Creato da diamanti_diamanti il 04/02/2007
Progetto "Le storie infinite", romanzi a più mani in libreria

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Renato Fiorito è laureato a Napoli in Economia e attualmente è dirigente in un ente pubblico.

Ha pubblicato un coinvolgente giallo dal titolo "Tradimenti"
(2006, Edizioni Il Melograno)

 

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DIAMANTI - Romanzi a più mani - codice progetto AV.07.004 - Avventura, Spy story

Post n°1 pubblicato il 04 Febbraio 2007 da diamanti_diamanti
 

[Inizio del racconto]

Cosa volete che succeda in una cittadina di provincia, trentamila abitanti, le strade ben squadrate, pulite, ordinate, i lunghi portici, il vento che soffia l’aria fredda dalle vicine montagne? Per il giornale locale è un dramma trovare notizie interessanti: qualche incidente stradale, qualche ragazzata di paese, pochi furti, niente rapine, nessun omicidio. La gente esce per l’usuale passeggiata, si incontra, si saluta, un pettegolezzo sottovoce, il tintinnio delle tazze nel bar centrale, un dolcetto per i bambini. Poi, come una campanula alla fine del giorno, la città si rinserra su sé stessa, i marciapiedi si avvolgono intorno alle case ed i fanali tornano ad osservare le strade lucide e vuote, il borbottare sconnesso degli ubriachi, i discorsi incomprensibili dei pochi immigrati che non si rassegnano a quella vita reclusa e si trattengono a parlare tra loro, come se fossero ancora nelle strade dense di profumi e colori della lontana terra d’Africa.  

Per Vallechiara d’Alpe, però, quest’ultima settimana di febbraio è stata diversa dal solito. Non uno ma ben due fatti di cronaca, imprevisti, sconvolgenti hanno  messo a soqquadro la città, tanto che i giornali nazionali hanno perfino mandato i loro inviati per indagare, conoscere i particolari e chiunque abbia qualcosa da raccontare, per insignificante che sia, finisce per essere intervistato ed apparire  in televisone.

Al principio è sembrato divertente. Una piccola ventata di celebrità ha smosso l’eterno pantano del tran tran quotidiano. Ma poi sono cominciate le prime insofferenze. I fatti della gente sono finiti sui giornali ed il rimestare nel torbido ha fatto salire in superficie il fango posato sul fondo. I tanti piccoli segreti, le cose riservate sono state tirate fuori e manipolate dai giornali. Piccole storie, magari insignificanti per chi le legge, ma importanti per chi le vive.

Su Vallechiara insomma si è improvvisamente acceso il grande faro dell’informazione e la gente, sorpresa nelle attività quotidiane, ha dovuto spiegare, giustificarsi e magari essere giudicata. E questo non è stato affatto piacevole. Le persone hanno potuto così spiare la vita dei loro vicini direttamente dal buco della televisione. Non la vita vera però ma quella trasfigurata dalla luce dei riflettori.

Prendete ad esempio il portiere di notte di quell’alberghetto a due stelle, l’Hotel della Pace, nascosto in fondo ad un vicoletto del centro storico. Nessuno avrebbe dovuto sapere di quel lavoretto fatto in nero durante la notte, ed invece i riflettori si erano accesi su di lui quando si era saputo che aveva visto arrivare quell’uomo, con quel capello nero a falde larghe, quasi calato sugli occhi, e quel lungo cappotto, taglio vecchio, fuori moda. L’uomo aveva bussato alla porta dell’albergo e lui, che era andato a sdraiarsi in una delle stanze libere, aveva dovuto vestirsi in fretta ed andare ad aprire nel cuore della notte. Ma quelli volevano sapere di più. Che aspetto aveva, cosa aveva detto, che aveva fatto? Domande ripetute mille volte dalla polizia, dai giornalisti, dalla televisione, a cui avrebbe risposto volentieri se non fosse stato per quella faccenda del  doppio lavoro, che aveva accettato perché tanto, dormire a casa o in albergo per lui era la stessa cosa, visto che non aveva una donna, almeno non una stabile, e che, quando  gli capitava una ragazza, poteva benissimo portarsela lì nell’albergo. Ma questa è un’altra storia e ci farebbe divagare. Ad ogni modo non aveva molto da raccontare, dato che quell’uomo non l’aveva mai visto prima e, anche quella sera, non è che lo avesse guardato molto bene in faccia, nascosto com’era da quel suo capello nero. Per il resto era stato di poche parole. Gli aveva solo chiesto una stanza e messo il documento sul banco, senza neanche aspettare che glielo chiedesse. Se la polizia aveva poi scoperto che era falso, lui al momento non se n’era accorto. No, segni particolari non ne aveva, ma, a pensarci bene, aveva uno sguardo gelido, vuoto, come senza pensieri. Valige? No, non aveva valige. Solo una borsa di pelle, quella che la polizia aveva poi trovato nella stanza. Quando era arrivato? Martedì notte, aveva preso la chiave ed era salito in camera, la 118 al primo piano. Il giorno dopo era uscito ed era rientrato verso le dieci di sera. Quando gli aveva chiesto se tutto andava bene non gli aveva neppure risposto. No non era agitato, però era pallido come un cencio. E poi la mattina dopo, era giovedì grasso,  l’avevano trovato come sapete, con quel lungo coltello conficcato nel cuore. E’ entrato qualcuno durante la notte? No nessuno, ne sono sicuro. Per entrare dopo mezzanotte occorre bussare. La polizia non ha trovato tracce di altre persone nella stanza. Del resto l’uomo era arrivato solo il giorno prima ed era nuovo del posto. Chi poteva sapere che era qui? Ha chiesto qualcosa? No, niente. Come ho detto, parlava pochissimo e non mostrava alcun interesse. Parliamo del coltello. Già il coltello, davvero strano. Un sottile affilatissimo coltello, quasi uno spadino, con l’impugnatura di madreperla ed una specie di diamante incastonato nel manico. E poi quella strana incisione nera “Unicuque suum”. Cosa significava? Non lo so. 

 

Come se non bastasse questa morte violenta, un altro strano evento doveva  sconvolgere la piccola cittadina di Vallechiara d’Alpe in quell’incongruo giovedì di carnevale. Si era già alla vigilia della campagna elettorale quando il sindaco della cittadina, nel tornare a casa, si accorse con sua grande sorpresa che la moglie non era in casa. Non si erano sentiti tutto il giorno, preso com’era dai suoi impegni, ma l’assenza della donna era davvero inusuale di sera.  Il sindaco fece un giro di prudenti telefonate tra parenti e amici senza risultato. Poi sempre più preoccupato si risolse a chiamare il comandante dei vigili urbani per incaricarlo di svolgere con la dovuta cautela ricerche su eventuali incidenti che si fossero verificati nel circondario. Quando anche queste si rivelarono vane il sindaco decise di chiedere aiuto alla polizia, nonostante che le elezioni fossero alle porte e rischiava così di alzare un inutile vespaio, Infatti a quel punto il segreto non poté più essere mantenuto e la notizia della scomparsa della signora Amelia dilagò nella città. Sebbene fino ad allora fosse stato impossibile esercitare sul conto della donna l’arte del pettegolezzo, la sua scomparsa si trasformò presto in una scappatella d’amore, o, alternativamente, in una fuga per i maltrattamenti del marito, o, ancora meglio, nel suo assassinio, commesso nell’ordine, da zingari di passaggio, da rapinatori rumeni penetrati in casa ed, infine, dallo stesso marito che ne avrebbe occultato il cadavere nel giardino di casa, come aveva confidato alla sua parrucchiera una giovane cameriera, licenziata due anni prima ma a conoscenza di molte cose.

 

Dopo questo ulteriore fatto gli alberghi di Villachiara registrarono il tutto esaurito e perfino le case private furono prese d’assalto da troupes televisive, giornalisti, curiosi e turisti della domenica. La polizia da parte sua annotava voci, verificava indizi, cercava prove. Aveva preso denaro? Aveva con sé i documenti? Era andata via con la sua automobile? Domande di routine da cui sempre bisogna partire per riprendere in mano i disordinati fili che ci si lascia dietro mentre si vive.

Infine la mattina  del sabato, un vigile urbano segnalò che la macchina della signora era parcheggiata nei pressi della stazione ferroviaria. In un lampo arrivarono polizia e carabinieri, il sindaco e parte della giunta, i parenti, gli amici, i curiosi ed i giornalisti che erano in città a causa dell’omicidio del giovedì grasso, come adesso veniva chiamato. Della donna naturalmente nessuna traccia, ma un negoziante di abbigliamento affermò di aver visto la signora scendere dalla macchina e dirigersi verso la stazione ferroviaria.

Il vero colpo di teatro si ebbe però la domenica mattina quando alla centrale di polizia si presentò un certo Giovanni, barbone senza casa che viveva in una baracca di lamiera sugli argini del fiume. La gente lo tollerava e a volte lo aiutava perfino, perché era del posto e non dava alcun fastidio. La sera forse si riscaldava con un bicchiere di vino di troppo, ma non era un alcolizzato. Le donne di una certa età raccontavano che, da giovane, era stato molto bello e che aveva avuto momenti di fortuna sia col denaro che con le donne. Anzi qualcuna di loro, ricordava ancora, nel segreto del cuore, la dolcezza delle sue carezze. Poi doveva essergli capitato qualcosa di terribile, perché, dopo essere stato molti anni lontano, era tornato a Vallechiara  senza un soldo e con la testa un po’ in disordine. Così si era lasciato portare a fondo dalla vita, riducendosi in quel misero stato.

Ecco dunque Giovanni che bussa alla porta della caserma dei carabinieri e dice al piantone di avere qualcosa di importante da dire. Questi gli risponde di ripassare l’indomani ma il barbone insiste che la cosa è urgente e che riguarda la moglie del sindaco. Allora il piantone chiama il maresciallo che chiama il tenente che si precipita alla stazione. - Se mi hai fatto muovere per niente - gli sibila il tenente - ti tengo dentro  una settimana. -

Ma Giovanni non l’ha fatto venire per niente, perché lui, mercoledì pomeriggio, la signora Amelia l’aveva vista arrivare con la sua macchina e scendere sul greto del fiume e fermarsi proprio lì, sotto il ponte, vicino alla baracca dove viveva. Stava per  uscire per chiederle qualche soldo o magari per sapere se fosse lei ad aver bisogno di qualcosa, dato che sembrava piuttosto agitata, quando vide  arrivare quell’uomo, con il lungo cappotto nero ed il cappello a falde larghe, pure nero. I due si erano andati incontro e si erano subito abbracciati, ed erano rimasti lì a lungo, stretti l’uno all’altra, ma senza baciarsi. Poi si erano seduti sul greto del fiume ed avevano cominciato a parlare anche se dalla baracca non si sentiva quello che dicevano. Qualche volta lui si interrompeva e si copriva il viso con le mani come se fosse disperato o si vergognasse. Lei ascoltava e piangeva, non con i singhiozzi però, ma di un pianto silenzioso e inconsolabile. Poi l’uomo le aveva dato un sacchetto, grande quanto due mani chiuse a pugno che lei non voleva. Alla fine però l’uomo è riuscito a darglielo, poi l’ha abbracciata ed è andato via senza voltarsi. Ecco cosa ho visto.             

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Anonimo il 19/03/07 alle 18:08 via WEB
Per risolverlo il Commissario aveva bisogno di saper tutto di quella vecchia storia. Lara Baier, questo era il nome della madre di Alessia, era in uno stato di comprensibile agitazione per la scomparsa della figlia, ma era certo in grado di fornire le notizie di cui il Commissario aveva bisogno. Il Commissario però non voleva interrogarla in presenza del genero, perché non voleva che la presenza dell’uomo ne condizionasse il racconto. Così le chiese solo se sapesse dove erano diretti i due ragazzi e perché erano partiti, ripromettendosi di tornare sull’argomento in un secondo tempo. Lara Servini aggrottò le ciglia, come per cercare di capire meglio il senso della domanda; poi, con la voce rotta dall’emozione per i ricordi che la domanda evocava in quel momento di angoscia, raccontò che Daniele e Carlo, dopo essersi laureati, erano stati assunti da una compagnia mineraria che operava in Congo e si erano trasferiti laggiù. Al principio i due Alessia e Daniele si erano mantenuti in stretto contatto, ma poi, col passare dei mesi, lettere e telefonate si erano diradati fino a cessare del tutto. Alessia era caduta allora in uno stato di prostrazione dal quale sembrava non sapersi riprendere. Poi però, lentamente, grazie anche all’affetto di Giacomo che aveva conosciuto le frattempo, era riuscita a superare il momento difficile, tanto che dopo qualche tempo i due avevano anche deciso di sposarsi. - Alessia in tutti questi anni è stata sempre serena e tranquilla e, per quanto ne so io, non sarebbe mai andata via da casa volontariamente. – aggiunse la donna - E’ per questo, Commissario, che ho una grande paura.” Il Commissario tornò la sera stessa dalla signora Lara. La preoccupazione per la sorte della figlia l’aveva come invecchiata nel giro di poche ore. I capelli scarmigliati, gli occhi rossi di pianto, l’assenza totale di trucco ed una vecchia vestaglia fiori, indossata senza cura, le conferivano un’aria triste e trasandata. - C’è qualche novità – chiese ansiosa la donna. - Purtroppo non ancora. Ma avrei bisogno di sapere qualcosa di più su sua figlia e sulla storia di quei due ragazzi. Mi dica, ha per caso ancora qualcuna delle lettere che Daniele scrisse a sua figlia? – - No Alessia le distrusse tutte. Ma una cartolina è rimasta. Ci sono i saluti di entrambi i ragazzi. ora gliela vado a prendere. – La donna aprì un cassetto e tirò fuori una vecchia cartolina. Vi era fotografato l’ingresso di una miniera. Era una specie di buco aperto nella terra. Un pozzo ai bordi del quale i due giovani si tenevano abbracciati facendo il segno della vittoria. Intorno la terra era arida ed in lontananza si intravedeva un piccolo insediamento. Sul retro era scritto il posto: Lubumbashi, e sotto, a penna: “Presto diventeremo ricchi…”.
 
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