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Post N° 793

Post n°793 pubblicato il 24 Luglio 2007 da cgil3palermo
 

Istituto Resistenza Verona, si dimette il «fascista»

Andrea Miglioranzi, della Fiamma Tricolore, si è dimesso dall'Istituto per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea. Il neo consigliere, la cui nomina, assieme a quella di Lucia Cametti (An), ha scatenato in questi giorni molte prese di posizioni cririche, ha deciso di rassegnare le dimissioni con una lettera inviato al Presidente del consiglio comunale veronese.

«Egregio Presidente - scrive Miglioranzi - da alcuni giorni la mia elezione da parte del Consiglio Comunale di Verona nell'Assemblea dell'Istituto Veronese per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea è diventata pretesto per strumentalizzazioni e attacchi contro il Sindaco e la Giunta comunale veronese. È evidente  che un'opposizione incapace di affrontare i problemi della città ricorre ad argomenti estranei al terreno delle scelte amministrative proposte  e attuate dalla nuova Giunta. Per eliminare quindi strumentalizzazioni pretestuose che tendono a sviare l'attenzione dei cittadini e dell'opinione pubblica dal lavoro del Sindaco Tosi e della Giunta - conclude-, rassegno le mie dimissioni dall'Assemblea dell'Istituto Veronese per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea».

In risposta alle critiche Miglioranzi aveva regalato altre "perle di pensiero". «Non sono un nostalgico - dice Miglioranzi -. Essere fascista per me significa avere un patrimonio etico e culturale con cui coniugare tradizione e valori sociali». «Credo che la mia nomina non sia una provocazione, ma un'occasione per far emergere la verità. Non amo parlare di revisionismo, questa parola ha assunto connotazione negativa. Mi piace parlare di verità, questo sì. La storia è stata scritta dai vincitori, lo sappiamo tutti. Non capisco questa levata di scudi».

Dopo la protesta della senatrice di Rifondazione Tiziana Valpiana, dell'Anpi, lunedì è arrivata anche la presa di posizione dei Ds. «Siamo sbalorditi e indignati per la scelta del Consiglio comunale di Verona, a salda maggioranza di centrodestra, di nominare il dirigente del movimento Fiamma Tricolore Andrea Miglioranzi membro del Consiglio direttivo dell'Istituto veronese per la Resistenza - afferma Samuele Mascarin, organizzatore nazionale della Sinistra giovanile dei Ds-. Una scelta provocatoria alla luce della storica militanza di Miglioranzi nell'estrema destra veneta, testimoniata anche dalla sua pluriennale attività nel gruppo musicale skinhead Gesta Bellica». «Non può sfuggirci che questo è uno dei primi emblematici atti politici della maggioranza di centrodestra guidata dal nuovo Sindaco di Verona Flavio Tosi», rileva Mascarin. «Come Sinistra giovanile ci auguriamo che da subito non solo il mondo democratico e antifascista, ma anche le istituzioni si attivino - conclude l'esponente Ds - affinchè la nomina di Miglioranzi venga sospesa e revocata e si impedisca che all'Istituto veronese per la Resistenza sia delegato un esponente dell'estrema destra già condannato nel 1996 a tre mesi di carcere per istigazione all'odio razziale».

Sulle dimissioni di Miglioranzi interviene anche il sindaco Tosi. L'astro nascente del leghismo si toglie d'impiccio dalle polemiche, ma esprime ancora vicinanza con Miglioranzi. «Ringrazio l'amico consigliere Andrea Miglioranzi che, con le sue dimissioni, confermando le sue doti di grande lealtà e di correttezza, ha dimostrato di avere a cuore il bene della città, sottoposta per l'ennesima volta ad un fuoco di fila da alcuni media nazionali per una questione non così rilevante (la classica tempesta in un bicchiere d'acqua), e ha dato un contributo utile a riportare su un terreno concreto il dibattito politico amministrativo».

Le dimissioni di Miglioranzi sono accolte «con soddisfazione» da Tiziana Valpiana, senatrice di Rifondazione comunista, anch'essa membro dell'Istituto per la Resistenza e fra i primi a contestarne la nomina. «Era un insulto alla storia della Repubblica».

A giudizio di Valpiana, «a dirigere un istituto che si occupa di studi sulla resistenza non può esserci un esponente politico di una formazione che si richiama a valori opposti. La nomina di Miglioranzi - insiste - mi era sembrata un gesto di rara arroganza e sono lieta che abbia fatto un passo indietro».

Non pensa minimamente alle dimissioni invece l'altra nominata dal Consiglio comunale veronese all'Istituto per la Resistenza. Lucia Cametti, di An non si sente di troppo. «Non capisco perché ci sia questo ostracismo - commenta - nei confronti di chi è stato eletto dal Consiglio comunale. Ci tengo a sottolineare che non sono stata nominata, ma eletta. E poi, perché si parla soltanto di me e di Andrea Miglioranzi - prosegue il consigliere - e non del terzo esponente eletto, che fa parte dei Comunisti Italiani? Mi chiedo se ancora oggi, a sessant'anni dalla Resistenza, si vogliano dividere i fascisti dai comunisti. Ma allora, chi sono i veri fascisti?».

Poi arriva l'attacco a certa stampa «faziosa» e che avrebbe «stravolto le sue dichiarazioni», in particolare riguardo al 25 Aprile. «Non ho mai parlato dei soldati di Salò - si difende - di giornate della memoria ce ne sono fin troppe, nelle quali si finisce sempre per dividersi su due fronti. Io ho rispetto per i caduti di entrambe le parti e non sono una nostalgica, come qualcuno ha detto, perchè io quel periodo storico non l'ho vissuto». Poi però la consigliera di An torna all'attacco e parla di «un silenzio colpevole» a proposito delle possibili colpe della Resistenza, ricordando che i morti ci sono stati da entrambe le parti e che «la prima e unica forma di giustizia è riconoscere a ciascuno il suo».

«Quelli che vogliono che io mi dimetta - aggiunge - sono degli stalinisti. Mi attaccano perchè sono una donna e perché nella loro dittatura intellettuale non sono disposti a sentire una voce fuori dal coro, che invece potrebbe portare nuove idee».

 
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Post N° 792

Post n°792 pubblicato il 24 Luglio 2007 da cgil3palermo
 

Welfare e precariato, sinistra dell'Unione all'attacco

Sul Welfare - vale a dire il protocollo sullo Stato sociale varato lunedì a Palazzo Chigi da governo e parti sociali - il conflitto è aperto. L'ala sinistra dell'Unione, da Sd a Rifondazione, annuncia battaglia contro il documento redatto dal governo, che potrebbe creare un nuovo "conflitto" nella maggioranza. E il presidente del Senato Franco Marini, già ha preannunciato che, a Palazzo Madama, «sarà dura». «Non c'è dubbio che sulle pensioni il dibattito sarà forte, ma occorre trovare una via per evitare la rottura».

In realtà, è sulla proposta avanzata dal ministro del Lavoro Cesare Damiano sul Welfare che si appuntano le critiche della sinistra dell'Unione. «L'accordo sulle pensioni è ok, no su lavoro e competitività», è la posizione della Sinistra democratica, che con il ministro dell'Università Fabio Mussi si dice pronta ad avanzare «soluzioni diverse più coerenti con il programma dell'Unione».

In particolare, il protocollo del governo "Equità e crescita Sostenibile", dice Fabio Mussi, «contiene tre parti: previdenza, competitività e mercato del lavoro. Avendo espresso in Consiglio dei Ministri consenso sulla previdenza, l'unica parte lì messa in discussione, devo a mezzo stampa esprimere il mio dissenso e quello di Sinistra Democratica sulle altre due».

Le maggiori critiche vengono, però, da Rifondazione e da Verdi-Pdci. «Bocciamo la proposta, con Damiano è scontro», afferma il segretario del Prc Franco Giordano, che aggiunge: si tratterebbe di misure che non erano previste dal «programma dell'Unione». Per questo, «non siamo stati coinvolti», scandisce Giordano, «e dunque non ci sentiamo legati».

«Con il protocollo sullo Stato sociale - afferma il capogruppo dei Verdi-Pdci alla Camera, Manuela Palermi - siamo capolinea». «È incredibile... l'accordo sul Welfare è, addirittura, peggiorativo», commenta il coordinatore del Pdci Marco Rizzo. E Alfonso Pecoraro Scanio, leader dei Verdi e ministro dell'Ambiente, aggiunge: «L'accordo sa di muffa».
 
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Post N° 791

Post n°791 pubblicato il 24 Luglio 2007 da cgil3palermo
 

«Pensioni, al Senato ce la faremo»

«Sarà dura, non c'è dubbio che il dibattito sarà forte, ma occorre trovare una via per evitare la rottura». Così il presidente del Senato, Franco Marini, risponde durante la tradizionale cerimonia del Ventaglio, a chi gli chiede delle difficoltà della maggioranza sulla riforma previdenziale che potrebbero diventare di particolare ostacolo quando il dossier pensioni approderà a palazzo Madama. Marini non nega, dunque «le difficoltà» ma mostra anche ottimismo e assicura: «Con il nostro lavoro ce la faremo».

LEGGE ELETTORALE - «Al di la delle soluzioni, c'è la volontà » di cambiare la legge elettorale. Ne è convinto il presidente del Senato, Franco Marini, che ribadisce la propria distanza dal referendum.

SENATO - Poi Marini respinge le accuse e spiega che palazzo Madama rallenta la sua attività a causa dei rapporti di forza quasi paritari con i rischi per il governo di cadere, come già avvenuto sulla politica estera. «Non è vero che il Senato non lavora». Con un «muro contro muro» il Senato «più di quello che ha fatto e sta facendo non si può» sostiene Marini sottolinenado che c'è tra le forze politiche «un principio di responsabilità comune». Il presidente assicura di «non essere pessimista» perchè «anche se la condizione è difficile, si va avanti, c'è un senso di responsabilità che a volte, non viene percepito all'esterno»

SENTIMENTO CONTRO LA POLITICA - Franco Marini poi preferisce non fare «avvicinamenti meccanici fra il vento del '92 e oggi», perchè «le situazioni sono diverse», ma «si avverte una venatura contro la politica e occorre fare di tutto per attenuarla». Attenuare la «venatura contro la politica è necessario», prosegue il presidente del Senato, perchè altrimenti «il rischio è di allontanare i cittadini dalla politica e questo è sbagliato».

 
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Post N° 790

Post n°790 pubblicato il 24 Luglio 2007 da cgil3palermo
 

Giro di vite sui contratti a termine prestiti a tasso zero ai giovani precari

Non solo scalone. Si chiama "Protocollo su previdenza, lavoro e competitività" e in sei capitoli (previdenza, ammortizzatori sociali, mercato del lavoro, competitività, giovani e donne) integra l'accordo sull'età pensionabile con interventi a 360 gradi: modifiche alla legge Biagi, aumento dei sussidi di disoccupazione, revisione dei rinnovi contrattuali e l'aumento delle pensioni più basse per oltre 7 milioni di persone. Tolto il nodo previdenziale, per gli altri capitoli si illustrano gli orientamenti del governo, tutti da trasformare in leggi e accordi con le parti sociali.

Ammortizzatori. Si punta a trasformare l'indennità di disoccupazione in "uno strumento unico indirizzato al sostegno del reddito e al reinserimento lavorativo delle persone disoccupate". Una riforma tutta da disegnare che porterà alla "progressiva estensione e unificazione della cassa integrazione ordinaria e straordinaria". Immediato invece lo stanziamento di 700 milioni di euro per aumentare la durata e la platea delle indennità di disoccupazione.


Mercato del lavoro. S'interverrà sui contratti a termine: se con una successione di rapporti a tempo determinato si sono superati i 36 mesi, ogni nuovo contratto dovrà essere stipulato presso la direzione provinciale del lavoro con l'assistenza delle organizzazioni sindacali. Se non si rispetta questa procedura il contratto si considera a tempo indeterminato. Chi ha svolto mansioni per 6 mesi ha diritto di precedenza nelle assunzioni fatte da quella azienda per i 12 mesi successivi. Inoltre saranno "riordinati" il contratto di apprendistato e il part-time. Sulla legge Biagi certa l'abolizione del lavoro a chiamata, mentre per la tipologia dello staff leasing si aprirà un confronto con le parti sociali per una revisione.

Competitività. Per ridurre il costo del lavoro viene abolita la contribuzione aggiuntiva ora in vigore sugli straordinari, inoltre sarà istituito un fondo da 160 milioni di euro l'anno per tre anni con cui finanziare gli sgravi contributivi per aziende e lavoratori che stipulano contratti di secondo livello in cui si prevedono premi per aumenti della produttività e per i risultati dell'azienda. Il tetto dello sgravio sale dal 3% al 5% della retribuzione annua.

Giovani. Per il triennio 2008-10 un fondo da 150 milioni di euro sarà a disposizione di chi ha carriere discontinue. Fornirà prestiti a tasso zero in grado di compensare cadute di reddito e anticipare i futuri stipendi. Inoltre ci saranno risorse per il microcredito rafforzando il prestito d'onore. Facilitata la totalizzazione dei contributi e il riscatto degli anni di università.

Donne. Per aumentare la partecipazione delle donne al lavoro saranno potenziati incentivi al part time e i servizi per l'infanzia.
 
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Post N° 789

Post n°789 pubblicato il 23 Luglio 2007 da cgil3palermo
 

IL PAESE CHE AVEVA PAURA DELLA NOTTE

C’era una volta uno strano paese dove gli abitanti temevano la notte.

La notte è scura – dicevano – buia.

La notte è il regno degli spiriti maligni, che di giorno si rintanano nell’ombra, fuggendo la luce.

La notte ruba le cose che amiamo e le nasconde sotto il suo manto oscuro.

La notte è amica del ladro e dell’assassino e li protegge nei suoi antri bui.

La notte chiama i cattivi pensieri, li veste, li nutre e li manda all’assalto.

Questo ed altro ancora dicevano, temendo la notte.

E a poco valevano i discorsi di chi ricordava come i pieri e gli alberti, della casata degli Angeli, avessero dimostrato, con autorevoli studi, come gli spiriti maligni ci fossero comunque, come le cose amate si perdessero anche alla luce del giorno, come in essa i ladri e gli assassini prosperassero ed i cattivi pensieri non vi facessero una vita grama.

Indubitabilmente, era la notte la condizione propizia del male.

E venne il giorno in cui in questo strano paese gli abitanti si riunirono per vedere se ci fosse modo di liberarsi della notte.

La discussione fu lunga ed i pareri contrastanti.

C’era chi, confortato dallo studio di fattibilità di qualche illustre luminare e dall’azione legale prospettata da un famoso principe del foro, avrebbe voluto arrestare il sole.

C’era chi si sarebbe contentato di deviare la notte sul paese vicino – del resto poco amato – ricorrendo a lusinghe e promesse, in modo che fossero gli altri a vedersela con l’indesiderata ospite.

C’era chi propugnava la fiamma ardente e luminosa della guerra santa e chi chiedeva la nomina di tre ambasciatori che concertassero con la notte un compromesso ragionevole.

Al termine dell’estenuante discussione gli abitanti di questo strano paese decisero di affidarsi al nuovo, prode borgomastro – che in quella giornata era stato capace d’essere d’accordo con ognuno – lasciando il paese nelle sue mani, con l’unico obbligo di liberarlo della notte.

E il prode borgomastro si mise subito di buona lena all’opera.
Per prima cosa nominò una commissione di esperti (un atto dovuto) e diede mandato al principe del foro di adire le vie legali.

Quindi inviò un’ambasceria al paese vicino con l’incarico di magnificare le sorti commerciali dell’allevamento intensivo dei gufi e delle falene.

All’abate del tempio fece pervenire un sommesso e riservato sollecito di un’autorevole invettiva e ai tre fratelli, gestori del mulino, affidò l’incarico di ricercare un compromesso accettabile.

Soddisfatta così ogni opinione, si mise di buon grado all’opera per amministrare quello strano paese.

Per primo emanò un decreto che stabiliva come in ogni casa fosse obbligatorio avere almeno un antro buio, confortevole per dimensioni e condizioni, ad uso degli spiriti maligni che, soddisfatte in tal modo le loro legittime aspettative, non avrebbero avuto ragione di desiderare l’arrivo della notte.

- Ma….
- Preferite, forse, che torni la notte?

Per secondo emanò un decreto con il quale venivano sequestrate le cose amate da ogni abitante, in modo che la notte non trovasse cosa rubare.

- Ma….
- Preferite, forse, che torni la notte?

Per terzo emanò un decreto con cui si assicurava l’impunità e la libera iniziativa dei ladri e degli assassini, in modo che non avessero bisogno degli antri bui della notte

- Ma….
- Preferite, forse, che torni la notte?

Per quarto emanò un decreto che vietava i cattivi pensieri e puniva severamente i trasgressori.

- Ma….
- Preferite, forse, che torni la notte?

...

Nonostante gli sforzi del prode borgomastro, alla fine, la
notte tornò.

Ma di certo, però, adesso faceva molto meno paura.

Severo Lutrario

 
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Post N° 788

Post n°788 pubblicato il 23 Luglio 2007 da cgil3palermo
 

Vergogna ! Ennesima voltafaccia del governo. Accordo truffa ai danni dei lavoratori.

E’ l’ennesimo voltafaccia del governo.

Questa notte governo e sindacati hanno firmato un accordo truffa contro i lavoratori, riprendendo la pratica degli accordi di concertazione del luglio ’92 e ’93, con i quali si introdusse la vergogna del lavoro in affitto e si cancellò la scala mobile, avviando la precarietà del lavoro e distruggendo il potere d’acquisto dei lavoratori. La proposta del governo, che sostituisce allo scalone il sistema delle quote, è peggio della controriforma Maroni: innalza l’età pensionabile fino a 62 anni di età. E’ un crimine sociale.

Il governo Prodi ha ceduto alle pressioni della destra, dell’ala liberista dell’Unione, di Confindustria, Banca d’Italia e delle Agenzie finanziarie dell’Unione Europea. Ha tradito il proprio programma che conteneva l’abolizione dello scalone Maroni e continua a deludere tutte le speranze che si erano create con la sconfitta di Berlusconi, facendo così crescere i consensi all’estrema destra fascista e leghista e alimentando le guerre fra poveri. Mentre regala 5 miliardi di euro alle imprese col cuneo fiscale e spende miliardi di euro per la guerra in Afghanistan, contemporaneamente non vuole trovare le risorse per migliorare la vita di chi lavora, di chi produce la ricchezza reale del paese e non arriva a fine mese. Si chiedono sacrifici sempre e solo ai lavoratori. E’ una vergogna.

Rifondazione Comunista, in coerenza con tutte le deliberazioni approvate e con le dichiarazioni del segretario Giordano che proponevano anche la crisi di governo senza un buon accordo, deve non solo votare No a questa truffa e chiedere alla Cgil lo sciopero generale, ma anche ritirare la propria delegazione dal governo, per dissociare chiaramente le proprie responsabilità da quelle del governo Prodi. Solo questo restituisce dignità alla politica, può salvare il partito dalla delusione dei militanti ed elettori e la prospettiva di rinascita di una sinistra degna di questo nome.

Leonardo Masella
Componente del Comitato Politico Nazionale del Prc (Area dell’Ernesto)

 
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Post N° 787

Post n°787 pubblicato il 23 Luglio 2007 da cgil3palermo
 

Fasci, sbirri e “democratici” (una brutta storia)

Partiamo da loro, dai democratici. Chiariamo subito che non usiamo il termine nel suo senso originario, per alludere a persone che hanno a cuore la possibilità di esprimere il dissenso e che si battono contro l’autoritarismo. Quella è una specie in via di estinzione. Adesso ci sono i democratici che avranno in Veltroni il loro leader, che non dispongono di un vero e proprio programma e che, quando parlano di riforme, minacciano nuovi attacchi ai diritti sociali.

Ora, il loro atteggiamento in queste settimane è indicativo: a fronte di gravissime aggressioni fasciste, come quelle di Villa Ada e di Casalbertone, non c'è stata una presa di posizione ferma e si è paventato il pericolo di tornare agli scontri fra ragazzi di opposte sponde degli anni '70, ponendo così sullo stesso piano aggressori ed aggrediti. Perché? Intanto vi è una constatazione semplice che pochi hanno il coraggio di fare. Il Partito Democratico esprime la volontà di precisi settori del capitalismo italiano, tanto che Veltroni ne è stato proposto come leader da Carlo de Benedetti assai prima che si profilassero le primarie. Bene, nell’ottica padronale - e dunque del PD - oggi disturba di più chi scende in piazza contro Bush e contro la politica estera aggressiva del governo italiano che chi cerca di canalizzare il malessere sociale contro gli immigrati, gli zingari, gli omosessuali. Poi, certo, anche i gruppuscoli di destra devono contenersi. Ad esempio, quando hanno attaccato i manifesti contro gli omosessuali proprio in coincidenza col Gay Pride, il sindaco li ha condannati, così da fare una bella figura, peraltro a buon mercato. Il "no more froci" di Forza Nuova è stato commentato con sdegno ma senza che se ne evidenziassero le implicazioni, il suo rimandare ai campi di concentramento, alla persecuzione fascista e nazista degli omosessuali. Ma torniamo al nostro oggetto. Per inquadrare meglio la situazione vanno considerati i rapporti tra Sindaco e Prefetto, che sono di piena sintonia. I due hanno anche varato un Patto per la sicurezza che trasforma alcuni problemi sociali in mere questioni d’ordine pubblico e che intende concentrare i nomadi in quattro grandi campi della solidarietà (ovvero, campi di concentramento).

Ora, una cosa è stata resa evidente dagli accadimenti di Casalbertone. Il prefetto Serra sta fornendo una copertura all'estate nera, cioè alla serie di azioni svolte dai fascisti in queste settimane, altrimenti non avrebbe accreditato la tesi che ha trasformato l'autodifesa degli occupanti in un'aggressione.

L'atteggiamento delle forze dell'ordine, d'altronde, è chiaro e provocatorio. A Villa Ada hanno fermato alcuni compagni e non gli aggressori, a Casalbertone hanno coperto la fuga dei fascisti. Serra vuole approfittare della situazione che si sta creando, per costruirsi una immagine da uomo d'ordine, utile per una futura carriera politica nel centrodestra. I giornali da Il Tempo a E polis lo aiutano, al punto che – nel caso di Casalbertone – non hanno voluto raccogliere le testimonianze degli abitanti del quartiere, che avrebbero descritto una chiara aggressione fascista. Certo, il sindaco può non essere contento della situazione, perché le coltellate sono davvero diventate troppe, però per lui non è un grande dolore sacrificare sull'altare del rapporto col Prefetto il movimento antagonista romano. Tanto più che, come abbiamo detto, il PD considera la nostra esistenza in prospettiva più fastidiosa di quella dei fascisti.

Ma arriviamo a questi ultimi. Tra le notizie più allarmanti degli ultimi tempi c'è la fuoriuscita da AN di Storace. La cosa preoccupa anche per le enormi disponibilità economiche che egli porta con sé, dopo anni di ruberie alla Regione. Storace, poi, ha presentato il suo biglietto da visita schierandosi con la Fiamma nei fatti di Casalbertone, rivendicando, nella sostanza, il diritto dei fascisti all'aggressione, come ai vecchi tempi, in parte abbandonati per fare il politicante (e l'accaparratore). Alle risorse economiche, alle connivenze con lo squadrismo, Storace e i suoi aggiungono una certa capacità di far presa sui settori popolari attraverso la demagogia. Non stiamo parlando di Forza Nuova, di picchiatori che riescono ad avere un ruolo politico solo in circostanze eccezionali (si pensi al corteo a Fidene dopo la tragedia del metrò), ma che in generale possono risultare fumosi e astratti con i loro generici proclami contro un non meglio specificato "turbocapitalismo". Né della Fiamma, che ancora vagheggia un grottesco corporativismo. Storace è stato sino a ieri in AN accettando anche la svolta di Fiuggi, che ha inteso, però, come rinnovamento, non come rottura col passato: il suo legame col ventennio e soprattutto con il neofascismo degli anni '70 rimane forte, ma esplicitato con moderazione. Dunque, il lato ideologico viene messo tra parentesi e anche se, in fondo, la sostanza del discorso di Storace rimane l'istigazione all'odio razziale, da parte sua vi è la capacità di dare il senso che si sta occupando dei problemi della povera gente (italiana). Si può dire, quindi, che abbiamo di fronte un osso duro, che sostiene direttamente gli accoltellatori ma che sa fare politica, ma la situazione può essere affrontata.

L'importante è abbandonare gli appelli alla Roma democratica, assai poco incisivi, e dedicare la controinformazione che si svolge nei territori a demistificare il presunto carattere sovversivo o d'opposizione dei gruppi fascisti. In qualsiasi forma questi si presentino, non sono mai contro il sistema, ma sono con esso compatibili e spesso ne costituiscono il braccio armato. Inoltre, va contrastato uno dei cardini della propaganda fascista: la contrapposizione tra proletari italiani ed immigrati. Va ribadito in ogni occasione che i fascisti fanno il gioco del padrone perché creare divisioni è il miglior modo per tenere sotto controllo chi vive condizioni di sfruttamento e di precarietà. Nel portare avanti questo discorso, possiamo d’altronde riferirci ad esempi concreti. Proprio l'occupazione a scopo abitativo di Casalbertone – non a caso attaccata dai fascisti – dimostra che il diritto alla casa si conquista con la lotta comune tra italiani ed immigrati. Proprio esperienze di questo tipo sono il miglior modo per promuovere la conoscenza reciproca tra persone di cultura diversa, superando i pregiudizi creati non solo dalla violenta propaganda di destra ma anche dal modo in cui i media rappresentano “gli altri”.

 
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Post N° 786

Post n°786 pubblicato il 23 Luglio 2007 da cgil3palermo
 

Il circolo Pink offre ospitalita' all'Istituto per la storia della Resistenza

Il Pink esprime piena solidarietà all'Istituto per la Storia della Resistenza in seguito alle gravissime offese fatte dalla Giunta Tosi dopo la nomina dei fascisti Cametti e Miglioranzi in qualità di rappresentanti per il Comune.

"Lucia Cametti, senza giri di parole, definisce quello per la storia della Resistenza «un istituto anacronistico che va superato e trasformato in un centro studi in vista di una revisione storica perché non è più accettabile che il 25 aprile ci si ricordi solo dei partigiani e non dei caduti della Repubblica di Salò" «Questa nomina è un segnale forte», ammette Miglioranzi, «che non ha soltanto il sapore della provocazione, ma vuol essere un contributo per riesaminare un periodo tragico della nostra storia, facendo valere la voce di chi è stato dimenticato per 60 anni. Fascista», tiene a sottolineare, «è un termine di cui sono sempre stato fiero perché non faccio parte dei partiti dell’ abiura, ma non sono un nostalgico: fascista per me significa avere un patrimonio etico con cui coniugare tradizione e socialità».

Il Pink dopo aver letto le dichiarazioni della Cametti e di Miglioranzi si chiede se non vi siano nelle loro parole gli estremi per una denuncia per reato di apologia del fascismo.

In questo periodo di emergenza democratica il Pink mette a disposizione la propria sede antirazzista e antifascista in modo che l'Istituto per la Storia della Resistenza possa continuare ad operare in un ambiente libero da fascisti, senza censure, ricatti e rivisitazioni storiche da parte dell'attuale Giunta .

Il circolo Pink

 
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Post N° 785

Post n°785 pubblicato il 22 Luglio 2007 da cgil3palermo
 

Un «fascista» all'Istituto per la Resistenza di Verona

Tre mesi di carcere per istigazione all'odio razziale, leader degli skinhead, dirigente della Fiamma Tricolore, membro del gruppo musicale "Gesta bellica", che come pezzi culto ha canzoni dedicate a Erik Priebke ("Il capitano") e a Rudolph Hess ("Vittima della democrazia"). Quale curriculum migliore per far parte dell'Istituto per la resistenza di Verona? La splendida idea di nominare il 35enne Andrea Miglioranzi («Fascista? Per me è un termine molto caro») come rappresentate del Comune all'ente fondato nel 1998 che ha tra i compiti quello di «raccogliere testimonianze di partigiani» è venuta alla maggioranza del consiglio comunale. Ancora elettrizzati dalla fresca nomina dopo l'elezione a sindaco dell'astro nascente della Lega Flavio Tosi (quello che come prima cosa ha cacciato gli «zingari» dalla città), i consiglieri della destra si sono sentiti di osare. Dovevano nominare due persone.

La prima è stata Lucia Canetti di Alleanza Nazionale. E già ci sarebbe di che discutere. Ma per secondo hanno scelto lui, «il camerata Miglioranzi». Uno che era già conosciuto nel mondo del "white power rock", ma è diventato ancora più famoso per essere il primo in Italia a finire in carcere per la legge Mancino sull'istigazione all'odio razziale. Nel 1996: tre componenti del gruppo (oltre a Miglioranzi, c'è il leader Alessandro Castorina, ora segretario provinciale della Fiamma Tricolore) organizzano un'aggressione nei confronti di uno "sharp" (skinheads di sinistra), reo di essere l'ispiratore di alcune iniziative musicali multietniche. Le minacce sono chiare: «A Verona queste cose non le vogliamo, se ci provi ancora sei morto». I picchiatori sono di Napoli, i mandanti si limitano ad osservare il pestaggio. Con entusiasmo. La Digos li arresta e, grazie all'applicazione della legge Mancino, scontano in carcere quasi tre mesi.

Qualcuno a Verona, città medaglia d'oro per la Resistenza, si è opposto. Oltre allo scultore e sopravvissuto ai campi di concentramento Vittore Bocchetta («Qui è peggio del periodo di Hitler, a Verona manca totalmente la memoria storica»), è la senatrice di Rifondazione Tiziana Valpiana a organizzare la protesta. «Io sono anche componente del direttivo dell'Istituto e posso promettere che Miglioranzi non varcherà mai la soglia della nostra sede. Mi impegno in nome dei miei parenti morti a Mathausen. La sua nomina è in spregio alla resistenza e già lunedì chiederò a Oscar Luigi Scalfaro, come presidente degli enti di ricerca sulla resistenza, di chiedere l'annullamento della nomina». La senatrice Valpiana, poi, dietro Miglioranzi vede la mano di Tosi. «Sono sicura che l'idea è sua. Il nuovo sindaco vuole mostrarsi come uomo forte, come nuovo Gentilini (l'ex sindaco di Treviso, ndr) e per farlo arriva a provocazioni come quella di nominare un fascista pregiudicato a custode della memoria dei partigiani».

E difatti il neo sindaco di Verona (accomunato a Miglioranzi per una condanna, ancora non definitiva, per lo stesso reato) non si nasconde. «Le nomine sono del Consiglio comunale, ma li avrei votati anch'io se fossi stato presente. I due consiglieri nominati sono sicuramente persone preparate, con idee politiche magari diverse. Ma sono convinto che possano portare un confronto positivo all'interno dell'Istituto, non per riscrivere la storia o per fare del revisionismo, ma per approfondire alcuni aspetti sui quali fino ad ora c'è stata minore sensibilità». Oltre a Tosi, a Miglioranzi è stata espressa solidarietà dal presidente veronese di An Massimo Giorgetti. «In democrazia funziona così, non capisco lo sconcerto. E poi mi pare che il dopoguerra sia finito da un pezzo», ha commentato stupito al "Corriere di Verona".

Insomma, Miglioranzi (e Canetti di An) potranno dimostrare che i partigiani stavano dalla parte sbagliata e che i giusti stavano vicino Verona, nella Repubblica Sociale di Salò. Miglioranzi potrà farlo canticchiando le canzoni del suo gruppo. Come "Feccia Rossa": "feccia rossa/nemica della civiltà/ bestia senza umanità/ la celtica croce vincerà". Oppure "8 settembre '43": "una data senza perché/ è giunta l'ora della viltà/ un altro marchio di infamità/ Ma io sono camicia nera/ nel mio cuore una fede sincera".

 
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Post N° 784

Post n°784 pubblicato il 22 Luglio 2007 da cgil3palermo
 

Non piace affatto alla Fiom, la categoria dei metalmeccanici, l'accordo sulle pensioni. Il leader, Gianni Rinaldini, e il segretario nazionale, Giorgio Cremaschi, hanno già espresso la volontà di votare "no" al mandato a chiudere l'accordo quando e se il direttivo della Cgil dovesse poi esser chiamato ad esprimersi.

«L'accordo è il cedimento ad una campagna ideologica priva di fatti e di dati: e più che delusione c'è rabbia», ha affermato Cremaschi.

 
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Post N° 783

Post n°783 pubblicato il 22 Luglio 2007 da cgil3palermo
 

Prodi: sulle pensioni rimediato a ingiustizia

Il premier Romano Prodi si compiace per l’accordo raggiunto giovedì notte tra governo e sindacati sulla riforma delle pensioni e l'ammorbidimento dello scalone: con l'intesa, ha detto Prodi, a Bologna per il fine settimana, si è «rimediato a un’ingiustizia» e si è provato a «tenere i conti a posto».

DISSENSI? NON MI MERAVIGLIANO - «Credo - ha spiegato il premier - che sia emerso da tutti i commenti che è stata fatta una cosa seria, di giustizia e che allo stesso tempo si sia aiutato un equilibrio di medio e lungo periodo delle finanze pubbliche italiane. «Era quello che volevamo fare - insiste Prodi - rimediare a una ingiustizia e tenere i conti a posto». In mattinata, dopo un giro in bicicletta sui colli bolognesi, il presidente del Consiglio si è fermato qualche minuto davanti alla sua abitazione di via Gerusalemme: «I lavoratori che andranno in pensione - ha detto Prodi - non avranno vantaggi, ma neanche svantaggi». Il presidente del Consiglio ha anche ammesso che i «dissapori» all’interno della maggioranza erano attesi, viste le posizioni molto distanti dei partiti rappresentati: «I contrasti sono evidenti? - ha detto riferendosi alle critiche di Rifondazione comunista - Mi meraviglierei del contrario». E la discussione in Parlamento? «Vedremo a settembre».
CONFRONTO CON FLAVIA - Ma le modifiche al sistema previdenziale apportate dal governo sembrano avere molti detrattori, se persino la signora Prodi gli lancia una battuta davanti casa, chiacchierando con i giornalisti: Flavia Franzoni gli sottopone il caso del «mio parrucchiere» che, dopo «aver iniziato a lavorare a quattordici anni», a quanto pare oggi è «scontento» per l'esito della trattativa con i sindacati. Ed in effetti «ne avete scontentati...», è la riflessione della signora. Ma il Professore rassicura: «C'era chi, da un giorno all'altro – ha spiegato – sarebbe andato in pensione tre anni dopo» rispetto alla tabella di marcia, se l'esecutivo non avesse cancellato lo «scalone» previsto dalla riforma Maroni.
 
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Post N° 782

Post n°782 pubblicato il 22 Luglio 2007 da cgil3palermo
 

Gli operai Luxottica ai Raggi X
In fabbrica col marsupio trasparente

L’impresa aveva utilizzato le telecamere del garage per dimostrare le inadempienze del lavoratore. Il caso è relativo a quello di un dipendente dell’Eni che era stato licenziato dopo la sentenza in appello a marzo 2005. Ora l’azienda dovrà reintegrarlo e pagargli gli stipendi arretrati. Tutti i pareri del Garante sui controlli negli uffici

C’è una soglia che non deve essere mai valicata. Pure se il lavoratore è uno di quelli che di lavorare non ne vuole proprio sentire parlare. A dirlo è una sentenza della Cassazione che ha stabilito che "la vigilanza sul lavoro, ancorché necessaria nell'organizzazione produttiva" va "mantenuta in una dimensione 'umana' e cioé non esasperata dall'uso di tecnologie" che violano la privacy del dipendente stesso”. Insomma il Grande Fratello nelle imprese non può andare in onda.

La sentenza 15892 della Cassazione, redatta da Paolo Stile, ha annullato su queste basi il licenziamento che era stato inflitto il 3 luglio del 2002 ad un dipendente dell'Eni Spa. Sergio P., a dire del datore di lavoro, aveva mostrato un "comportamento malizioso e ripetutamente inadempiente, o comunque idoneo ad ingenerare sfiducia". In particolare la sentenza fa riferimento all’uso che il datore di lavoro ha fatto delle telecamere all’interno del garage dove potevano parcheggiare i dipendenti per dimostrare le sue ingiustificate assenze e ritardi. Nella sentenza del giudizio d'appello emessa a marzo 2005, con il quale il dipendente era stato licenziato, si affermava che l’uomo "eludendo i controlli varcava altri accessi ed entrava nel garage o ne usciva con la sua auto privata".

La sentenza sembra muoversi in una direzione diversa rispetto alle precedenti pronunce e stabilisce che le imprese pure se si trovano di fronte all’esigenza di “evitare condotte illecite da parte dei dipendenti" non possono spiare la condotta del dipendente facendo un ricorso "esasperato a mezzi tecnologici" così da fare venire meno "ogni forma di garanzia della dignità e della riservatezza del lavoratore".

Per la Cassazione quindi, pure in presenza di un comportamento grave “svoltosi in maniera sistematica tale da avere spezzato il vincolo fiduciario", il dipendente va immediatamente "reintegrato nel suo posto di lavoro". Allo stesso tempo l’impresa dovrà un risarcimento al lavoratore per i danni pari alla retribuzione di circa 1.500 euro per quattrodici mensilità, ovvero dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione.

La Suprema Corte ricorda che sussiste il "divieto di utilizzazione di mezzi di controllo a distanza, tra i quali, in primo luogo, gli impianti audiovisivi sul presupposto che la vigilanza sul lavoro va mantenuta in una dimensione umana" stabilito dallo Statuto dei lavoratori. La richiesta dell’installazione di impianti ed apparecchiature di controllo, dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, può essere solo condizionata a “esigenze di sicurezza del lavoro". In ogni caso la installazione è "condizionata all'accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o con la commissione interna, o in difetto, all'autorizzazione dell'ispettorato del lavoro".

D'altronde il diritto alla privacy del dipendente si estende anche durante le attività di lavoro in ufficio. Il Garante nella sua ultima relazione annuale ha ribadito, in occasione di un caso relativo a un lavoratore licenziato per avere consultato siti a contenuto religioso, politico e pornografico, che il datore non può copiare direttamente dalla directory intestata al lavoratore le pagine web senza informare preventivamente il lavoratore. Tale trattamento può essere effettuato senza il consenso solo “se necessario per difendere in giudizio un diritto di pari rango pari a quello dell’interessato della personalità o un altro diritto fondamentale.”

Sempre in merito al controllo da parte dell’azienda dei movimenti dei dipendenti il Garante ha dato ad agosto un “sì condizionato” al progetto di una società che prevede l'uso delle impronte digitali per far accedere i dipendenti in determinate aree del magazzino merci dove sono depositati beni di particolare valore. “Le impronte digitali potranno essere usate solo per identificare in maniera certa i dipendenti della società abilitati all'accesso alle aree riservate e non per la rilevazione delle loro presenze. Scopo dell'installazione del sistema biometrico è quello di garantire una maggiore sicurezza delle merci ed evitare il ripetersi di furti di beni preziosi".

Quanto alle email la pratica del controllo sembra essere molto diffusa. Per Mauro Paissan, componente del Garante per la Privacy, “è giusto partire dal quadro normativo vigente (per quanto non specifico) che al momento punisce con una sanzione penale (art. 616 c.p.) chiunque violi una corrispondenza a lui non diretta, specificando che per corrispondenza si intende anche quella informatica o telematica. E’ necessario trovare una soluzione che contemperi il diritto del datore di lavoro di mantenere il controllo dei beni aziendali con l’insopprimibile diritto, costituzionalmente tutelato, alla segretezza della corrispondenza e alla protezione dei propri dati personali. In ogni modo, su questo delicatissimo punto non c’è ancora una normativa specifica né una giurisprudenza consolidata.”

 
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Post N° 781

Post n°781 pubblicato il 22 Luglio 2007 da cgil3palermo
 

Cassazione: “Mai spiare il dipendente lavativo”
La vigilanza non deve violare la privacy

L’impresa aveva utilizzato le telecamere del garage per dimostrare le inadempienze del lavoratore. Il caso è relativo a quello di un dipendente dell’Eni che era stato licenziato dopo la sentenza in appello a marzo 2005. Ora l’azienda dovrà reintegrarlo e pagargli gli stipendi arretrati. Tutti i pareri del Garante sui controlli negli uffici

C’è una soglia che non deve essere mai valicata. Pure se il lavoratore è uno di quelli che di lavorare non ne vuole proprio sentire parlare. A dirlo è una sentenza della Cassazione che ha stabilito che "la vigilanza sul lavoro, ancorché necessaria nell'organizzazione produttiva" va "mantenuta in una dimensione 'umana' e cioé non esasperata dall'uso di tecnologie" che violano la privacy del dipendente stesso”. Insomma il Grande Fratello nelle imprese non può andare in onda.

La sentenza 15892 della Cassazione, redatta da Paolo Stile, ha annullato su queste basi il licenziamento che era stato inflitto il 3 luglio del 2002 ad un dipendente dell'Eni Spa. Sergio P., a dire del datore di lavoro, aveva mostrato un "comportamento malizioso e ripetutamente inadempiente, o comunque idoneo ad ingenerare sfiducia". In particolare la sentenza fa riferimento all’uso che il datore di lavoro ha fatto delle telecamere all’interno del garage dove potevano parcheggiare i dipendenti per dimostrare le sue ingiustificate assenze e ritardi. Nella sentenza del giudizio d'appello emessa a marzo 2005, con il quale il dipendente era stato licenziato, si affermava che l’uomo "eludendo i controlli varcava altri accessi ed entrava nel garage o ne usciva con la sua auto privata".

La sentenza sembra muoversi in una direzione diversa rispetto alle precedenti pronunce e stabilisce che le imprese pure se si trovano di fronte all’esigenza di “evitare condotte illecite da parte dei dipendenti" non possono spiare la condotta del dipendente facendo un ricorso "esasperato a mezzi tecnologici" così da fare venire meno "ogni forma di garanzia della dignità e della riservatezza del lavoratore".

Per la Cassazione quindi, pure in presenza di un comportamento grave “svoltosi in maniera sistematica tale da avere spezzato il vincolo fiduciario", il dipendente va immediatamente "reintegrato nel suo posto di lavoro". Allo stesso tempo l’impresa dovrà un risarcimento al lavoratore per i danni pari alla retribuzione di circa 1.500 euro per quattrodici mensilità, ovvero dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione.

La Suprema Corte ricorda che sussiste il "divieto di utilizzazione di mezzi di controllo a distanza, tra i quali, in primo luogo, gli impianti audiovisivi sul presupposto che la vigilanza sul lavoro va mantenuta in una dimensione umana" stabilito dallo Statuto dei lavoratori. La richiesta dell’installazione di impianti ed apparecchiature di controllo, dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, può essere solo condizionata a “esigenze di sicurezza del lavoro". In ogni caso la installazione è "condizionata all'accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o con la commissione interna, o in difetto, all'autorizzazione dell'ispettorato del lavoro".

D'altronde il diritto alla privacy del dipendente si estende anche durante le attività di lavoro in ufficio. Il Garante nella sua ultima relazione annuale ha ribadito, in occasione di un caso relativo a un lavoratore licenziato per avere consultato siti a contenuto religioso, politico e pornografico, che il datore non può copiare direttamente dalla directory intestata al lavoratore le pagine web senza informare preventivamente il lavoratore. Tale trattamento può essere effettuato senza il consenso solo “se necessario per difendere in giudizio un diritto di pari rango pari a quello dell’interessato della personalità o un altro diritto fondamentale.”

Sempre in merito al controllo da parte dell’azienda dei movimenti dei dipendenti il Garante ha dato ad agosto un “sì condizionato” al progetto di una società che prevede l'uso delle impronte digitali per far accedere i dipendenti in determinate aree del magazzino merci dove sono depositati beni di particolare valore. “Le impronte digitali potranno essere usate solo per identificare in maniera certa i dipendenti della società abilitati all'accesso alle aree riservate e non per la rilevazione delle loro presenze. Scopo dell'installazione del sistema biometrico è quello di garantire una maggiore sicurezza delle merci ed evitare il ripetersi di furti di beni preziosi".

Quanto alle email la pratica del controllo sembra essere molto diffusa. Per Mauro Paissan, componente del Garante per la Privacy, “è giusto partire dal quadro normativo vigente (per quanto non specifico) che al momento punisce con una sanzione penale (art. 616 c.p.) chiunque violi una corrispondenza a lui non diretta, specificando che per corrispondenza si intende anche quella informatica o telematica. E’ necessario trovare una soluzione che contemperi il diritto del datore di lavoro di mantenere il controllo dei beni aziendali con l’insopprimibile diritto, costituzionalmente tutelato, alla segretezza della corrispondenza e alla protezione dei propri dati personali. In ogni modo, su questo delicatissimo punto non c’è ancora una normativa specifica né una giurisprudenza consolidata.”

 
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Post N° 780

Post n°780 pubblicato il 22 Luglio 2007 da cgil3palermo
 

Il peggiore accordo possibile - Coord Naz. RSU

Non hanno solo riconfermato (peggiorandolo) lo scalone Maroni ed i suoi effetti. Hanno fatto di peggio. Hanno liquidato definitivamente il diritto alla pensione dei lavoratori dipendenti dalla categoria del salario differito, introducendo un meccanismo che porta la "cassa previdenziale" (quella cioè finanziata con i contributi dei lavoratori) nella completa disponibilità dello Stato.

Alla fine sono riusciti a mettersi d'accordo per smantellare la pensione pubblica.

Non si tratta solo delle "quote" che di fatto portano l'età pensionabile a 61-62 anni entro il 2013 (eguagliando e forse superando in negativo lo stesso scalone Maroni) ma di tutto l'impianto di un accordo che disegna cosa sarà la previdenza negli anni a venire.

Un impianto che riprende la "Dini" e la esalta fino alle sue definitive e conclusive conseguenze.

Da oggi (è ufficiale, lo dice l'accordo) la pensione non sarà più determinata dall'equilibrio del rapporto tra entrate contributive ed uscite per il pagamento delle pensioni (da sempre, ed anche oggi, in attivo), ma da un meccanismo automatico (che i firmatari si sono impegnati a stabilire entro il 2008) che determinerà il valore dei coefficienti di rendimento previdenziale sulla base di parametri esterni al conto previdenziale come ad esempio l'andamento demografico e l'aspettativa di vita, il PIL nazionale, le dinamiche macroeconomiche, gli obiettivi di bilancio statale.

Sulla base di una valutazione (ovviamente arbitraria e di parte) di questi fattori ogni tre anni il Governo (per decreto del Ministero del Tesoro) stabilirà a quali coefficienti di calcolo della pensione si dovrà fare riferimento, stabilendo così in maniera automatica, e senza obbligo di contrattazione, il valore delle pensioni future riferendosi a parametri che con le pensioni e con lo stato del conto previdenziale non c'entrano nulla.

A nulla servirà che le casse Inps (finanziate dai contributi dei lavoratori) siano in attivo, quello che conterà saranno le decisioni del Governo.

Così la pensione del lavoratore dipendente esce dalla categoria del salario differito e contrattato. D'ora in poi le pensioni dei lavoratori dipendenti saranno determinate unicamente per decreto Governativo, che deciderà sulla base di fattori esterni all'equilibrio o meno del sistema previdenziale, e sulla base delle sue scelte in materia di bilancio.

Così alla fine l'accordo firmato ieri riduce la cassa previdenziale in una cassa nella completa disponibilità di uno Stato.

Possibile che Cgil Cisl Uil non sappiamo tutto questo?

Certo sappiamo che anche i sindacati hanno da anni deciso di puntare tutto sulla previdenza complementare (finanziata con sacrifici salariali aggiuntivi di lavoratori che ormai da anni vedono ridursi progressivamente le loro retribuzioni, costretti a consegnare il loro salario a speculatori di borsa), ma quello che hanno firmato liquida di fatto la possibilità di determinazione sindacale su una quota importante del salario differito dei lavoratori, cioè di quello che è rimasto della pensione pubblica, mandando definitivamente in soffitta anche la già debole loro parola d'ordine delle due gambe previdenziali, quella pubblica e quella integrativa.

Si confermano gli obiettivi dello scalone Maroni, si consegna al Governo la titolarità (una volta stabilito il meccanismo) di decidere ogni tre anni di quanto rallentare la dinamica delle nostre pensioni.

I lavoratori ed i sindacati perdono potere di controllo (dopo il TFR da giocare in borsa, ossia al bingo) sulla parte più importante del loro salario differito, ed il Governo, che già finanzia abbondantemente con l'attivo previdenziale le spese assistenziali altrimenti a suo carico, potrà ora allargare la sua possibilità di dirottare altrove una più consistente quota di queste risorse (ossia dei contributi che noi continueremo a versare pensando che servano per sostenere la nostra pensione futura)

Paradossalmente e sfacciatamente, tutto questo succede sapendo che i conti della cassa previdenza dei lavoratori dipendenti è in attivo e basterebbe a se stessa per almeno trenta anni ancora senza bisogno di interventi (lo dicevano anche Cgil Cisl Uil quando contestavano Maroni, e lo dicevano ancora fino a qualche giorno fa .... chissà cosa è successo).

Paradossalmente le uniche cose che creano problemi di gestione alla cassa previdenza (come il peso dell'assistenza che sfacciatamente da anni lo Stato finanzia con i nostri contributi previdenziali) non sono neppure accennate nell'accordo, dando quindi per scontato che all'ordine del giorno non c'era la sostenibilità della previdenza pubblica ma ben altro.

Paradossalmente si cerca di convincerci a guardare nell'accordo alcuni punti positivi, come ad esempio il ripristino delle 4 finestre di uscita e l'aumento di un caffè al giorno per le pensioni minime, ma si dimenticano di dire che queste loro graziose concessioni sono finanziate dai tagli alle nostre pensioni.

Ancor più paradossalmente cercano di rendere apprezzabile l'accordo sottolineando l'intervento previsto a favore dei lavoratori precari. L'accordo prevede infatti (per ora solo a parole) che verrà prevista la copertura previdenziale figurativa (ossia simbolica, nessuno versa nulla, neppure le aziende) per i periodi di inattività lavorativa e che a loro si vedrà (bilancio permettendo, quindi solo a parole per ora) di garantire una pensione di almeno il 60% della loro ultima retribuzione (che poi non sarà l'ultima come dicono alla TV ma una media di non si sa cosa), ultima retribuzione che sarà se va bene sui 1000 euro (visto l'andazzo). Il 60% dell'ultima retribuzione sarà quindi nella maggior parte dei casi pari a 600 euro (praticamente come la pensione minima sociale, quella che ancora oggi, poi si vedrà, non si nega a nessuno). Ma anche qui, copertura figurativa dei contributi e previsioni di spesa per il tetto minimo di pensione ai precari non vengono dalle casse dello Stato ma dal taglio alle pensioni.

Così fa anche in soffitta anche tutta la discussione sulla legge 30 la cui abrogazione avrebbe certo risolto più problemi (anche previdenziali) ai giovani e non solo.

Altrettanto paradossalmente ci viene fatto notare che l'accordo porta con se maggiori tutele per i lavori usuranti, quelle per intenderci che già ci erano state promesse con accordo nel 1995 per farci digerire la riforma Dini. Ci viene ora fatta passare come vittoria una cosa che già era un diritto contrattato e mai applicato dal 1995, che ancora oggi nell'accordo è in gran parte da precisare. Una vittoria tra l'altro (e nessuno lo dice) che sarà esigibile solo all'interno di un tetto di spesa non espandibile, comunque ricavato dai tagli realizzati sulle nostre pensioni.

Tutto quello che di positivo viene detto esserci nell'accordo non è certo elargito dal Governo come scambio per l'aumento dell'età pensionabile ma viene finanziato con la riduzione delle nostre pensioni.

E' un pò come se quello che ti ha appena sparato una mitragliata in pieno petto ti da poi una mentina per convincerti che non ti è andata poi così male, senza dirti peraltro che la mentina l'ha tolta dalle tue tasche.

Dulcis in fundum (visto che erano già seduti al tavolo, perchè non firmare anche questo ?) hanno deciso di detassare il salario contrattato in azienda (giusto per ridurre le entrate contributive oltre che quelle fiscali a favore, come sempre, dell'impresa, e di una scelta di smantellamento di quel che resta del contratto nazionale) e di aumentare ulteriormente dal 2011 i contributi previdenziali a carico dei lavoratori (aumentando l'aliquota dello 0,09%)

Una nota va infine segnalata riguardo all'unificazione degli enti previdenziali, che il Governo si impegna a proporre entro la fine dell'anno. Ovviamente il Governo si impegna a sentire anche i sindacati, non fosse altro perchè questo comporterà qualche migliaio di esuberi (come risparmiare altrimenti i 3,5 miliardi da questa razionalizzazione), ma l'operazione sembra avere anche un'altro senso.

Fino ad oggi era evidente nei bilanci Inps quali fossero i fondi in attivo (lavoratori dipendenti) e quelli in passivo (Dirigenti di azienda, lavoro autonomo ecc), così come era evidente a bilancio che i buchi dei fondi in passivo erano coperti dai fondi in attivo. Era chiaro cioè che esisteva, dichiarato a bilancio, essendo le gestioni distinte, un rapporto creditore-debitore che in qualche modo rimaneva un problema da risolvere. Con l'unificazione dei fondi e degli enti previdenziali c'è quindi il rischio che la gestione diventi unica con il risultato di nascondere il fatto che la cassa lavoratori dipendenti era in attivo e non abbisognava di alcun intervento, e finanziare senza che nessuno protesti quei fondi privilegiati che continuano a percepire pensioni ad un valore ben superiore ai contributi versati.

In conclusione è facile dire che ci troviamo di fronte al peggiore accordo possibile, lontano anni luce anche dalle stesse dichiarazioni sindacali fatte fino a qualche settimana fa, come pure da quella che loro chiamavano "piattaforma unitaria" pomposamente lanciata a febbraio 2007.

Il Governo ed i sindacati ci invitano ora a guardare l'accordo nel suo complesso ed a non soffermarci sui singoli punti (che in effetti presi uno ad uno fanno accapponare la pelle), ma è appunto guardando l'accordo nel suo complesso e nella sua filosofia di fondo che nasce la convinzione di essere di fronte ad un accordo da respingere. Non di soli scalini e di quote si tratta. Questo accordo liquida la previdenza pubblica e la trasferisce nelle competenze della tesoreria dello Stato (in parole povere di Padoa Schioppa o di quello che sarà il prossimo Ministro del Tesoro del Governo di centrodestra, forse Tremonti ??).

Un'accordo da bocciare quindi.

Da oggi inizia la battaglia per il diritto dei lavoratori ad un vero referendum sull'accordo, ma si rilancia su basi ancora più cogenti ed urgenti anche la battaglia per cambiare questo sindacato.

20-07-2007

 
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Post N° 779

Post n°779 pubblicato il 20 Luglio 2007 da cgil3palermo
 

Stanotte è stato raggiunto un accordo disastroso aumentata l'eta pensionabile a 62 anni. La Rete 28 Aprile sarà impegnata a fa sentire il suo no...

Giorgio Cremaschi

 
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