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Avasinis -UD- 2.5.45

Ragionando sul come e sui perché di una strage nazista

 

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Il Presidente della Regione commemora le vittime di Avasinis

Post n°132 pubblicato il 03 Maggio 2016 da braulink
 
Foto di braulink

Si pubblica l’orazione ufficiale che il Presidente della Regione Friuli VG Debora Serracchiani ha tenuto in occasione della 71^ cerimonia di commemorazione dell’eccidio di Avisinis dove il 2 maggio 1945 una pattuglia di SS naziste sterminò 51 innocenti non risparmiando donne, anziani e bambini. L'intervento di Serracchiani ha chiuso la cerimonia; prima di lei erano intervenuti il Sindaco Augusto Picco, la presidente provinciale dell'ANVCG Adriana Geretto ed il Prefetto di Udine Vittorio Zappalorto. 

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Signor Sindaco,
Autorità tutte,
Cittadini convenuti,

sono onorata di essere oggi con voi in uno dei momenti più intensi di questa comunità, qual è il ricordo delle 51 vittime dell’eccidio contro la popolazione di Avasinis.
Una strage ancor più crudele e insensata, in quanto perpetrata proprio nel momento in cui la luce della speranza in una prossima pace tornava a rischiarare l’orizzonte delle nostre terre.
Venire a onorare questi caduti era un debito che avevo contratto con la loro memoria e con la vostra comunità. Non potevo mancare.
Molte città avevano già festeggiato la liberazione dall’occupazione nazifascista quando il 2 maggio del 1945 una squadra di truppe naziste diede l’assalto al paese di Avasinis, compiendo una strage indiscriminata che colpì anche donne, anziani e bambini e lasciò sul terreno, oltre alle 51 vittime, 15 feriti fra cui il parroco di allora, don Francesco Zossi. Grazie al suo diario siamo in grado di conservare e rivivere momento per momento lo svolgersi dell’eccidio, le morti che si snodano una dopo l’altra in agghiacciante sequenza. Quelli che don Zossi definisce “semplici appunti che per sommi capi richiamano fatti dolorosi e tristi” sono un eccezionale documento, uno spaccato dell’ordinaria violenza che sconvolse allora questa terra. Così come altre terre furono e ancora continuano a essere travagliate da guerre a varia intensità, in cui civili inermi pagano un prezzo di sangue.

Dalle parole di don Zossi veniamo a sapere come da subito, a soli pochi mesi dalla strage, vi fu l’immediato accordo dei cittadini affinché fosse tutelato il ricordo di quanto avvenne quel 2 maggio. L’esigenza di erigere un memoriale fu condivisa da tutti e l’opera realizzata grazie al lavoro spontaneo e volontario di molti abitanti. Il ricordo e la memoria furono subito identificati come strumenti per ammonire ed evitare il ripetersi delle tragedie che avevano segnato nella carne viva quelle generazioni.
Anche se ogni anno la passione delle associazioni partigiane e la tensione civile di molti cittadini consente di realizzare innumerevoli manifestazioni per tenere vivo il ricordo di ciò che fu, oggi a 71 anni di distanza la memoria rischia di sbiadire, lentamente ma quasi inesorabilmente. Le giovani generazioni sono spesso attraversate da un senso di smarrimento, i nostri ragazzi non hanno una conoscenza adeguata degli avvenimenti storici da cui è nata la Repubblica italiana, di quanto sono costate la democrazia e la libertà che oggi respiriamo. Questo deficit di consapevolezza mette a rischio innanzitutto il loro futuro, esponendoli al richiamo di mode fatue o alla lusinga di risposte troppo facili. Diciamolo chiaramente: l’ignoranza del passato non è mai premessa di scelte autonome e sagge.
La progressiva perdita della memoria di quei sacrifici dolorosi, che ci consentono oggi di godere di un bene dal valore inestimabile come la libertà, è un pericolo che non possiamo sottovalutare. Lo stiamo vedendo. L’avanzata di movimenti che cavalcano paura e incertezza del futuro, che coltivano sentimenti populistici e di chiusura verso il prossimo, non sono un evento casuale di questi tempi, ma il frutto di una congiuntura in cui rientra anche una lenta e silenziosa rimozione del passato.
Si sta minando il frutto più prezioso del dopoguerra: la costruzione di una casa comune europea, che ci ha garantito decenni anni di pace e la rinascita di un continente che aveva divorato se stesso in due guerre intestine di inedita crudeltà.
Alla fine della Seconda guerra mondiale, probabilmente nessuno o pochi ricordavano che prima della Grande guerra si attraversava l’Europa senza passaporto. Oggi godiamo nuovamente di quel privilegio e c’è chi vuole togliercelo. Non possiamo rassegnarci a questa sconfitta.

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un’ascesa di formazioni xenofobe, in Ungheria, in Polonia e, recentemente, anche nella vicina Austria. Si stanno favorendo scelte di chiusura che, lungi dal risolvere problemi, si ritorceranno contro i nostri stessi cittadini da anni ormai abituati all’assenza di quei confini che hanno diviso l’Europa negli anni della guerra fredda, in particolare in Friuli Venezia Giulia. Si badi bene a chiudere le frontiere, e a dare per scontato che sia facile poi aprirle nuovamente.
Non possiamo voltare la testa dall’altra parte e fingere che tutto questo non ci riguardi.
Così non può passare sotto silenzio lo sfregio al monumento che l’ANPI ha eretto a Udine in memoria delle donne partigiane. Un episodio che è sembrato voler gettare un’ombra sulle cerimonie del 25 aprile; ma anche un cupo campanello d’allarme sulla protervia di movimenti che inneggiano scopertamente al fascismo anche in terre come le nostre, pluridecorate per i fatti della Resistenza.
Di fronte all’attacco ai valori fondanti la nostra Repubblica è necessario recuperare lo spirito di unità e di coraggio civile che ha animato non solo le formazioni partigiane ma la popolazione tutta consentendo il riscatto morale di una Nazione che governanti irresponsabili e conniventi avevano schierato dalla parte sbagliata della storia.
L’eccidio di Avasinis ci racconta un frammento fra i più tragici di quegli anni. L’efferatezza di un attacco non a reparti combattenti ma a civili inermi, visti quasi come l’oggetto su cui riversare la vendetta per una sconfitta ormai definitiva, è l’atroce riconoscimento di un ruolo che gli abitanti di queste terre hanno svolto durante l’occupazione nazifascista.
Su queste montagne si realizzò una delle esperienze più significative di tutta la Resistenza italiana: la Repubblica libera della Carnia, isola di diritti e palestra di democrazia circondata da violenza e barbarie.

Nasce da queste valli, e da tutti i luoghi in cui riposano i corpi di chi si è sacrificato in nome di un ideale universale, il testo della prima parte della nostra Carta Costituzionale, ancora ineguagliato nei principi e nei valori che sancisce.
Spetta al nostro impegno quotidiano, a seconda dei ruoli e delle responsabilità che siamo chiamati a ricoprire, mantenere vivo quel patrimonio individuando gli strumenti più adatti affinché valori e principi non restino testimonianza di un pensiero sbiadito ma tornino a incarnarsi nella realtà con nuova tensione.
C’è un messaggio che ancora oggi ci tramanda il silenzioso operare di chi riscattò l’Italia: nell’opera di ognuno, anche se piccola, risiede la possibilità di realizzare i grandi ideali. Ideali di uguaglianza e fraternità che trascendono le generazioni e che oggi siamo chiamati, in un contesto profondamente mutato, a realizzare con strumenti nuovi. Sta in questo la forza del cambiamento, che non è distruzione del passato ma capacità di costruire con gli strumenti dell’oggi una società più giusta, equa e solidale.
Gli eventi che siamo qui a commemorare fanno parte di una storia che non può essere disconosciuta. Sono il patrimonio fondativo della nostra comunità, della nostra Costituzione, della nostra Repubblica.
Essere qui oggi a perpetuare quel ricordo ci impone di operare affinché finalmente la storia non sia ancora elemento di divisione, ma diventi finalmente ricchezza comune della Nazione. Le contestazioni che hanno interessato in diverse città i rappresentanti della Brigata ebraica durante i cortei del 25 aprile sono, in questo senso, pericolosi e incomprensibili passi indietro nel percorso di costruzione di una memoria condivisa, che non deve cedere agli sbandamenti politici del momento. Se possono esserci umane differenze di accenti, non è accettabile la mancanza del rispetto civile.
Il bagaglio comune di conoscenza va invece diffuso in maniera più capillare, potenziandone la divulgazione a partire dalle scuole, come si è iniziato meritoriamente a fare grazie al protocollo sottoscritto fra il Ministero dell’Istruzione e l’ANPI per portare la testimonianza dei fatti della Resistenza nelle scuole italiane.

Per assolvere a questi compiti, gravosi ma indispensabili e onorevoli per la nostra comunità, lasciamoci dunque ispirare dalla testimonianza di coloro che ci hanno preceduto e hanno dato esempio, sapendo anteporre alle loro stesse vite la ricerca della libertà.

W la libertà
W la Resistenza
W l’Italia

(da: http://www.serracchiani.eu/2016/05/02/leccidio-di-avasinis/ )

 
 
 
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