Gloriosa spazzatura

National Health, "Clocks and Clouds"


Parlare di una canzone, e in più in generale parlare della musica, è sempre una occasione per parlare di qualcos’altro, e questo per più di una ragione. La principale delle quali è il fatto che per parlare di musica in modo non scontato, occorre essere molto esperti di tecnica musicale, e quindi saper spiegare il perché e il percome una certa frase, un certo accordo o sequenza di accordi, un certo arrangiamento, una certa armonia, producano certi effetti nell’ascoltatore. Ad esempio, c’è un libro di Ian MacDonald, che sarebbe poi il primo tastierista dei King Crimson, che ha scritto un illuminante volume sull’opera dei Beatles, nel quale analizza quasi passo passo ogni loro canzone, nella sua costruzione, nelle sue peculiari caratteristiche, e soprattutto nei suoi esiti emozionali. Ma se uno non è per l’appunto Ian MacDonald, è meglio che lasci perdere.Poi c’è il fatto che, come dice Debussy, la musica proviene dall’Ombra, e questo può essere inteso nel senso che la musica esprime, suscita, richiama, porta alla coscienza, quel caos di sentimenti originari e prerazionali che siamo. E allora, ciascuno può diversamente raccontare le sensazioni, i percorsi emotivi che lo animano ascoltando una canzone. E se è bravo, se sa davvero parlare agli altri, allora le sue parole gettano una luce nuova, ancor più che sulla canzone medesima, sui sentimenti stessi, sulla esperienza di essi. E si finisce per l’appunto a parlar d’altro; il che è un bell’arricchimento, niente da dire.E poi c’è sempre la terza possibilità: ascoltare e star zitti. Anche perché ci sono canzoni come questa Clocks and Clouds, tanto misconosciuta quanto elegante e raffinata, della quale è difficile dir qualcosa.Chi conosce i National Health – non grandi masse di persone obbiettivamente – sa quanto intricata, difficile, persino astrusa, sia la loro musica, per cui non risulta nemmeno incomprensibile che questo gioiellino sia rimasto misconosciuto per tre decenni, e pubblicato solo in una raccolta di outtakes e rarità, visto che sarebbe stato alquanto fuori posto nei loro due dischi ufficiali (il terzo essendo poi una cosa ancora diversa e particolare). Una melodia jazzata e delicatissima, disegnata dalla voce eterea di Amanda Parsons, ricamata e contrappuntata da assoli raffinatissimi, misurati ed originali di chitarra e tastiere. Una cosina di una tal eleganza, misura e originalità, che esula da ogni stile, ed esser perciò difficilmente anche solo etichettata, e di cui puoi solo dire che sì, la Grazia esiste.E che qualche volta, come diceva Wittgenstein, è meglio star zitti, che dire qualcosa su qualcos'altro di cui non si può parlare.