Creato da beatoalano il 27/07/2011

Beato Alano De Rupe

Beatus Alanus de Rupe, B. Alain de la Roche, il Beato Alano della Rupe

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OMELIA XXXII DOMENICA TO ANNO C, 10-11-2013

Post n°64 pubblicato il 11 Novembre 2013 da beatoalano
 
Foto di beatoalano

+ Dal Vangelo secondo Luca (20,27-38)

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

Parola del Signore.

 

OMELIA: Il giorno di tutti i Santi si diceva che la “tapenoisis”, ovvero il punto ultimo di bassezza, o umiltà, che Maria scelse come luogo ontologico di incontro con Dio, diventa anche per noi la sfida da vivere nella fede nelle beatitudini cristiane, dove i fondali di bassezza della povertà, della mitezza, della purezza di cuore, della misericordia, del perdono delle offese per amore di Cristo, diventano i luoghi ontologici dove Dio apre le strade della salvezza. Proprio nei fondali della desolazione, Dio, come già a Mosè, apre il mare della liberazione e della salvezza.

Ma perché Dio ha scelto proprio i fondali della desolazione come luogo di inizio delle sue vie di Provvidenza e di Amore? Per prepararci all’esperienza del limite più basso in assoluto, che è la morte, il luogo ove nasce la via alberata che porta al Giardino del Paradiso Celeste. Ed sono le prove della vita ad allenarci ad affrontare con serenità il salto nella morte, ovvero tra le braccia di Gesù e di Maria, che ci portano al cospetto di Dio Padre. Sono sempre coloro che non hanno voluto mai sperimentare i fondali della vita ad avere più problemi con la morte, e con l’affidamento a Dio nella morte che è già l’idea di resurrezione: è quello che accadde antiche classi forti dei sadducei al tempo di Gesù, e accade, ancor oggi, ai potenti di questo mondo. Fin dalle origini, la Resurrezione è stato il punto su cui il Cristianesimo è stato di più attaccato: pensiamo a San Paolo nell’Aerepago, agli gnostici, ai nicolaiti, ai valentiniani, ai marcioniti, ai manichei, ai seleuciani e molti altri, come i pitagorici, che ammettevano la metempsicosi, ovvero la reincarnazione; i platonici, che credevano che le anime trasmigrassero di corpo in corpo; i materialisti, che credono che il corpo sia solo materia, per questo le teorie della cremazione e dell’urna cineraria, o della dispersione delle ceneri, che è un negare implicito della risurrezione della carne. I potenti, nel loro materialismo, portano restrizioni al culto dei morti: nei cimiteri, danno sempre più norme restrittive sui loculi che non sono più eterni, ma soggetti a scadenza, e sempre più la presenza dei forni crematori, come se non fosse un diritto che il corpo sia inviolabile per sempre.

Ma queste restrizioni non sono nuove: già Ugo Foscolo, ne “i Sepolcri”, scritto in occasione di un decreto di Napoleone che voleva i cimiteri fuori città e le tombe tutte uguali, eguagliando sia i cittadini eroici, che quelli indegni. Il Foscolo, nonostante la visione materialista, scrive che le tombe, inutili ai morti, sono utili ai vivi, che possono continuare gli esempi degli eroi, le cui gesta sopravvivono nelle tombe.

Foscolo, tuttavia, nega ogni trascendenza dell’anima, e afferma che la materia ritorna alla materia, che il tempo cancella tutto, e che anche la speranza, ultima dea, fugge i sepolcri.

Un materialismo che, nel Vangelo di oggi, si coglie nella domanda dei sadducei a Gesù: essi chiedono a chi dei sette fratelli, morti uno dopo l’altro, appartiene la medesima moglie, un’appartenenza che però è carnale, dal momento che Gesù risponde che dall’altra parte si sarà come gli Angeli di Dio. L’amore spirituale, che Gesù fonderà come un bene sorgivo nella Chiesa, nell’amore vergine dei consacrati, e l’amore vergine e casto dei nubendi.

Ma perché questo accanimento contro il culto dei morti? Perché impedire l’esistenza di un nome segno del nostro passaggio sulla terra? Questo accanimento è contro la resurrezione.

Tertulliano scrisse nel trattato “de Carne Christi”: “Chi nega la resurrezione dei morti, nega la carne di Cristo”, quella carne che si fa Eucaristia e che porta in sé la Resurrezione e la totalità dei risorti.

Sant’Ireneo scrisse: «Come il pane …dopo la benedizione divina, non è più pane comune, ma Eucaristia, […], così i nostri corpi che ricevono l'Eucaristia non sono più corruttibili, dal momento che portano in sé il germe della risurrezione».

Quel germe della resurrezione che ci fa Figli della Resurrezione, e, per questo, Figli di Dio.

Un germe di resurrezione che è totaliter aliter rispetto alle nostre categorie umane come, scrisse San Paolo: “Ma qualcuno dirà: "Come risuscitano i morti? Con quale corpo verranno?". Stolto! Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore, e quello che semini non è il corpo che nascerà, ma un semplice chicco [...]. Si semina corruttibile e risorge incorruttibile. [...] È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta di immortalità » (1 Cor 15,35-37.42.52-53)”.

Si racconta che due santi monaci parlavano spesso della vita eterna. Uno dei monaci morì e quello rimasto lo pregava di venirgli in sogno e di dirgli com’era il Paradiso: una notte lo sognò e gli disse: “Il Paradiso allora è proprio come lo avevamo immaginato noi?”. E lui, sorridendo, rispose soltanto: “Totaliter aliter!”. Quello che noi possiamo dire o immaginare della Resurrezione dei morti è inaccessibile: solo gli occhi della fede riescono a scrutare qualche accenno delle realtà avvenire: nel Cimitero monumentale del Verano la fede, è rappresentata come una donna con il Calice e l’Ostia, ma un panno le ricopre gli occhi, le orecchie, la bocca e le mani, ovvero i sensi, per dire che è una realtà che sfugge totalmente alla realtà sensoriale.

Sappiamo solo dalla Scrittura che, alla fine del mondo, quando Cristo tornerà nella sua Gloria: «il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell'Arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal Cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo » (1 Ts 4,16).

Quel corpo che dopo la morte, infatti, a causa del peccato originale, cade nella corruzione, mentre l’anima va incontro a Dio per il Giudizio, in attesa di ricongiungersi al corpo.

Per questo Santa Teresina del Bambin Gesù scrisse: “Non muoio, entro nella vita!”.

 
 
 

OMELIA SOLENNITA' DI TUTTI I SANTI 1-11-2013

Post n°63 pubblicato il 01 Novembre 2013 da beatoalano
 

1 novembre: TUTTI I SANTI

 

+ Dal Vangelo secondo Matteo(Mt. 5,1-12)

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

Parola del Signore

                   

Spunti omelia 2013: La Festa di tutti i Santi è la festa dello sbocco del fiume della vita nel mare sconfinato di Dio: la sorgente di questo fiume è il giorno della nascita alla vita di Grazia nel Battesimo: in quell’immersione l’anima contempla il Cielo e ne vede il suo posto nel disegno della Redenzione, e quella visione diventa una capacità di scelta della nostra chiamata, ovvero la ricerca del nostro posto nella vita. Chi vive la contemplazione nella preghiera di quel posto unico e irripetibile, non respira invidie o gelosie o frustrazioni, per chi si realizza, e neppure vive passivo, ma percorre con decisione il sentiero misterioso ed unico, segnato per lui da Dio.

Ma qual è il luogo di partenza della via del Cielo? Essa è la misera condizione esistenziale terrena, nelle sue varie espressioni: la povertà dell’esistere, che è la solitudine, l’abbandono, la mancanza di dignità, lo sfruttamento; una povertà, però, che è, a immagine di Maria Santissima, illuminata dalla fede (ο πτωχο τ πνεματι): da essa le varie sfaccettature della povertà: il pianto (ο πενθοντες); la mitezza (ο πραες); la fame e sete della giustizia (ο πεινντες κα διψντες τν δικαιοσνην); la misericordia (ο λεμονες); la purezza del cuore (ο καθαρο τ καρδίᾳ); l’essere operatori di pace (ο ερηνοποιο); essere perseguitati per la giustizia (ο δεδιωγμνοι νεκεν δικαιοσνης); essere insultati, perseguitati, e, mentendo, ricevere ogni sorta di male per causa di Cristo (μακριο στε ταν νειδσωσιν μς κα διξωσιν κα επωσιν πν πονηρν καθ' μν ψευδμενοι νεκεν μο). Aggiunge San Luca che questa è la strada unica tracciata da Dio: “Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione.
Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete. Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti”: le consolazioni e le sazietà del mondo aprono altrettante strade miseria, dove Cristo apre strade di Cielo.

Ma perché la povertà è una luogo privilegiato da dove si diramano le strade del Signore? Perché la povertà è il luogo privilegiato nel quale Maria Santissima incontrò Dio. Ella nel Magnificat parla di “tapenoisis”, ovvero il luogo di piccolezza e di nascondimento nel quale avvenne questo incontro sponsale, ed è diventato nei Piani misteriosi della Redenzione, il Santuario dell’Essere Redenti.

La Festa di tutti i Santi, allora, ci fa contemplare la strada di tutti coloro che si sono realizzati, e ci fa lodare la Sapienza infinita del Costruttore di sentieri di vita.

Questa strada percorrila, non ascoltare le critiche e i rimproveri, vai avanti, è la tua unica e irripetibile strada che ti porta al Cielo. Scrive l’Imitazione di Cristo: “O beata dimora della città suprema, o giorno spendente dell'eternità, che la notte non offusca; giorno perennemente irradiato dalla somma verità; giorno sempre gioioso e sereno; giorno, per sua essenza, immutabile! Volesse il cielo che tutte queste cose temporali finissero e che sopra di noi brillasse quel giorno; il quale già illumina per sempre, di splendida luce, i santi, mentre, per coloro che sono pellegrini su questa terra, esso splende soltanto da lontano e di riflesso!” (lib.III).

 
 
 

OMELIA XXX DOMENICA TO ANNO C, 27-10-2013

Post n°62 pubblicato il 28 Ottobre 2013 da beatoalano
 
Foto di beatoalano

Dal Vangelo secondo Luca (18,9-14):

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.

Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
Parola del Signore

 

OMELIA: Il Vangelo di questa domenica con il Vangelo di domenica scorsa forma come un quadretto di tre personaggi che spiegano l’insegnamento di Gesù sulla fine di tutte le cose: da una parte la donna della parabola di domenica scorsa, che va dal giudice a chiedere giustizia, e lo importuna a tal punto che quegli le fa giustizia solo per non sentirla più. Figura simile alla donna, è il pubblicano, che chiede a Dio benevolenza e perdono insieme, nella parola ιλαςθητι (ilastheti), che vuol dire sia “placati, ovvero dammi il perdono, ma anche sii benevolo, ovvero dammi la grazia”. Gesù alla fine della parabola usa la parola δεδικαιώμενος (dedicaiòmenos), che significa rendo giustizia, rendo giusto, nei riguardi del pubblicano che al tempio aveva formulato quella preghiera di intercessione. Al cuore dei due brani e dei due personaggi simili, vi è la figura del fariseo, che, dice il Vangelo, non presenta alcuna intercessione al Signore ma solo un ringraziamento, con la parola ευχαριστώ (eucharistò), la stessa che Gesù, tra pochi capitoli del medesimo Vangelo, istituirà nell’Ultima Cena, a prezzo della Sua Morte in Croce, per salvarci proprio da quelle tre piaghe di cui il fariseo si vanta: “latrocinio, ingiustizia, adulterio”: cose dalle quali prendeva le distanze dagli altri, tanto San Luca sottolinea la parola “disprezzare”, con una parola greca composta: εξουθενούντας, che vuol dire non (εξ) considerare (ούντας) nulla (ουθεν) gli altri. Ma come poteva il fariseo dire di non essere ladro, se l’uomo con il peccato originale ha rubato la Gloria a Dio, facendosi Dio di se stesso? Come poteva il fariseo dire di non essere ingiusto, se il peccato originale ci ha separati tutti dalla Giustizia e dalla Santità di Dio? Come poteva il fariseo dire di non essere adultero, quando nella Sacra Scrittura l’adulterio è lo staccarsi da Dio per amare le cose vane? E per ultimo egli dice di non essere come gli altri uomini e come il pubblicano, solo perché è un onesto e corretto cittadino, pagando le tasse e le decime al Tempio e digiunando. Eppure tutto ciò non basta se Cristo con la Sua Croce non ci agganciava alla Giustizia e alla Santità di Dio, e Maria con il Suo Matrimonio mistico non ci donava la figliolanza di Dio e Sua.

Chiediamo alla Madonna del Rosario, alla fine del Suo mese di ottobre, di donarci sempre la Sua Umiltà e bisogno profondo di Dio.

 

 

 
 
 

XXIX DOMENICA TO ANNO C, 20-

Post n°61 pubblicato il 28 Ottobre 2013 da beatoalano
 
Foto di beatoalano

VANGELO (Lc. 18,1-8): In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai:
«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”.
Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”».
E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

Parola del Signore

OMELIA: v. XXX DOMENICA TO ANNO C (omelia seguente)

 
 
 

OMELIA XXVIII DOMENICA TO ANNO C, 13-10-2013

Post n°60 pubblicato il 14 Ottobre 2013 da beatoalano
 
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Domenica scorsa si diceva che la differenza tra il servizio a Dio e il servizio al demonio, consiste nel modo di ricevere la paga: nella parabola del servo, che torna a casa stanco e il padrone gli chiede di preparare prima la cena per lui, e dopo di mangiare egli stesso, vedevamo l’immagine del servizio a Dio, che ci dona alla fine della vita i Gaudi del Paradiso, e, al termine di ogni giornata di servizio, la Gioia e la Pace del cuore per aver servito Dio. Il demonio, invece, strappa prima, dall’albero dell’Amore di Dio, i fiori non ancora sbocciati delle Gioie che Egli consegnerà alla fine, e li dona agli sventurati che non hanno la perseveranza di attendere che quei fiori sboccino a loro tempo, e, quando li si assapora, dentro trovano le unghie del diavolo, che li costringe a essere suoi schiavi. Ma, come fa Dio a impedire che la fragilità umana, porti a cedere alle lusinghe del demonio? Mediante l’esperienza della riconoscenza.

Il Vangelo di questa domenica, che segue il Vangelo di domenica scorsa, racconta dell’esperienza di fede di dieci lebbrosi, la cui malattia li aveva radiati dalla vita, ai quali Gesù dice di andare dai sacerdoti. E, mentre essi andavano, quindi non l’anno successivo, ma a pochi km di distanza, essi ottengono la grazia della guarigione, un immenso miracolo, ma solo uno si ferma e torna indietro a rendere grazie a Gesù. E Gesù gli dice: “la tua fede ti ha salvato!”: in quell’uomo la riconoscenza aveva fatto sbocciare la fede!

Questa è fede che diventa servizio, è la fede forte, che ti fa lodare Dio, come Naaman il siro, nella prima lettura, e che, come nella seconda lettura di San Paolo, ti fa affrontare le catene, ti fa perseverare fino alla fine, perché l’ossatura della fede è l’incontro di un cuore riconoscente con Cristo.

Anche noi, se proviamo a vivere nel quotidiano la riconoscenza per il bene immenso che riceviamo da un alba, da un tramonto, dalle stelle del cielo, da un orizzonte nel quale perdiamo lo sguardo, dal sole che ci illumina, dai fiori, dagli alberi, dagli animali, dalla famiglia, dall’amore, dall’amicizia, dal sorriso, non avremmo tempo e spazio nel cuore per pensare alle briciole di male che riceviamo.

Socrate diceva che un solo gesto di gratitudine ammanta di bellezza infiniti atti di ingratitudine, perché la meraviglia è sublime, è così alta la dolcezza dell’Amore rispetto alle acredini del quotidiano.

Einstein diceva che la più grande decisione che possiamo prendere è quella di dire se l’Universo ci è amico o ci è nemico.

Eppure la decisione che l’Universo ci è amico, nasce solo dalla riconoscenza a Dio, a Cristo, a Maria, all’Angelo Custode,  ai Santi, alla Chiesa, al mondo creato, che diffondono semi infiniti di fede, gioia, beatitudine, nel campo del nostro quotidiano e lo fanno sbocciare dei più bei fiori di Paradiso.

Guardiamo a Maria, in questo mese di ottobre dedicato al Suo Rosario, e preghiamoLa tanto con questa Sua Preghiera, perché Ella ci insegni il gusto dell’Amore Riconoscente, Ella che ha fatto di ogni istante della Sua Vita un Capolavoro di Meraviglia e di Grazia.dr

 
 
 

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