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QUANTE IMPRESE CI SONO IN ITALIA? (2)

Post n°18 pubblicato il 18 Maggio 2014 da anna_maria_bruno

 

Secondo il parere di chi scrive, la classificazione delle imprese per settore di attività, a cui i contribuenti devono strettamente attenersi per dichiarare il proprio ambito di operatività,   non è uno strumento utile solo per l'Agenzia delle Entrate e quindi a fini fiscali. E non è uno strumento utile ai soli enti che si occupano di raccogliere, elaborare e presentare dati ed informazioni statistiche (ISTAT, Unioncamere, Camere di commercio,...).

La classificazione delle imprese è uno strumento assai utile anche per i politici e i governanti nazionali e locali i quali, nella stesura dei propri piani programmatici, dovrebbero avere ben in chiaro la demografia delle imprese nazionali, il loro andamento e l'incidenza percentuale delle imprese registrate nei singoli settori di attività rispetto al numero di imprese totali.

La tabella che segue, elaborata personalmente sui dati forniti dalla CCIAA di Prato, presenta i seguenti dati:

  1. Il numero delle imprese attive negli anni 2013 e 2012;

  2. La variazione in termini assoluti tra un anno e l'altro;

  3. La variazione percentuale intervenuta tra i dati di un anno rispetto all'altro;

  4. L'incidenza sul totale imprese   del numero di imprese attive per singolo settore di attività nel 2012;

  5. L'incidenza sul totale imprese   del numero di imprese attive per singolo settore di attività nel 2013;

     

    Come si può vedere, a parte la sempre meno incidenza dei settori dell'agricoltura e dell'industria sul totale delle imprese attive (con un numero di imprese operanti nell'industria minore dello stesso settore dell'agricoltura), si evince anche e chiaramente come ci siano ambiti di attività che hanno un peso davvero infinitesimale rispetto al totale delle imprese operanti nel paese.

     

    Come le imprese del settore  dell'acquacoltura di cui ho già parlato nel post del 6 Maggio u.s. e le imprese dedite all'attività di raccolta, trattamento, recupero dei materiali e smaltimento dei rifiuti  (E 38) e all'attività di risanamento e altri servizi attinenti la gestione dei rifiuti (E39).

    L'incidenza percentuale da parte delle imprese che operano nel settore dell'acquacoltura non arriva allo 0.25% del totale, mentre  il numero di quelle registrate nel settore della gestione dei rifiuti è di addirittura lo 0.02%.

     

    A parte le enormi derrate pescherecce che potremo produrre da noi e che invece importiamo dall'estero, visto che è a tutti noto come i rifiuti siano le risorse del futuro, oggettivamente, non sono davvero poche le imprese che se ne occupano?

     

     

    Inoltre, come si può notare facilmente, nell'analizzare il peso percentuale dei singoli settori sul totale, appare evidente come il settore industriale non raggiunga neanche il 10% del totale. Anche su questo chi ci governa dovrebbe ponderare e operare e mettere in moto una serie di azioni dirette ad aumentare l'incidenza delle imprese industriali sul totale.

     

Siamo in tanti a pensare che la causa primaria e fondamentale della grave crisi in atto sia da ricollegare e imputare alle politiche avviate nei decenni passati dirette a de-industrializzazione i sistemi avanzati (tra cui quello italiano) e a concentrale la  produzione industriale in altre zone del pianeta con un minor costo del lavoro. De-industrializzazione e globalizzazione  che a pensarci bene  hanno  avuto come effetto sostanziale quello di inondare il mondo di merci di qualità scadente  e nocive non solo per chi li produce e utilizza ma anche  per l'ambiente mondiale, garantendo inoltre a chi li produce  condizioni di vita a livello di mera sopravvivenza  (o poco più) e basate  su uno stato di diritto molto più arretrato e meno democratico da quello garantito precedentemente  dai cosiddetti "welfare state" i quali, a loro volta, a  causa proprio dello smantellamento dei loro sistemi industriali,  stanno  lasciando a spasso - e quindi senza lavoro e  senza reddito  -  milioni di lavoratori,  occupati precedentemente nelle industrie nazionali o disoccupati di nuova generazione,  essendo gli sbocchi occupazionali da tempo in  calo e a causa principalmente  di questo smantellamento dei sistemi  industriali nazionali.

In un paese come il nostro, ricchissimo di coste e di mari e povero di materie prime, uno sfruttamento più razionale delle risorse a disposizione (tra cui i rifiuti che produciamo) si pone altamente necessario, attraverso innanzitutto una visione aggregata delle imprese attive sul territorio e su una loro più razionale e proficua specializzazione e distribuzione lungo la filiera delle tante e variegate attività economiche svolte a livello quotidiano.

 

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