Gloriosa spazzatura

Andy Irvine e Davy Spillane, "Chetvorno Horo"


(ascoltala) Non sono mai stato in Romania, né tantomeno in Bulgaria. Non conosco né ho conosciuto nemmeno nessun bulgaro, se è per quello.Romeni sì, ne conosco e ne ho conosciuti diversi, e con molti di loro ho avuto rapporti anche piuttosto stretti, dalla famiglia cui ho venduto la mia casa precedente, alla bravissima alunna che ho avuto a scuola quest’anno, passando a vario titolo per diverse altre persone. Tutte gran brave persone; eccezionali, in certi casi.Ma non è per questo che mi piace la musica balcanica. Semplicemente, credo che la musica balcanica (nella accezione più ampia del termine, comprendendo cioè la musica bulgara, romena, macedone) sia la musica più bella che esista. Tecnicamente consiste in un tempo dispari, solitamente in sedicesimi (5/16, 7/16, 9/16, 11/16…), cioè quel caratteristico ritmo sincopato, vertiginoso, stimolante e mozzafiato, e che prende il nome, di volta in volta di kopanitsa, horo, paidushka…Me ne innamorai suppergiù un quarto di secolo fa, quando trovai in molti dischi di musica irlandese (!) dei brani per l’appunto balcanici; era una invenzione di Andy Irvine, che in gioventù aveva girato quei paesi come un hobo, raccogliendone umori e suggestioni, per farli diventare linguaggio universale.In quel periodo lavoravo durante l’estate ai caselli autostradali della Venezia-Trieste, la porta dell’Italia verso l’est. Ricordo certe notti, in cui all’improvviso spuntavano da ovest auto e auto e furgoni e piccoli bus, dalla targa svizzera o tedesca, stipati di uomini stravolti dal sonno e dal viaggio: erano emigranti serbi, romeni, moldavi, che tornavano a casa per le vacanze. Dai finestrini aperti, talvolta uscivano melodie esotiche: era il richiamo di casa, o il richiamo di posti lontani e suggestivi, a seconda del lato del finestrino in cui stava l’ascoltatore. Forse svegliati dal vociare, dall’aria del finestrino aperto, o dal semplice rallentare della corsa, qualcuno di quegli uomini si destava, gli occhi sbarrati a cercar di capire in quale angolo di mondo si trovasse in quel momento, e quanto questo distasse ancora da casa. Occhi e sguardi tristi, eppur vivi e penetranti, come solo gli occhi degli uomini dell’est sanno essere. E come la musica che accompagnava il loro viaggio e li attendeva al loro arrivo.(Mominsko Horo)