leggi razziali e sul piano estero non si oppose alla seconda guerra mondiale.
4. Vittorio Emanuele e la seconda guerra mondiale La seconda guerra mondiale rappresenterà l'evento più drammatico che mai si sia verificato nella storia dell'umanità. Scrive lo storico Franco della Peruta facendo una analisi complessiva:"Il bilancio del conflitto appariva sconvolgente perché la guerra, l'ecatombe più micidiale degli annali del genere umano, tre volte superiore a quella della grande guerra - aveva fatto 50 milioni di vittime fra militari e civili...Alle perdite umane si sommarono quelle materiali, in seguito ai gravissimi danneggiamenti che colpirono molte città della Cina, del Giappone e della Germania e alle distruzioni subite dall'unione sovietica, dove furono pressoché rase al suolo 1700 città e 70.000 villaggi". (Franco Della Paruta, Storia del Novecento, Le Monnier, Firenze, 1991, pagine 249-250). Anche la Sardegna pagò un grande tributo. Scrive a questo proposito lo storico sardo Natale Sanna: "Durante l'ultima guerra la Sardegna, per la sua posizione strategica, le importanti basi navali e i circa quindici campi di aviazione in essa dislocati attirò l'attenzione dei comandi alleati. Dovette perciò subire, fin dai primi anni del conflitto, numerosi bombardamenti dapprima di lieve entità, ma poi, dopo lo sbarco americano nell'Africa settentrionale, frequentissimi e massicci. Furono danneggiati circa 25 comuni, fra cui Alghero, Carloforte, Carbonia, La Maddalena, Sant'Antioco, Palmas Suergiu, Setzu, Olbia, Oristano, Milis e, più gravemente degli altri, Gonnosfanadiga, dove si ebbero 114 morti e 135 feriti. Presa di mira fu soprattutto Cagliari. Le tristi giornate del 17, 26, 28 febbraio 1943 e quella del 13 maggio (per citare le più terribili) non saranno mai dimenticate dai Cagliaritani, che hanno visto la furia devastatrice venire dal cielo e distruggere la loro città, sventrando interi rioni, sconvolgendo le vie, lasciandosi dietro una scia di cadaveri e di feriti nelle strade e nelle macerie. Migliaia di morti (che alcuni fanno ascendere a 7.00 e il 75% dei fabbricati distrutti o resi inabitabili, furono il tragico bilancio di quei giorni. (Natale Sanna, Il cammino dei Sardi, volume terzo, Editrice Sardegna, Cagliari, 1986, pagine 487-488).
5. Vittorio Emanuele III e la fuga a Brindisi. Persa ormai la guerra e convinto ormai che il disastroso esito del conflitto potesse segnare non solo la fine del regime fascista ma anche quello della monarchia, Vittorio Emanuele arresta Mussolini (25 luglio 1943) e nomina nuovo capo del Governo il maresciallo Badoglio. Il giorno dopo l'Armistizio, il 9 settembre, insieme a Badoglio stesso abbandona Roma e fugge prima a Pescara e poi a Brindisi, nella zona occupata dagli alleati. L'ignominiosa fuga avrà conseguenze devastanti. E la Sardegna pagherà un altissimo tributo a questa fuga: 12.000 mila i soldati sardi IMI (fra i 750-800 mila militari italiani fatti prigionieri dai tedeschi dopo l'armistizio) verranno rinchiusi nei lager nazisti. Per spiegare un numero così alto di militari sardi deportati occorre capire la situazione in cui si trovarono nei fronti di guerra (Grecia, Albania, Slovenia, Dalmazia) dopo l'8 settembre. Con la difficoltà di tornare in Sardegna e sbandati, - non esistendo più una unità di comando e di direzione - essi furono posti di fronte all'alternativa di aderire alla RSI (Repubblica sociale di Salò) o di diventare prigionieri dei tedeschi e dunque di essere imprigionati nei lager. Abbandonati da Badoglio, quasi nessuno aderì alla RSI e dunque il loro destino fu segnato.
|
Post n°869 pubblicato il 04 Luglio 2016 da asu1000
Vittorio Emanuele II di Savoia Vittorio Emanuele II è stato l'ultimo re di Sardegna (dal 1849 al 1861) e il primo re d'Italia (dal 1861 al 1878). Nonostante gli smisurati elogi da parte di tutta la pubblicistica patriottarda, - fu soprannominato il re galantuomo - tesa ad esaltare le magnifiche sorti e progressive del Risorgimento italiano, la sua opera nei confronti della nostra Isola sia come ultimo re di Sardegna sia come primo re d'Italia, fu nefasta.
1. Vittorio Emanuele ultimo re di Sardegna. Con Vittorio Emanuele II, dopo la Fusione Perfetta con gli stati del continente, la Sardegna perderà ogni forma residuale di sovranità e di autonomia statuale per confluire nei confini di uno stato più grande e il cui centro degli interessi risultava radicato interamente sul continente. L'Unione Perfetta non apportò alcun vantaggio all'Isola, né dal punto di vista economico, né da quelli politico, sociale e culturale. Tale esito fallimentare, fu ben chiaro sin dai primi anni con l'aggravamento fiscale e una maggiore repressione che sfociò nello stato d'assedio, - che divenne sistema di governo - sia con Alberto la Marmora (1849) che con il generale Durando (1852). Gianbattista Tuveri scrisse che dopo la fusione perfetta del 1847, la Sardegna era diventata una fattoria del Piemonte, misera e affamata da un governo senza cuore e senza cervello. Ad esemplificare l'estraneità della Sardegna al Piemonte basta un episodio paradigmatico: Giovanni Siotto Pintor, uno di quegli intellettuali sardi che nel novembre del 1847 più si era adoperato perché si raggiungesse l'obiettivo della fusione con il Piemonte, all'ingresso di Palazzo Carignano viene fermato dal portiere. Il suo abbigliamento ( si era presentato con il costume caratteristico dei sardi , con sa berritta, orbace e cerchietto d'oro all'orecchio) contrastava con l'eleganza e severità dei suoi colleghi piemontesi o liguri o savoiardi della Camera di nomina regia. Per questo si dice che entrò nell'aula del Senato solo dopo aver vinto con la forza le resistenze del portiere che evidentemente aveva una qualche difficoltà a riconoscere in lui un Senatore. Il secondo episodio venne denunciato con una lettera al Presidente della Camera dal deputato di Sassari Pasquale Tola, che, quando nel maggio del 1848 in occasione di una riunione con i colleghi delle altre province, rimarcò l'assenza dell'emblema della Sardegna nell'aula dove,invece, erano dipinti e diversamente raffigurati quelli delle altre province del Regno.
2. Vittorio Emanuele I re d'Italia Le cose per la nostra Isola con cambiano con l'Unità d'Italia. Se è possibile, anzi, si aggravano, ad iniziare dal campo fiscale.
a. Campo fiscale Scrive a questo proposito Natale Sanna: "La pesante contribuzione di guerra imposta dal Radestzky dopo le sfortunate campagna del 1948/49 e, soprattutto, la politica economica e militare del Cavour nel decennio di preparazione costrinsero il governo a un inasprimento della pressione fiscale. Mentre il Piemonte si avvantaggiava della politica di libero mercato e di rinnovamento, propugnata dai liberali, con l'incremento dei traffici, con la costruzione di strade e di linee ferroviarie, col progresso dell'agricoltura e col sorgere di industrie, la Sardegna, provincia periferica e priva di capitali, fu chiamata unicamente a contribuire con il suo danaro...Quando poi si decise di far pagare sul reddito fondiario si commise un'ingiustizia ancora più grave. Per le province piemontesi più povere (Valsesia, Domodossola) l'imposta fu fissata nell'1,32% del reddito, per le più ricche (Torino, Lomellina) nel 10% e per le medie del 6%. Tutta la Sardegna fu equiparata alle più ricche e la sua aliquota fu fissata nel 10% (Natalino Sanna, Il cammino dei sardi, vol.III, Editrice Sardegna, pagina 439) Le tasse che la Sardegna paga sono dunque superiori alla media delle tasse che pagano le altre regioni italiane, talvolta persino superiori a quelle delle regioni più ricche. Scrive Giuseppe Dessì nel romanzo Paese d'ombre "La legge del 14 luglio 1864 aveva aumentato le imposte di cinque milioni per tutta la penisola, e di questi oltre la metà furono caricati sulla sola Sardegna, per cui l'isola si vide triplicare di colpo le tasse. In molti paesi del Centro, quando gli esattori apparivano all'orizzonte, venivano presi a fucilate e se ne tornavano, a mani vuote, ma più spesso l'esattore, spalleggiato dai Carabinieri, metteva all'asta casette e campicelli e tutto questo senza che nessuno tentasse di difendere gli isolani. I politici legati agli interessi del governo, predicavano la rassegnazione. I sardi si convincevano di essere sudditi e non concittadini degli italiani...". Durante il suo regno fu istituita (1868) anche la tassa sul macinato, l'imposta più odiosa di tutte, "perché gravava sulle classi più povere, consumatrici di pane e di pasta e particolarmente dura in Sardegna, dove il grano veniva di solito macinato nelle macine casalinghe fatte girare dall'asinello". (Natalino Sanna, Il cammino dei sardi, vol.III, Editrice Sardegna, pagina 440).
Campo politico generale Si dirà comunque che l'Unità d'Italia fu un fatto positivo. Anche su questo occorre iniziare a fare "le pulci". Positivo per chi? Storici, intellettuali, scrittori e studiosi oggi in particolare ma anche nel passato esprimono dubbi e critiche, iniziando a demolire miti, monumenti nazionali (come lo stesso Garibaldi) e luoghi comuni. Iniziando a denunciare gli errori e gli orrori di quella politica militarista e di "conquista militare" che sono, fra l'altro all'origine dei problemi dell'Italia moderna.
a. Nascita dell'Italia o di due Italie, con una ridotta a "colonia"? Nicola Zitara, all'inizio degli anni '70, con alcuni intellettuali fra cui, Anton Carlo e Carlo Capecelatro che verranno poi chiamati nuovi meridionalisti, iniziò una revisione del "vecchio meridionalismo" e dell'intera "Questione meridionale" dissacrando quanto tutti avevano divinizzato: il movimento e il processo, considerato progressivo e progressista del Risorgimento; mettendo in dubbio e contestando le magnifiche sorti e progressive dello Stato unitario, sempre celebrato da chi a destra, a sinistra e a centro aveva sempre ritenuto, che tutto si poteva criticare in Italia ma non l'Italia Unita e i suoi eroi risorgimentali. Zitara e i nuovi meridionalisti ( cui oggi aggiungeremmo Pino Aprile) - in modo particolare, ripeto, Edmondo Maria Capecelatro e Antonio Carlo, quest'ultimo fra l'altro per molti anni docente incaricato di diritto del lavoro all'Università di Cagliari - ritengono che il Meridione con la Sardegna, sia diventata con l'Unità d'Italia una "colonia interna" dello Stato italiano e che dunque la dialettica sviluppo-sottosviluppo si sia instaurata soprattutto nell'ambito di uno spazio economico unitario - quindi a unità d'Italia compiuta - dominato dalle leggi del capitale. Si muovono in sintonia con studiosi terzomondisti come V. Baran e Gunter Frank che in una serie di studi sullo sviluppo del capitalismo tendono a porre in rilievo come la dialettica sviluppo-sottosviluppo non si instauri fra due realtà estranee o anche genericamente collegate, ma presuma uno spazio economico unitario in cui lo sviluppo è il rovescio del sottosviluppo che gli è funzionale: in altri termini lo sviluppo di una parte è tutto giocato sul sottosviluppo dell'altra e viceversa. Così come sosterrà anche Samir Amin, che soprattutto in La teoria dello sganciamento per uscire dal sistema mondiale,riprende alcune analisi che ha sviluppato nelle opere precedenti sui problemi dello sviluppo/sottosviluppo, centro/periferia, scambio ineguale.
Per Amin il sottosviluppo è l'inverso dello sviluppo: l'uno e l'altro costituiscono le due facce dell'espansione - per natura ineguale - del capitale che induce e produce benessere, ricchezza, potenza, privilegi in un polo, nel "centro" e degradazione, miseria e carestie croniche nell'altro polo, nella "periferia". Nel sistema capitalistico mondiale infatti i centri sviluppati (i Nord del Pianeta) e le periferie (i Sud) sottosviluppati sono inseparabili: non solo, gli uni sono funzionali agli altri. Ciò a significare che il sottosviluppo non è ritardo ma supersfruttamento. In questo modo Amin contesta la lettura della storia contemporanea vista come possibilità di sviluppo graduale del Sud verso i modelli del Nord, in cui l'accumulazione capitalistica finirà per recuperare il divario. A questo proposito ecco una Breve bibliografia
A parte queste analisi, sia pure rigorose e credibili, è comunque assodato che l'Unità d'Italia si risolverà sostanzialmente nella "piemontesizzazione" della Penisola e fu realizzata dal Regno del Piemonte, dalla Casa Savoia, dai suoi Ministri - da Cavour in primis - dal suo esercito in combutta con gli interessi degli industriali del Nord e degli agrari del Sud - il blocco storico gramsciano - contro gli interessi del Meridione e delle Isole e a favore del Nord; contro gli interessi del popolo, segnatamente del popolo-contadino del Sud; contro i paesi e a vantaggio delle città, contro l'agricoltura e a favore dell'industria. C'è di più: si realizzerà un'unità biecamente centralista e accentrata, tutta giocata contro gli interessi delle periferie e delle mille città e paesi che storicamente avevano fatto la storia e la civiltà italiana. A dispetto del pensiero della gran parte degli intellettuali italiani che durante il "Risorgimento" e dopo furono federalisti e non unitaristi.
c. Unità d'Italia e peggioramento delle condizioni di vita (nel Sud e nelle Isole) La "Conquista militare" da parte del Piemonte del Sud Italia (la Sardegna era già stata "conquistata " con la Fusione perfetta), comporterà gravi conseguenze sulle condizioni di vita dei lavoratori, in primis di quelli delle campagne meridionali. Da quella scelta, da quella costosissima e sanguinosa operazione militare, deriveranno tutti i mali che affliggeranno nei secoli successivi l'Italia: il sottosviluppo del Meridione (con l'invasione piemontese e la riduzione del Sud a colonia interna e con il brigantaggio), il gravissimo deficit di democrazia (votava poco più dell'1% della popolazione) che condurrà a politiche sciagurate (come la partecipazione alla tragedia della Grande Guerra prima e al Fascismo poi).
d. Aumento debito pubblico La politica del nuovo stato unitario, centralista e statalista - il cui capo di stato, ripetiamo è il re Vittorio Emanuele II - produrrà la devastazione dell'economia. Con il crollo della produzione agricola, quello delle esportazioni, un'industria (e solo al Nord!) che nasce assistita e fuori dai principi del libero mercato. Cui occorre aggiungere un colossale debito pubblico dovuto alle guerre e alle spese militari, oltre che al malgoverno. Nel 1862, anno in cui fu presentato al Parlamento il primo bilancio del regno d'Italia, il debito nazionale era di tre miliardi di lire, all'inizio del 1891, il solo debito consolidato era di 13 miliardi di lire. Questo immenso debito era prodotto dalle guerre e dalla politica militarista.
|
Post n°868 pubblicato il 02 Luglio 2016 da asu1000
Sulla lingua sarda uno stato fuorilegge e inadempiente
|
INFO
BB
INNU
CERCA IN QUESTO BLOG
ULTIMI COMMENTI
CHI PUÒ SCRIVERE SUL BLOG
I commenti sono moderati dall'autore del blog, verranno verificati e pubblicati a sua discrezione.
MORI
Questo blog, bilingue ( in Sardo e in Italiano) a disposizione, in modo particolare, di tutti i Sardi - residenti o comunque nati in Sardegna - pubblicherà soprattutto articoli, interventi, saggi sui problemi dell'Identità, ad iniziare da quelli riguardanti la Lingua, la Storia, la Cultura sarda.
Ecco il primo saggio sull'Identità, pubblicato recentemente (in Sardegna, university press, antropologia, Editore CUEC/ISRE, Cagliari 2007) e su Lingua e cultura sarda nella storia e oggi (pubblicato nel volume Pro un'iscola prus sarda, Ed. CUEC, Cagliari 2004). Seguirà la versione in Italiano della Monografia su Gramsci (di prossima pubblicazione) mentre quella in lingua sarda è stata pubblicata dall'Alfa editrice di Quartu nel 2006 (a firma mia e di Matteo Porru).
Frantziscu Casula
Inviato da: diletta.castelli
il 11/10/2016 alle 14:12
Inviato da: amici.futuroieri
il 14/12/2013 alle 14:57
Inviato da: ormalibera
il 14/12/2013 alle 11:19
Inviato da: ledenita
il 26/11/2013 alle 10:48
Inviato da: Montalbagnosono
il 06/07/2012 alle 09:50