Creato da braulink il 28/11/2005

Avasinis -UD- 2.5.45

Ragionando sul come e sui perché di una strage nazista

 

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"Avasinis, un giorno per caso. La strage del 2 maggio 1945" - 4° parte

Post n°101 pubblicato il 09 Settembre 2010 da braulink
 
Foto di braulink

"Avasinis, un giorno per caso. La strage del 2 maggio 1945" - 4° parte della tesi di Carolina Leone

 

 

Intervista ad Attilio Costantini

 

Quanti anni aveva quando è scoppiata la Seconda Guerra Mondiale?

Io sono del 1935, quindi allo scoppio della guerra avevo appena 5 anni.

 

Com’era la sua vita prima della Guerra? Che ricordi ha?

Ero un bambino che andava a scuola e per trovare qualche divertimento ci si doveva arrangiare: o si andava a fare qualche bagno nel Tagliamento o si restava in casa ad aiutare in qualche faccenda casalinga o comunque si rimaneva in casa con la propria famiglia.

 

Com’è cambiata la sua vita durante il conflitto? Ricorda qualche evento significativo, sia bello sia brutto?

È cambiata del tutto. Dal tempo della guerra si hanno maggiori ricordi brutti, guerra è guerra. Io e la mia famiglia siamo stati cacciati via di casa dai Cosacchi. Abbiamo raccolto un poco delle nostre cose su un carretto e siamo andati a Gemona. Lì mio padre e mia madre sono andati per le case a chiedere se per cortesia potevano ospitarci. Trovata una casa ci siamo trasferiti lì fino al giorno in cui i Cosacchi sono andati via da Trasaghis. In quel periodo, siccome mio zio era parroco a Sezza, un paese sopra Zuglio in Carnia, io frequentai la scuola lassù e mi trasferii per un periodo da lui. Questo è il ricordo che ho più impresso nella mia mente assieme alla strage di Avasinis.

 

Passiamo adesso a parlare in particolar modo della strage di Avasinis: può raccontarmi come ricorda quella giornata?

Era iniziata la ritirata dal paese di Trasaghis dei cosacchi assieme ai tedeschi. Io e la mia famiglia, ritornati da Gemona siamo andati a casa nostra per sistemare quello che c’era da sistemare. Nelle montagne che circondano il paese, da una parte si trovavano i partigiani, dall’altra l’esercito tedesco e ogni tanto si sparavano delle raffiche l’uno contro l’altro. Un mattino, un gruppo di partigiani ha fatto un’imboscata ai tedeschi in fuga. I tedeschi hanno iniziato a seguire il gruppo di partigiani in fuga sparando da tutte le parti. Mio padre e mia madre non sapevano cosa fare: se restare in paese o scappare. Alla fine mio padre decise di scappare e di andare verso l’abitato di Avasinis. Ad Avasinis c’era mia zia assieme alle mie cugine che abitavano nella latteria. Io e mia madre ci siamo sistemati con loro mentre mio padre è andato su in montagna. Intanto i partigiani cercavano di fermare a colpi di mitraglia i tedeschi che stavano avanzando sulle montagne. La mattina seguente mia madre era uscita di casa per vedere se veniva con noi sui monti anche sua cognata, ma in quel momento abbiamo sentito degli spari e siamo rientrati in casa. Nelle case vicine si sentivano solo urla, sparare e nient’altro. Ad un tratto entra nella nostra casa un soldato tedesco tutto ricoperto da ramaglie. Ha puntato il fucile verso di noi, ma non ha avuto il coraggio di sparare, disturbato forse dalle urla. Allora prese la bomba a mano che aveva addosso, alzò il braccio per tirarla, ma, penso grazie al destino, non l’ha lanciata. Subito dopo, nello stanzino dove mi trovavo assieme ad altre 15 persone, entrarono gli ufficiali con alcune carte trovate nella scuola che rilevavano notizie sui partigiani. Ci mandarono fuori in un piccolo cortile. Gli ufficiali chiesero alle donne dov’erano i loro uomini e le donne risposero che erano a lavorare e che non erano partigiani. Nel cortile era già pronta la postazione della mitraglia e noi eravamo tutti infila pronti per essere ammazzati. Un attimo prima dell’esecuzione arrivò un comandate su un cavallo bianco e ordinò di non continuare ad uccidere le persone. Gli ufficiali allora ordinarono alle donne di portare da mangiare. Così mia zia si recò nelle case vicine, dove ormai non c’era più nessuno perché erano tutti morti, a cercare delle uova e del pane. Mia cugina invece andò al pozzo a prendere l’acqua. Tornate, prepararono qualcosa da mangiare per accontentare i desideri dei tedeschi e placare la loro fame. Io mi sono sentito male e sono andato al piano di sopra dove dalla finestra ho visto un tedesco che sparava ad un uomo che, sulla montagna, aveva accanto a sé un toro. Un colpo di fucile dopo l’altro uccise anche il toro. Poi alcuni tedeschi dopo iniziarono a salire verso la montagna per cercare di rintracciare i partigiani, ma poco dopo ritornarono in paese. Così passò la notte. Al mattino siamo usciti di casa e, siccome le strade non erano asfaltate ma fatte da terra battuta, si osservavano chiaramente le pozze del sangue delle vittime. Ad un tratto vidi un gruppo di tedeschi fermare un uomo enorme, possente, che aveva la gerla sulle spalle e proveniva dalla montagna. Le SS gli chiesero se era un partigiano, lui naturalmente rispose di no, ma le SS lo portarono dietro un muro e lo uccisero con una scarica di mitra. Ormai i tedeschi se ne erano andati e la gente tornava in paese. Così mia madre decise di andare su in montagna a cercare mio padre, ma intanto la gente entrava ad Avasinis e trovava i propri cari morti e lì iniziavano le grida di disperazione. Sono momenti di terrore che ti fanno vivere il resto della vita con una grossa paura che non andrà mai via.

 

Ha perso qualcuno nella strage?

No. Noi non eravamo di Avasinis ma di Trasaghis quindi nostri parenti lì non ce n’erano. Mio padre, che era fuggito in montagna, tornò giù il giorno dopo la strage. Fu così che siamo tornati a Trasaghis. Però ad Avasinis i tedeschi avevano ucciso tutti: donne bambini anziani, nessuno escluso. Mi ricordo che hanno preso due ragazze: prima le hanno violentate brutalmente poi le hanno portate fuori e uccise. "No son robis di fâ"

 

Con quali sentimenti e difficoltà visse i giorni successivi?

Quando ricordo quel giorno, la paura mi invade completamente. Potevo morire! È stato solamente questione di minuti. Anzi è stato un vero miracolo. Io e mia madre, assieme ad altri, eravamo già in fila per essere colpiti da una scarica di mitra. Il destino ha voluto altro per noi. Io non sono tornato ad Avasinis per molto tempo per non ricordare quei momenti, e ancora oggi ogni volta che passo per il paese non mi sento a mio agio: la paura è sempre presente.

 

Cosa prova quando pensa a coloro che hanno compiuto questo eccidio? Preserva rancore?

Io non preservo odio con nessuno, per l’amor del cielo. Però resta un po’ di amarezza. Ma in generale contro i tedeschi non ho assolutamente niente, anche se hanno lasciato una ferita profonda nel mio animo. Penso che sia inutile cercare i responsabili di quella strage. Ormai sono morti o hanno un’età molto avanzata. Il tempo è già una pena per loro. Non potremmo mai sostituirci al tempo che fa in modo eccellente il suo lavoro.

 

Perché secondo lei gli esecutori si sono comportati così? Quali sentimenti e motivazioni li hanno mossi?

Vede, a quel tempo non c’era nessuna legge. Chi uccideva lo faceva liberamente e poi scappava e nessuno lo andava a riprendere. Allora o i tedeschi erano sotto l’effetto di qualche droga o, siccome il territorio di Avasinis era controllato dai partigiani, le SS volevano compiere una rappresaglia contro questi. Poi la violenza chiama violenza. Il giorno dopo la strage alcuni dei fautori dell’eccidio vennero catturati e portati in paese. Quel giorno le persone si sono fatte vendetta con la stessa violenza dei tedeschi.

 

Cosa prova quando ricorda quei momenti cos’ drammatici? È inquietante per lei ricordarli?

No non mi fa piacere. Se si potesse cancellare io la cancellerei (si lascia andare alla commozione,ndr). Ne parlo tranquillamente senza problemi, ma ripeto, se potessi li cancellerei.

 

 

 
 
 
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