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Avasinis -UD- 2.5.45

Ragionando sul come e sui perché di una strage nazista

 

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Avasinis, 14 testimonianze sull'eccidio

Post n°152 pubblicato il 23 Aprile 2022 da braulink
 
Foto di braulink

Venerdì 25 marzo ad Avasinis c’è stata la presentazione dell’ultimo libro di Pieri Stefanutti "Voci dal 2 maggio", una raccolta di 14 testimonianze dirette di persone che per varie ragioni si trovavano in quelle tragiche ore ad assistere alla strage. Un valore aggiunto alla conoscenza dell’eccidio di Avasinis, in cui persero la vita 51 persone, di cui 18 uomini, 26 donne e 7 bambini.

A tale proposito, ecco il testo della intensa recensione scritta da Ido Cibischino e pubblicata sul Messaggero Veneto del 23 marzo:
Il martirio di Avasinis nel giorno in cui tutti festeggiavano la fine della guerra

“Il soldato ha sparato una raffica in una casa, poi è andato in quella successiva, dove ha ucciso due vecchi, i Venturini. Poi è tornato indietro, è entrato in un’altra casa. Nella stalla erano riuniti una ventina di persone: li ha uccisi quasi tutti! Poi è andato verso la canonica dove ha ucciso ancora...”
Quella del boia tedesco, in tuta mimetica ed elmetto coperto da frasche che percorre il paese accanendosi con raffiche feroci sulla popolazione inerme, è una delle figure più sconvolgenti tra quelle che emergono dalle testimonianze sulla strage (furono uccise 51 persone, per lo più donne, bambini e vecchi) di Avasinis di Trasaghis, avvenuta nella prima mattinata del 2 maggio 1945 per mano di un reparto di SS, innerbato da fiancheggiatori anche italiani, staccatosi dal grosso delle colonne tedesche che si stavano ritirando verso il confine austriaco mentre era annunciato il cessate il fuoco che avrebbe messo fine al conflitto.
A Osoppo e a Gemona – racconta uno dei testimoni – già le campane suonavano a festa; ad Avasinis, invece, suonarono a morto per una giornata intera. E accadde che l’esasperazione e lo strazio frantumassero poi le barriere della pietà e del senso d’umanità, invocate dal parroco don Francesco Zossi, fino a invertire le parti.
Scattò la vendetta quando i partigiani e la stessa popolazione, impazzita dal dolore, riservarono la stessa sorte a tedeschi sbandati e a cosacchi capitati nelle loro mani.
A riesumare quelle ore terribili è Pieri Stefanutti, ricercatore che da anni passa al setaccio la storia della sua zona (la Val del Lago) con particolare attenzione alle vicende delle due guerre mondiali.
Ha dato alle stampe una decina di pubblicazioni, cui ora si aggiunge Voci dal 2 maggio (Prospettiva editrice), un libro di cento pagine che sarà presentato dallo storico Marco Puppini venerdì 25 marzo, alle 20.30, nel centro sociale di Avasinis in una serata promossa dall’amministrazione comunale di Trasaghis.
Unisce quattordici racconti che Stefanutti ha raccolto e registrato tra gli anni Ottanta e Novanta, facendo parlare testimoni e sopravvissuti. Le testimonianze, rese in lingua friulana, vengono ora proposte in italiano con un difficile lavoro di trasposizione per rendere compiutamente la cronaca dei fatti con le sfumature e la drammaticità del ricordo.
È un prezioso contributo a ricomporre il mosaico della ricostruzione storica quello che fornisce Stefanutti. Il quale tuttavia, come altri studiosi prima di lui, ha dovuto arrendersi di fronte a interrogativi che permangono, a domande senza risposte che avvolgono la genesi della strage e la logica che la suggerì.
Perché Avasinis e non un altro paese? Chi dette l’ordine? In quale reparto era inquadrato il gruppo autore del massacro? Gli storici hanno potuto avanzare soltanto ipotesi, tutte plausibili ma nessuna ultimativa.
Alcuni sostengono che si volle punire Avasinis come rappresaglia per precedenti attacchi partigiani e per il sostegno dato alla Resistenza; oppure ancora che il paese fu scelto per un’azione preventiva e ammonitrice, affidata sul momento ai più spietati e malvagi a disposizione dei comandi: chi avesse attaccato le colonne tedesche in ritirata avrebbe scatenato altrettante ritorsioni senza pietà.
Comunque sia, prima e dopo Avasinis, tanti troppi boia hanno imperversato sui sentieri della storia incarnando il male assoluto. Ne stiamo conoscendo uno proprio in questi tempi: ha il volto da glaciale predatore del satrapo che ha sguinzagliato l’esercito russo in Ucraina.
E sovvengono i versi di una dolente ballata degli anni Sessanta: “Ancora tuona il cannone / ancora non è contenta/ di sangue la belva umana...” . L’inno alla pace di Guccini se l’è portato via il vento, come volano via le invocazioni del Papa e le lacrime di milioni di profughi, come il doloroso stupore del mondo davanti a sé stesso e alla propria impotenza.
IDO CIBISCHINO (MESSAGGERO VENETO 22 MARZO 2022)
Un momento della presentazione
 
 
 
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