COGITO ERGO DUBITO

LA FARSA DELLA CROCIFISSIONE (parte III).


per leggere la PARTE II, clicca qui.IL PROCESSO.Che la passione e la morte di Gesú siano il risultato di macchinazioni operate per nascondere la verità viene ancora confermato dalle innumerevoli incoerenze che a ogni passo si riscontrano nei quattro Vangeli canonici, incoerenze e raggiri a cui i falsari furono costretti a ricorrere per stravolgere il procedimento di quel processo romano che, concludendosi con una condanna alla crocifissione, dimostrava che l’imputato era un rivoltoso.Dal momento che la crocifissione non poteva essere taciuta – per quanto, come abbiamo visto, avessero cercato di sostituirla con la lapidazione –, come non poteva essere taciuto che il processo era avvenuto presso un tribunale romano, l’unico modo per risolvere il problema era quello di trasformare il processo da politico in religioso, ossia far dipendere la sentenza da una colpa commessa da Gesú non in qualità di rivoluzionario, ma di predicatore.Però, come poter sostenere una simile versione, se i romani, favorevoli come erano a lasciare libere tutte le religioni nei loro culti, mai avrebbero processato e tantomeno condannato qualcuno soltanto perché predicava una religione? Come far figurare che in un tribunale romano poteva essere stata emessa una condanna per crocifissione contro un religioso, quando le crocifissioni erano riservate a coloro che operavano contro la stabilità delle istituzioni, cioè contro i ribelli?Non trovando allora una soluzione legale per risolvere questo problema, costruirono quel processo-farsa che troviamo riportato nei quattro Vangeli. Portarono sí Gesú nel tribunale romano, come riportava la tradizione riferentesi a Giovanni, ma, invece di far emettere la sentenza di morte dai romani perché rivoluzionario, la fecero pronunciare dai sadducei e dal popolo ebraico, che lo condannarono a morte come religioso, per essersi dichiarato figlio di dio.Fu cosí, con questo raggiro, che fecero figurare come il loro Gesú, pur essendo stato giudicato da un procuratore, fosse stato condannato a morte non in quanto messia rivoluzionario, ma in quanto messia apportatore della buona novella.Tutto il processo, basato su vaghe domande da parte degli inquisitori e di “vuoti” silenzi da parte dell’imputato, fu risolto in definitiva con quella lavata di mani che, togliendo ai romani ogni responsabilità, caricava di accuse gli ebrei, i quali, alla domanda di Pilato:«chi volete che liberi, costui che trovo privo di colpe [Gesú] oppure Barabba il brigante?», [risposero:] «libera Barabba e crocifiggi Gesú!», [aggiungendo subito:] «che il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli» -un’automaledizione che, non trovando nessuna motivazione circa il perché se la siano rivolta, può essere giustificata soltanto da un'intenzionalità da parte dei cristiani di far riconoscere agli ebrei stessi, in modo che non ci potesse essere possibilità di attenuanti, la colpa di essere stati gli assassini di Cristo, il figlio di dio.A questo punto potrei spiegare chi fosse in realtà Barabba, ma preferisco riservarmi di mettere questa “ciliegina sulla torta” soltanto dopo aver trattato della «passione e morte» di colui che i cristiani chiamano «nostro signore Gesú Cristo».