Creato da albylrt il 18/05/2009

Occhi

Viaggio a spiare e raccontare il tempo

 

 

(ri) Partire

Post n°48 pubblicato il 28 Luglio 2011 da albylrt
Foto di albylrt

Affronto ciascun giorno immaginandolo come la tappa di un viaggio di cui non conosco il traguardo. La meta. Ho trascorso gli anni della forza fisica e dell’incoscienza, rincorrendo il tempo travestito da Ferrari. Tanto bello quanto inarrivabile. Ho inventato ore impossibili chiedendo oltre il possibile a me stesso e a chi attorno guardava la mia inutile corsa.

Mi sono fermato. E più volte sono ripartito. A volte con la stessa forza. Altre lasciando indietro un po’ della mia sconsiderata voglia di correre. Quel destino che segna il nostro cammino, ha lanciato un segnale chiaro e preciso.  Beffardo e ineluttabile. Ha fermato la mia corsa in maniera violenta. Lasciando su di me il segno ancora acceso di una corsa che non potrà riprendere. Di tanto in tanto al cambiar del tempo, la mia gamba destra mi ricorda del simpatico intruso che è la dentro da quattro anni ormai. Destinato tra l’altro a restare lì non foss’altro che per la mia imperizia.

Eppure anche senza la forza d’un tempo, ho deciso di (ri) partire forse per l’ultimo viaggio senza fermate verso quella famosa meta che non so.

Pensando giorno per giorno ad arrivare in fondo cercando di godermi quanto distratto dalla corsa ho perso in tutto questo tempo. Restituendo quanto posso a chi mi ha dato tanto e ricevuto nulla o poco più. Seguendo con gli occhi attenti ogni sguardo o sorriso. Ogni smorfia o piccolo dolore. Ora osservo il mondo correre. Io ho rallentato. Ed ogni tanto m’assale la voglia di fermarmi. E magari di scendere. In buona compagnia se possibile. Questo mondo corre troppo per me oggi. E in una direzione che non mi piace. Per niente.

E a nulla serve sbraitare, urlare il dissenso, riempire inutili salotti  confusi e confusionari.

La più bella manifestazione del proprio  dissenso è la scelta di andare, quando s’è deciso, in direzione opposta e contraria.

Alby

 
 
 

Tanto rumore per delle bollicine

Post n°47 pubblicato il 28 Giugno 2011 da albylrt
Foto di albylrt

Leggo e sento da ogni direzione lo sgomento che attraversa la nazione (quasi che per il resto andasse tutto bene…) al solo pensiero che Vasco Rossi possa ritirarsi a vita privata, magari a scrivere ancora canzoni, evitando però di trasformarsi da rock star in inadatta e patetica figura avanti con gli anni che saltella ancora sul palco come un giovinetto nonostante la pancia, le rughe e l’ovvia stanchezza fisica e mentale verso lo show business.

E’ un annuncio che è arrivato più volte e poi smentito dai fatti. Ma forse oggi avendo raggiunto quota 60 anni la ragione ha preso il sopravvento. Forse.

E se così fosse sarebbe un gesto non solo apprezzabile ma ancor più onesto verso fans, pubblico e soprattutto verso se stesso.

In fondo un’artista , uno sportivo culla il sogno di lasciare ai propri fans e tifosi la migliore delle fotografie, la migliore delle performance e non certo il ricordo di un lento trascinarsi verso un inarrestabile declino.

Spettacolo e sport non sono ahimè  colmi di questi meravigliosi esempi. Anzi. Ma i pochi esempi sono certamente illustri. L’immenso (e il tempo lo dimostra ogni giorno in più a 11 anni dalla sua morte terrena) Battisti  scelse la solitudine nel pieno di una carriera che attraversa ancora le nuove generazioni. La tigre Mina, che ruggisce senza un volto ormai visibile da anni eppure ancora amata da milioni di persone amanti del canto. 

E lo sport ? Rimasi sorpreso perché suo ammiratore (pur non juventino), da Platini, il giorno in cui appena trentenne decise di dire basta. I più gli diedero del matto. Invece aveva ragione. Non si è trascinato per soldi sul campo e non ha liso di un nulla le meraviglie dipinte con il pallone. Ed ha fatto bene così.

Pensavo se mai qualche nostro politico prendesse ad esempio loro o dala decisione di Vasco. Forse ci sarebbe meno astio nei loro confronti e magari taluni sarebbero anche addirittura simpatici.

A volte saper dire basta è simbolo di coraggio. E’ conoscere i propri limiti ed avere rispetto per ciò che è stato e che il tempo non può far più essere.

Capitolo chiuso.

Al

 
 
 

Appunti

Post n°46 pubblicato il 24 Giugno 2011 da albylrt
Foto di albylrt

Quattrocento chilometri ogni giorno. E tanto tempo per raccogliere appunti che raccolgo con gli occhi e appunto con la memoria.

Ma gli anni prendono il sopravvento sulla freschezza di un tempo che è ormai alle spalle e che è inutile tentare di imitare. Non sei più lo stesso. Hai i capelli più bianchi e le rughe più profonde. E gli occhi alla sera portano i segni della stanchezza che rifugi tra caffè e sigarette.

Ma il desiderio di scrivere vince ancora. Ogni volta che passo di qui e rileggo le mie note di vita è come se potessi ripassare un diario che nessuno scrive più.

Sembra ieri eppure tanto è cambiato da quando pensai di utilizzare una tastiera al posto di un penna per prendere appunti di vita quotidiana e trasformare i miei sguardi in un diario che lascio spesso da parte. Sapendo che è li e sa aspettare paziente. Assecondando il mio tempo. I miei minuti fatti di pochi e rapidi secondi. I miei giorni fatti di poche e sfuggenti ore.

E' anche per questo che ogni giorno nei miei quattrocento chilometri non smetto di osservare l'immensità di quanto mi circonda e di ringraziare quel Dio che non vedo eppure sento soltanto per avermi dato gli occhi per stupirmi ede arrossire dinanzi a cotanta maestosità.

Si, ammetto a me stesso che non sono più il giovane rampante, arrogante, presuntuoso. Oggi guardo il mondo con lo stesso disincanto della mia fanciullezza.

Forse sarà per questo che spesso si associa con l'avanzare dell'età il ritorno inconscio alla fanciullezza ed al suo moto di speranza e di ingenuità.

Così guardo i miei quattrocento chilometri. Prendendo appunti di vita. Con la penna della memoria e l'inchiostro dei miei occhi.

Al

 

 
 
 

Plenilunio

Post n°45 pubblicato il 22 Aprile 2011 da albylrt
Foto di albylrt

Ho trovato e letto d'un solo fiato questo scritto. Un ritratto in cui ho riconosciuto un pò di me.  Non sarò l'unico e il solo ad averlo pensato.

Ma che cielo c’è questa notte?!
Un vaso gigante di vetro lavanda tramato di glicine e tortora opalescente stupore dell’universo.
Nessun suono vibrato nell’aria.
Solo indistinto rumore di fondo.
Respiro piano a bocca aperta ed è l’unico vento che sento.
Fiuto il tempo che passa senza contarlo.

Mi riposo i perché.
Anche gli alberi si prendono un po’ di quiete stanno buoni ben pettinati prima di mettersi a nanna.
Io però non andrei mai a dormire.
Come se mi perdessi qualcosa.
Quasi che succedesse di più quando è notte che non nella lunga durata del giorno.
E mi gratto indolente la schiena puntando lo sguardo sul gomito.
Come un mirino spostandolo a destra e a sinistra giù in basso e poi su.
Un collega d’insonnia, un gabbiano plana immobile e vago sopra un mare di tetti.
Forse ha fatto più tardi forse è l’ultima corsa come quella di un taxi che svanisce in un soffio al contrario.
Non c’è buio stanotte.
Neanche un’ombra o una tenebra a increspare la pelle a inventare paure.
Il soffitto si è aperto in un largo astronomico come quello del cinematografo di tanti anni fa tra il primo e il secondo tempo.
Tutto appare più chiaro del nero.
Moonligth Serenade.
Si lo so che è la luna a far questo ma io resto girato così e non la guardo.
Provo un pallido caldo sul collo e mi piace tenerla alle spalle come un seguipersona puntato sul mondo.
Stamattina mi sono alzato con un pensiero fisso: spegnere con l’interruttore gli apparecchi di casa, quelli lasciati per ore, giorni, mesi con la lucetta rossa dello stand by.
Che spreco dicevo a denti serrati.
Se tutti smorzassimo almeno queste spie del benessere chissà che risparmio…
Rispondevo a me stesso: forse non tanto ciascuno, però tutti insieme…
Abbiamo più telecomandi che amici.

Allora è vero che i telecomandi si vedono nel momento del bisogno!
Mi ricordo come se fosse ora quando il primo di questi arnesi fece il suo trionfale ingresso in casa dei miei ch’era pure la mia.
Un affare argentato grande come una scatola di biscotti legato al televisore con un cavo ombelicale arrotolato su sé così che non si riuscì mai a domarlo e restò sempre a coda di porco.
Al centro un tasto uno solo con su scritto Acceso (di sopra) Spento (di sotto).

Se arrivava qualcuno un parente un amico mio padre si sedeva in poltrona afferrava misterioso l’oggetto misterioso anche lui e via: accendi e spegni più volte davanti allo sguardo sorpreso e ammirato degli ospiti.
Così quella diavoleria tecnologica prese il potere su di noi e il sopravvento sugli altri congegni precedenti al suo avvento.
Finirono nel dimenticatoio delle attenzioni il carrello ultramoderno lo stabilizzatore di corrente la lampada verde per non farsi male alla vista una piccola antenna aggiunta che nessuno seppe mai se servisse davvero.
Il telekommander aveva vinto.

La prima vittima fu il maschio capofamiglia.
Sentivo che era il “coso venuto dal negozio” a tenere in pugno papà.
E non viceversa.
In una lingua algoritmica di onde quadrate incomprensibili non udibili dall’orecchio umano, il telecomando diceva ghignando: que-sto-te-lo-co-man-do-io.
A mia madre quando fu abilitata all’uso: te-la-co-man-do-pu-re-le-i.
A tutti e tre noi: io-li-te-li-co-man-do.
Da allora cominciò e non è mai cessata l’Invasione dei Telecomandi.

E la nuova costellazione di lucine rosse verdi gialle azzurrine per casa.
Ma stanotte è una notte speciale.
C’è un che di impalpabile trasparente magia come se avessi potuto con un solo pulsante spegnere tutto e lasciarmi accesi soltanto gli occhi.
La mia unica luce è la luna.
Mi giro e mi allatta lo sguardo.
Una luna così mica càpita spesso.
Dentro il cerchio ci passano baci, abbracci infiniti d’innamorati, cime brune e tempestose di abeti, altalene di ghirlande di fiori, carrozze volanti.
Com’è tonda, perfetta.
Un disco lanciato per battere il record galattico, per il sogno più lungo mai fatto.
Per un attimo smetto di respirare.
E mi tengo tutto ciò che si può dentro il vuoto di me.
Cosa voglio di più? Ho la luna piena e l’anima ubriaca.

Claudio Baglioni

 

 
 
 

M & M. Io ed il microfono. L'incontro

Post n°44 pubblicato il 01 Febbraio 2011 da albylrt
Foto di albylrt

Passai ore a rimuginare dopo la telefonata. Le mani tra i capelli ricci e disordinati. Mi gongolavo all'idea. Ma la stessa mi atterriva.

Non avevo chiaro nulla. Come vestire, cosa dire, cosa fare. D'un colpo sembrava che la mente avesse rimosso tutti quei giorni passati a rubare con gli occhi il fare ed il dire di quei dj che avevo spiato.

Scelsi un jeans ed una camicia bianca. Tentai di mettere ordine ai capelli. Presi il bus e feci un pò di strada a piedi sino all'indirizzo che avevo appuntato con grafia incerta su un biglietto.

Arrivo al civico 136 (sono passati quasi 30 anni e lo ricordo ancora...). Non c'è un campanello. Ma delle grate con una porta aperta e la musica che arriva sino fuori. Tengo a fatica il cuore. "C'è nessuno ?" Arriva una delle voci che avevo ascoltato. E' più grande di me. Non di molto. Mi apre. Mi presento. Mi fa vedere la radio. Ci sediamo. Compilo una scheda mentre mi guardo attorno.

Mi chiedono se ho mai fatto radio. "no... vorrei.. penso di esserne capace.." Sorridono attorno a me. Devo incidere un provino. Mi fanno scegliere dei dischi in una  stanza dove ne vedo migliaia. Rovisto alla ricerca delle canzoni più familiari. Quelle su cui a casa mi eservitavo.

Mi accompagnano in sala registrazione. Pannelli fono assorbenti blu. Un vetro separa la sala a quella dove un altro speaker è in diretta. Mi fa un cenno e ride. Io invece ho le mani sudate...

Ho davanti il famoso mixer, il revox, le "piastre" e due giradischi. Il microfono e la sua spugnetta blu e un paio di cuffie. L'accompagnatore infila una cassetta con il mio nome scritto su a matita, in una delle piastre. Assesta con cura i livelli per registrare e pigia il tasto di pausa. Poi mi chiede se penso di potercela fare da solo. Annuisco. "Se hai bisogno sono in ufficio non ti preoccupare. Incidi 20 minuti e poi mi chiami". Detto così mi sembra fin troppo facile.

Ma io non l'ho mai fatto.

L'ho visto fare. Mille volte. Ma io non l'ho mai fatto. Metto ordine alla testolina confusa. Indosso le cuffie. Provo il microfono e per la prima volta ascolto la mia voce. "Beh non male..." La "imposto" un pò come ho sentito fare. Poi metto in ordine i dischi. Ne metto su uno e provo. Va... Avevo sbirciato i dj dare con la mano un piccolo colpetto ai dischi per farli partire senza miagolio. Funziona.... Ripasso a mente le presentazioni, i saluti iniziali. Dal vetro qualcuno mi osserva. Poi si volta e sparisce dietro una parete coperta da un poster con una foresta.

E' il momento. Tolgo il tasto "pause" e accompagno il primo disco con la mano. Si va.

Iniziano i 20 minuti che non hanno cambiato la mia vita. Ma le hanno regalato tanto.

Al

 
 
 

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