ACTO 3

Posidonia

(...) Le foglie di posidonia si danno raduno in quest'angolo del porticciolo, qualche tralcio sfuggito al canneto è raccolto dalle onde dell’ultima mareggiata di marzo. Il rimestio continuo emana l'odore salmastro di insalata andata a male insieme al fetore delle acciughe salate, dimenticate dal sale grosso, adatte solo per preparare la pesca con la canna fissa dal molo.

Il cantiere navale per piccolo pescaggio ospita solo due pazienti bisognose di cure; la prima é moribonda dopo anni di traversate tra la Liguria e la Corsica; l'altra é un peschereccio che per miracolo riesce a galleggiare, un pezzo di legno più adatto a un naufrago alla deriva che a tirar fuori la giornata, carburante e tasse portuali da pagare sull'unghia senza sconti né pietá.

Sanremo, la città dei mafiosi al confino; le rassegne musical popolari, quelle invece impegnate in nome e in memoria di Luigi che per rassegnazione e disperazione si spara alla tempia e spreca la vita in un ritornello come una nenia che non lascia spazio all'inciso perché non ha altre strofe da scrivere né momenti meno gravi della stessa morte, più orecchiabili.

Ciao amore ciao.
Le prime cabine rimesse insieme dopo l'inverno hanno alterato il paesaggio e l'odore della pittura tradisce l'olfatto e fa crescere la delusione e il disappunto: al posto del profumo del mare ti arriva alle narici il pungente effluvio dell'acquaragia.

Un lungo muro di assi di legno riverniciato di fresco innalzato sul litorale e la passeggiata rimane accecata e sorda; a malapena si sente il rumore della risacca e la spiaggia puoi solo intuirla, sai che c’è ma non la vedi, come l’Australia agli antipodi.

Il retro delle cabine al posto della spiaggia; ti volto le spalle, ti mostro il culo, con te non parlo e che parli solo chi può pagare per farlo, altrimenti puoi continuare a fissarmi il didietro, niente di più.

La stagione balneare non é cominciata, mancano alcuni dettagli perché entri a regime e i ristoranti la sera , semivuoti, hanno in servizio camerieri che, rapidi e zelanti, vengono a prendere l'ordine e ti danno ragione e sei tu che comandi, non loro come sempre in agosto.

Il procacciatore d'affari accalappia clienti, mostra il menu all'esterno del ristorante.

E’ un uomo anziano, napoletano da 50 anni almeno trapiantato nella zona Matuziana, che a fatica solleva la pancia e il culo dalla sedia per ammaliarti con le proposte della lista del giorno e la smisurata elencazione delle pizze in tutte le versioni tradizionali o improbabili per i pasticcioni.

All' interno le pareti sono una commistione folklorica tra Napoli e Canton: sul fondo il Vesuvio con pennacchio di fumo in grande stile di affresco liberty su intonaco; sulla parete laterale, oltre il bancone del bar, draghi cinesi carnascialeschi e il grande ideogramma Tian Tian shi Pin Dian che non so cosa significhi ma suona bene ed é grazioso a vedersi.

Non amo la cucina cinese e anche a cercarla qui, stasera, neppure l'ombra. Piatti tipici liguri, pizze in cento variazioni, i soliti piattoni unici per i francesi che non vanno oltre la classica milanese con bisunte a bastoncino direttamente dalla busta del grossista alla tavola del mangiatore pigro e maleducato, in alimentazione s'intende, per mangiare molto e spendere poco. (...)