Creato da il.dubbioso il 15/07/2006
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« quanto ci costano i nost...La terza rivoluzione »

un giovedì nero nel 2006?

Post n°35 pubblicato il 06 Agosto 2006 da il.dubbioso
 
Foto di il.dubbioso

Notate il frasario: «Esiste una meno che piccola possibilità di entrare in recessione. E’ più piccola del 50 %, ma un anno fa era fuori questione».
Quando gli speculatori cominciano a parlare così (questo era Jim Cusser, gestore-titoli della Waddel & Reed) vuol dire che loro sono già usciti, e la loro sola preoccupazione è di tenere dentro voi, coi vostri risparmi, per fregarvi fino all’ultimo istante.
Non guardate fuori dal finestrino, ossia la realtà.
Essa è in poche cifre: nel primo quadrimestre ancora, la super-economia USA cresceva (dicevano) di un trionfale 5,6% annuo; oggi, dopo i colpetti di freno della Federal Reserve, è scesa al 2,8 %. Poiché l’inflazione, lo ammettono anche i mentitori più impudenti, è sul 3 %, la crescita è negativa, ossia la recessione è già qui.
Ora la parola magica, la sola ammessa per tenervi addormentati, è «soft landing».
Stiamo precipitando, ma l’atterraggio sarà morbido, comunica il pilota.
Soft?
L’America soffre di tutti i sintomi riuniti per la recessione: curva dei tassi invertita (inverted yeld curve), tasso di risparmio negativo, costi di materie prime a livelli record, margini di profitto da fine-ciclo, invenduti in accumulo di auto e case.
Nel mondo finanziario globale, nemmeno i bugiardi più matricolati cercano di consolarvi additandovi la Cina, dove il boom continua.
Corre corre, l’economia cinese; tutti i tentativi dei suoi dittatori di raffreddarne il surriscaldamento, frenare gli investimenti in fabbriche superflue e grattacieli inutili, sono andati a vuoto.
La grande speranza del capitalismo terminale - il libero mercato selvaggio migliorato dalla «command economy» statalista - sta sbullonando.
L’economia comandata non risponde più ai comandi.


La rivalutazione della moneta del 3,8%; poi l’aumento dei tassi d’interesse e delle riserve obbligatorie delle banche imposti dalla Banca Centrale; infine l’ordine centrale, impartito a giugno, di stroncare gli investimenti nella (letterale) «cieca espansione edilizia e nelle industrie ridondanti a basso valore aggiunto».
Nulla, nulla è servito; la Cina non ha freni.
Scoppia di salute, la Cina.
Nel senso che sta per esplodere.
Ancora il primo quadrimestre è cresciuta dell’11,3 %, e a giugno è salita al 19,5 %: un motore fuorigiri.
«Più dura il suo boom, più finisce male», osa ammettere Stephen Roach della Morgan Stanley.
Qui il «soft landing» è escluso persino dalle facce di bronzo.
Le costruzioni abitative sono salite ancora del 20 %.
Il nuovo terminale dell’aeroporto di  Pechino, in costruzione, sarà grande cinque volte i terminal di Heatrhow a Londra.
Mezzo miliardo di metri quadri di spazi per uffici saranno ancora costruiti entro il 2008.
Chi li occuperà mai?
Non se lo domandano i grandi investitori, i geniali speculatori.
Continuano a informare capitali (nostri, vostri) alla Borsa di Shanghai, sicchè le quotazioni sono cresciute del 45% nell’ultimo anno.
Le banche dagli occhi a mandorla hanno prestato il 15,2 % in più dell’anno scorso, e ormai sono esposte per 2,7 trilioni, ossia 2.700 miliardi di dollari.


Bene, benissimo: solo che i loro crediti dubbi e inesigibili valgono ormai 163 miliardi di dollari, l’8 % in più di quello che hanno in cassa, o meglio nelle loro scritture.
Il rating che Moody’s ha dato alle splendide banche cinesi, guide del fantastico boom, non è A, e nemmeno A-: è E+, lo stesso della povera stracciona Ucraina.
E tuttavia, sono arrivati ancora 248 miliardi di investimenti esteri diretti, in fabbriche e grattacieli.
Qual è il calcolo dei geniali investitori?
Che l’enorme produzione cinese di carabattole e gadget sarà assorbita dall’enorme consumatrice America.
Ma l’America compra meno, e comprerà sempre meno, l’abbiamo visto: «soft landing».
Per la Cina sarà un «hard landing».
Le sue fabbriche «ridondanti» produrranno invenduto: vi racconteranno che si tratta di «sovraccapacità produttiva».
Le sue banche falliranno una dopo l’altra.
I valori dei beni immobili, degli uffici vuoti, precipiteranno.
Vi parleranno di deflazione.
Per non confessarvi che hanno dilapidato capitali in beni inservibili, senza domanda sul mercato.
Le fabbriche superflue, pagate dai nostri geniali speculatori, chiuderanno.
Ci saranno dei licenziati: ed essendo la Cina quel che è, non milioni, ma decine di milioni di disoccupati, fors’anche un centinaio di milioni.
La polizia comunista dovrà prodigarsi per tenere a bada questi affamati che scenderanno nelle strade: basterà la mitragliatrice, o ci vorrà il napalm?


E l’atterraggio duro cinese coinvolgerà i vicini.
La Corea del Sud, che è la terza economia dell’Asia, esporta in Cina il 40 % delle sue produzioni. Taiwan, altrettanto.
L’Australia è la maggior fornitrice di materie prime e carbone alla Cina, suo secondo o terzo acquirente: colerà a picco con il gigantesco cliente asiatico.
E anche noi non avremo da ridere.
A chi venderemo le nostre carabattole firmate?
Il superfluo del superfluo?
Naturalmente c’era una cosa che la nomenklatura gialla poteva e doveva fare per scongiurare il disastro: aumentare le paghe alla pari con la crescita del PIL, mettere più soldi in tasca ai suoi centinaia di milioni di lavoratori poverissimi, creare così un mercato di consumo interno decentemente vasto.
Non l’ha fatto: ha voluto sfruttare fino in fondo il vantaggio comparativo per cui è celebre
sul pianeta, i salari da 60 euro al mese.
Vecchi, idioti comunisti che vogliono fare i primi della classe del capitalismo.
Ma è inutile insultare loro: Prodi, Visco e Padoa Schioppa stanno facendo lo stesso a noi.
Anche il nostro potere d’acquisto cala e cala vistosamente.
Anche da noi accolgono milioni di nuovi immigrati, che si contentano di paghe basse.
Perché sperano così di renderci competitivi nell’export.
Ma quale export?
Arrivano i tempi dell’autarchia di necessità e loro, sempre in ritardo intellettuale, manco se ne accorgono.

http://www.effedieffe.com



 
 
 
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