Dietro ogni pagina
Non lasciare che i sogni siano la tua vita, ma che la tua vita sia un sognoI ponti che collegano le sponde dei Navigli sono per me dei luoghi magici. Scruto la gente, gente che si muove, vive la propria vita, le passioni, le perversioni, il bisogno di sentirsi notata, e non si accorge che, per qualche manciata di secondi, i loro movimenti appartengono ai miei occhi.
Guardare i Navigli dall'alto in questi giorni di Milano semivuota è ancora più incantevole. Già, dopo l'agosto 2009 passato qui quasi quasi mi viene da dire che la mia città vuota è meglio di un villaggio turistico per rilassarsi.
Sta per ricominciare.
Il mio romanzo sta per essere ripreso dopo una pausa di qualche mese, dopo la paura di avere lo stomaco distrutto dallo stress, dopo la prima vacanza con il mio amore e la decisione di stare assieme tutta la vita.
Sento che è la volta buona.
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Percorro con le dita i contorni del tuo viso nel mio pensiero. Dovrei pensare al bambino che sei stato, preso a calci, solo, disperatamente alla ricerca di qualcuno con cui condividere anche solo un momento di sconforto.
E' inutile, io non ci riesco; i miei polpastrelli si bloccano, e hanno male, tanto male, troppo male. Poi dopo un istante più niente; l'unica cosa che rimane è un'incomprenisibile voglia di ridere.
C'è il sole, finalmente oggi si può parlare di primavera, e Milano ha smesso per qualche ora di essere triste e logorante. Già, logorante. Come le corse sotto la neve per arrivare in tempo al lavoro, le gocce di pioggia sulla camicia mentre la mia giacca di pelle era l'unico riparo per una bimba di nove anni.
Sento un'altra voce che mi dice che non sono io a dover chiedere scusa. Io sono innocente, lo sono adesso, e forse lo sono sempre stata. Ho l'innocenza, ma non so fino a che punto ho la forza di sporcarmi le mani di sangue e rancore, un rancore che non mi appartiene.
Non è mio, non fa parte del mio modo di vedere il mondo e di quello che voglio lasciare agli altri. Perchè è questa la paura più grande: portarmi dietro sempre questa parte laida che mi hanno inoculato a forza.
Non tutti i luoghi comuni anni '70 sono così "luoghi comuni", violentati dal tempo e dalle più svariate banalità umane.
Happy Family.
La camera a gas ha portato i suoi effetti in ogni angolo dei miei polmoni. Io non devo chiedere scusa.
Io sono innocente.
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Sono un pagliaccio. No, non nel senso dispregiativo del termine, quello decisamente no. Mi autoincludo in molte categorie dell'umana gamma di difetti, ma grazie a Dio non in quella, nè ora nè mai.
Sono un intrattenitore da fiera di paese che ha esagerato con il cerone. Voleva nascondere le paure, che cambiano ma ci sono sempre, e si è ritrovato con un viso troppo truccato per essere esposto al sole.
Guarda le vite altrui passargli davanti, e non riesce più a sentire nulla. Un tempo era diverso. Un tempo era tutto un fervore, un tripudio di simpatia nel senso greco del termine (suv+patheiv=provare qualcosa assieme). Ora quelle dita di trucco esistono per proteggere unicamente la voglia di costruirsi definitivamente, di trovarsi a prescindere dai giudizi che logorano pazientemente la strada di ogni giorno.
Il pagliaccio osserva la gente urlare, muovere le mani freneticamente per ritagliarsi quel pezzo di spazio nel mondo che è stato loro portato via. Pensa alle energie che perse comportandosi allo stesso modo, e si limita così a compiere il suo numero, zitto, attento, con una precisione che riesce a lasciare a bocca aperta coloro i quali lo conoscono da anni, che sono abituati a ogni suo tipo di spettacolo, e hanno scandagliato anche gli angoli più nascosti della sua arte.
Farsi sentire troppo non è più cosa per lui.
E' finito il tempo del frastuono, ed è sopraggiunto quello dell'azione.
Solo che il make up pesa. Troppo, decisamente troppo.
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Compleanno, con la C maiuscola, e non solo perchè lo scrivo all'inizio di una frase. Quest'anno lo festeggerò a Parigi con la persona che amo.
Lunedì si prenota, è deciso. E il volo sarà il mio regalo di laurea per lui. Staremo tre giorni, ma me li voglio assaporare tutti. Voglio girare a piedi, fare foto a tutto spiano, respirare quell'aria che mi han detto magica e che non ho apprezzato per vari motivi nell'agosto di quattro anni fa.
Mio padre ha storto il naso quando ha visto nello stampato della proposta alberghiera camera matrimoniale. Tra meno di due mesi compio 23 anni. Questa è la mia simpatica situazione, che mi spinge a continuare a studiare facendo tre lavori, e a sentirmi come la protagonista de Il diavolo veste Prada, con un cellulare che squilla nei momenti meno opportuni.
Peccato che la mia capa non abbia la classe di Miranda Prestely e non si renda conto di stare buttando via denaro e tempo mio (tra l'altro non ha ancora capito che la mia carriera universitaria non è finita, anzi, è proprio appena cominciata da un certo punto di vista, dal momento che nella specialistica punto a voti decisamente più alti).
Ma so che tutti gli sforzi veranno premiati. Ne sono certa.
Intanto aspetto di rivedere tutto quello che ho solo osservato di sfuggita quatto anni fa, in particolare i quadri di Monet.
Io amo l'Impressionismo e il suo uso impareggiabile del colore. Fare il pieno d'arte e di bellezza; quella bellezza che da un po' di tempo faccio fatica a trovare nella mia città, così attenta a un divertimento senza freni, incapace ormai di guardarsi attorno.
Non sono vecchia, non così tanto almeno.
Esco, ho una vita, apprezzo la movida.
Solamente penso che una serata di chiacchiere in un angolo di piazza san Lorenzo sia meglio di un sabato in discoteca.
Tutto qui.
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Devo correggere le bozze dei liberi pensieri di un signore ex dipendente pubblico (non dico altro perché non mi va di citare nessun ente, non è il caso). Costui ha una proprietà di linguaggio peggiore di quella della bimba di quinta elementare a cui faccio da baby sitter.
Pagherà migliaia di euro e vedrà il suo libro pubblicato, in librerie anche oltre i confini della Lombardia.
Non ce l'ho affatto con lui, che ha avuto anche vicende biografiche abbastanza travagliate, ma mi chiedo cosa spinga una persona che penso sia consapevole della situazione tragica della propria padronananza della lingua a sborsare comunque denaro.
Se anche coloro che dovrebbero cercare la parte più genuina della cultura, quella lontana dalle logiche commerciali e mediatiche, si mettono a promuovere operazioni del genere, mi chiedo davvero dove vada l'editoria in Italia, se valga ancora la pena specializzarsi in ambito e lavorare per far venir fuori chi ha veramente talento.
Perché il talento lo hai o non lo hai.
Punto.
Io sono contro le improvvisazioni in certi ambiti.
Intanto aspettiamo che mi paghi, si spera non cento euro.
Altrimenti...
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Inviato da: DOLCIOLA
il 07/04/2010 alle 09:45
Inviato da: DOLCIOLA
il 03/04/2010 alle 10:14
Inviato da: DOLCIOLA
il 28/03/2010 alle 10:17
Inviato da: semprepazza
il 25/03/2010 alle 20:58
Inviato da: laperladelcuore88
il 22/03/2010 alle 21:47