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Incubo Tav P°2 di Marco Cedolin

Post n°13 pubblicato il 19 Luglio 2006 da il.dubbioso
 

La costruzione della Torino – Lione comporterà nella sola parte italiana l’estrazione dalle gallerie di 16 milioni di metri cubi di smarino (almeno 6 volte il volume della piramide di Cheope) per i quali occorreranno 2.500.000 passaggi di camion solo per stoccare nelle varie discariche i materiali di risulta. I recenti studi d’ingegneria dei trasporti affermano che quando tra una quindicina di anni l’opera sarà terminata solo l’1% dell’attuale traffico su gomma si trasferirà sulla ferrovia. La contropartita di questo deludente risultato sarà pagata in maniera salatissima dai cittadini della Valle e della cintura di Torino, in quanto si calcola che durante questi 15 anni almeno 500 camion circoleranno giorno e notte per il trasporto dei materiali di scavo dai tunnel ai luoghi di stoccaggio, con il conseguente aumento d’inquinanti, polveri e rumore.

Oltre ai grossi rischi di natura idrogeologica focalizzati nella bassa valle, ad elevato rischio alluvionale, le cui conseguenze potrebbero ripercuotersi in maniera drammatica anche sulla città di Torino, gli studi hanno messo in evidenza due punti di estrema criticità del progetto Alta Velocità – Alta Capacità Torino – Lione.

Il primo riguarda la galleria di 23 km Musinè/Gravio che dovrebbe attraversare un terreno caratterizzato da rocce ricche di amianto. Secondo le analisi commissionate dalla Rete Ferroviaria Italiana ai geologi dell’Università di Siena il volume previsto di materiale estratto contenente amianto dovrebbe essere di almeno 1.150.000 metri cubi.

Non risulta sia stato previsto alcun piano di sicurezza volto ad impedire la dispersione delle fibre d’amianto durante le fasi di lavorazione e di stoccaggio. La metà del materiale estratto contenente amianto (paragonabile per volume ad un grattacielo alto 400 metri) è previsto sia stoccata in un sito a cielo aperto nei pressi del comune di Almese, senza nessuna protezione e giocoforza esposto ai forti venti di fhon che spesso soffiano nella valle (mediamente per 40 giorni all’anno) in direzione Torino.

In un dossier curato dal dottor Edoardo Gays, oncologo dell’ospedale San Luigi di Orbassano viene sottolineato come l’amianto, riguardo al quale non esiste per l’uomo una soglia minima di tollerabilità, causa oltre ad altre affezioni il mesotelioma pleurico, un tumore maligno che si manifesta anche dopo 15, 20 anni dall’inalazione delle particelle, esso porta al decesso in media entro 9 mesi dal momento della diagnosi ed ha un tasso di mortalità nell’ordine del 100%.
Sempre il dottor Gays nel suo studio esprime grossa preoccupazione per le conseguenze degli scavi e dello stoccaggio dei materiali contenenti amianto sulla salute dei cittadini ed afferma che alla luce di queste condizioni le morti per mesotelioma rischieranno di aumentare di oltre 100 volte su scala regionale.

Il secondo punto critico è costituito dal tunnel di 52 km che dovrà correre sotto il massiccio dell’Ambin, preceduto da una galleria di prospezione lunga oltre 7 km e del diametro di 6 metri.

All’interno del massiccio dell’Ambin sono infatti presenti numerosi giacimenti di uranio, come documentato dal CNR fin dal 1965. Per maggior precisione il materiale presente è pechblenda, una forma particolarmente radioattiva.
Una parte dello smarino estratto sarà perciò con tutta probabilità carica di radioattività ed estremamente pericolosa sia in fase di scavo che di stoccaggio.
L’uranio si disperde nell’aria e può essere inalato, inoltre contamina le falde acquifere e va ad inquinare i corsi d’acqua che possono essere utilizzati per l’irrigazione. L’uranio se inalato o ingerito provoca contaminazione interna e può essere causa di linfomi e leucemie.

Occorre anche sottolineare che la distribuzione delle falde acquifere all’interno del massiccio dell’Ambin è estremamente complessa e le conseguenze degli scavi rischiano di compromettere gravemente il sistema idrografico dell’area, come già avvenuto nel corso degli scavi delle gallerie per la linea Alta Velocità Firenze – Bologna nella zona del Mugello.

Se alla luce delle analisi fin qui esposte il progetto della linea ferroviaria Alta Velocità – Alta Capacità Torino – Lione si dimostra in maniera incontrovertibile un’opera altamente pericolosa per la salute e l’incolumità dei cittadini, non solo della Valle di Susa ma anche della cintura torinese e del capoluogo stesso, anche gli studi inerenti all’utilità ed al ritorno economico del tracciato mostrano imbarazzanti incongruenze nel merito delle quali non si può evitare di entrare.
I traffici di lunga distanza sull’asse Lisbona – Kiev, che motiverebbero il concetto di “Corridoio 5” sono ad oggi irrilevanti. Il traffico passeggeri di lunga distanza si muove e si muoverà in aereo, poiché risulta ampiamente dimostrato come le ferrovie ad Alta Velocità non siano assolutamente competitive nelle distanze superiori ai 500 km.

I traffici merci di lunga distanza sono estremamente esigui, la velocità non è un requisito fondamentale (basta osservare il successo delle ferrovie statunitensi con velocità commerciali nell’ordine dei 30 km/h.) anzi contribuisce ad aumentare i costi a dismisura, favorendo sull’asse in oggetto l’alternativa marittima.

L’attuale linea ferroviaria Torino – Modane è oggi utilizzata solamente al 38% della sua capacità. Le navette predisposte per il caricamento dei Tir sono state usate solo durante il breve periodo di chiusura del Frejus, altrimenti partono ogni giorno vuote.

Gli unici due treni giornalieri del collegamento ferroviario diretto Torino – Lione sono stati soppressi per mancanza di passeggeri.

Una scarsità di traffico davvero disarmante per una direttrice così importante da giustificare l’investimento di 21 miliardi di euro (la metà dei quali di competenza italiana) al fine di dotarla di una linea ad Alta Velocità.

Negli anni passati, quando ancora la pesante crisi economica europea non si era manifestata in tutta la sua interezza, il governo aveva affidato ad una società molto quotata, la Setec Economie il compito di valutare i benefici dell’opera.
Tale società aveva analizzato i volumi tendenziali di traffico per gli anni a venire, stimando con un ottimismo che alla luce della contrazione odierna del mercato non può che far sorridere, un volume di traffico che avrebbe dovuto attestarsi nel 2015 intorno ai 174 treni/giorno. La linea esistente, una volta effettuati gli interventi di potenziamento previsti, molti dei quali già in corso dovrebbe consentire già nel 2008 una capacità di circa 220 treni/giorno, un valore ampiamente compatibile con qualsiasi ottimistica previsione.
Alla luce di questi dati si stenta veramente a comprendere, se non nell’ottica della spartizione mafiosa dei finanziamenti pubblici, per quale arcana ragione anziché perseguire lo sfruttamento della linea attuale ottimizzandone le potenzialità, s’intenda invece portare a termine un progetto totalmente inutile come quello della linea ferroviaria Alta Velocità – Alta Capacità Torino – Lione, finalizzata ad una capacità di trasporto superiore di oltre 5 volte agli attuali livelli di traffico, oltretutto alla luce del fatto che detti livelli anziché in crescita esponenziale come si prevedeva nel passato sono scesi del 9% solamente nell’ultimo anno.

Appare inoltre lapalissiano come il costo esorbitante di un’opera di queste dimensioni, stimato in circa 11 miliardi di euro per la sola competenza italiana e passibile (come l’esperienza ci insegna) di ulteriori notevoli incrementi durante i 15 anni di lavori, non potrà assolutamente essere ammortizzato attraverso i ricavi derivanti da un traffico composto da elementi di sola fantasia. Tale costo ricadrà per forza di cose sulle spalle di tutta la collettività con effetti a dir poco disastrosi.

La storia che ho voluto raccontarvi si è ormai trasformata in pura cronaca di attualità, una cronaca che vede riproporsi la biblica lotta di Davide contro Golia.
Da un lato i cittadini della Valle di Susa e tutti gli abitanti dell’area torinese che hanno avuto la sensibilità e la capacità di riuscire a comprendere i termini del problema pur attraverso la disinformazione messa in atto dai grandi media asserviti alle ragioni della politica. Insieme a loro i sindaci dei comuni della Valle, alcuni studiosi, medici ed esperti che si manifestano quali spiriti liberi non aggiogati al carro dei potenti, nonché esigue frange della politica appartenenti ai Verdi ed a Rifondazione Comunista.

Dall’altro le arroganti falangi del potere, i ministri del governo insieme agli onorevoli dell’opposizione, fino ad arrivare al Presidente della Regione Piemonte Mercedes Bresso (donna che per l’occasione è giunta al punto di abiurare ogni parola esperita in tanti anni di militanza ambientalista) ed al sindaco di Torino Sergio Chiamparino.

Tutti uniti, coesi, forti di quella protervia che deriva loro dalla consapevolezza di poter gestire l’opinione pubblica attraverso le televisioni, i giornali e gli esperti compiacenti, convinti di potere reprimere ogni forma di protesta con la furia belluina della polizia e la militarizzazione del territorio.

Il primo scontro si è già svolto il 31 ottobre, quando il potere ha usato i manganelli della polizia per bastonare i tanti, tantissimi cittadini, nonché alcuni sindaci che si erano inerpicati sulla montagna sopra Monpantero nel tentativo d’impedire la conquista del primo lembo della loro terra, sul quale sarebbe stata installata la prima trivella a sancire di fatto l’inizio dell’opera.

Il lembo di terra è stato conquistato solo con l’ausilio dell’inganno, in maniera probabilmente illegale ed è ora presidiato dalla polizia. Le trivelle non hanno ancora potuto mettersi in moto ma la Presidente della regione Piemonte Mercedes Bresso ed il sindaco di Torino Sergio Chiamparino si sono già espressi con durezza, affermando che la ferrovia Alta Velocità – Alta Capacità Torino – Lione si farà in ogni caso, poiché si tratta di un progetto irrinunciabile e nessun tipo di protesta riuscirà ad impedirne la realizzazione.
In risposta al rifiuto di ogni dialogo che non passi attraverso l’uso dei manganelli da parte delle istituzioni, il 16 novembre tutta la Valle di Susa si è fermata, unita in uno sciopero generale contro l’ennesima violenza perpetrata nei confronti del territorio e dei suoi abitanti. Almeno 80.000 persone di tutte le età e di tutti i ceti sociali hanno ribadito pacificamente ma con estrema fermezza il proprio no alle trivellazioni e alla militarizzazione della loro terra.

Martedì 6 dicembre con il favore delle tenebre, poliziotti e carabinieri in assetto da guerra hanno massacrato a bastonate le 40 persone inoffensive che occupavano il presidio di Venaus, per protesta contro l’apertura di un secondo cantiere.
Giovedì 8 dicembre, sotto alla luce del sole, la gente della Valsusa, come una marea umana si è riversata a Venaus, ha ripreso possesso della propria terra e ricostruito il presidio.

La storia ovviamente non finisce qui e come tutte le storie potrà riservare infinite sorprese anche a coloro che si sentono onnipotenti quando tengono in mano il bastone del potere. I contestatori NO TAV della Valle di Susa potrebbero un giorno di questi apparire al resto d’Italia nella loro veste reale, non uno sparuto gruppo di estremisti ecologisti, no global, luddisti, nemici del progresso, bensì semplicemente tanti cittadini coraggiosi disposti a mettersi in gioco e lottare per difendere i loro diritti, la propria salute e la propria terra.

Quel giorno potrebbero diventare tantissimi e poi ancora di più, così tanti da uscire dall’invisibilità nella quale si è cercato per lungo tempo di nasconderli, troppi perché i poliziotti possano bastonarli tutti, ed allora forse inizierà una storia diversa che parlerà di treni costruiti per essere utili alla qualità di vita dell’uomo e non di uomini sacrificati nel nome dei treni e della velocità.

fonte: http://www.luogocomune.net

 
 
 
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