Creato da righe_di_vita il 01/04/2007

Titoli di coda

Per entrare sotto la pelle, penetrare emozioni con il linguaggio delle immagini adattando le semplici parole!

 

« LeggendaCalma apparente »

Post N° 142

Post n°142 pubblicato il 29 Ottobre 2007 da fionamay10
 

                                               
                                                  Il Chi   Il Cosa   Il Perchè
                                         racconti dei funamboli di passaggio:
                                                (matita di fionamay per Alex)

Commenti al Post:
fede_ricadgl
fede_ricadgl il 30/10/07 alle 18:12 via WEB
Raffiorano i ricordi quando meno te l'aspetti, anche di fronte ad un semplice tratto a matita. Qui vedo lo sguardo curioso, saettante di Angelo. Angelo era un compagno delle medie. Un bambino gracile e sognatore, di quelli che lo sai già, non arriveranno all'adolescenza. Aveva una di quelle rare malattie innominabili, tecnicamente incomprensibili che però alla fine vogliono dire una sola cosa, la vita non sarà lunga abbastanza per rendersene conto. Mi piaceva Angelo, mi ero affezzionata a quel ragazzino sfortunato, sempre pallido e con gli occhi accesi di voglia di crescere, di essere come gli altri. Mancava spesso alle lezioni, vuoi per una visita , vuoi per la sua malattia che gli impediva di alzarsi dal letto. E' strano come il mondo, malgrado tutto continuasse a girare in quella scuola, nonostante l'ambulanza che ogni tanto arrivava o il papà che correva in aiuto di Angelo un giorno si e uno no. Un giorno di inizio estate lo ritrovai al campeggio, in montagna. I genitori volevano farlo divertire con gli altri, così Angelo passò con noi il mese di luglio e con i genitori alloggiati nel piccolo albergo del paese. Gli piacere creare pupazzi con i tronchi degli alberi, intagliava, piallava e ricordo me ne regalò uno: era una testa di ragazzo con gli occhi chiusi. Non lo vidi più da quell'estate, la scuola ci ha divisi pensai allora. Io scelsi il liceo, e lui chissà! Angelo non c'era più. Non passo il mese d'agosto, sembrava che i genitori lo sentissero che sarebbe stato l'ultima estate di Angelo. Piansi quando mia madre mi diede la notizia, e piango tuttora scrivendo di un angelo che si chiamava Angelo e che adesso ha messo le ali e vola in un prato pieno di fiori e alberi da intagliare. Il cerbiatto mi ricorda il mio piccolo e sfortunato amico, come se le cose volessero tornare per ricordarti la fortuna che invece ho nel raccontare di lui e dei suoi amati alberi!
 
righe_di_vita
righe_di_vita il 31/10/07 alle 16:24 via WEB
Giovane, praticamente senza la minima esperienza di ragazze! Ero entrato per la prima volta in una discoteca, ricordo all'entrata sentivo già la mitica Gloria Gaynor, con il suo I will survive. Quando ero giovane nelle discoteche non c'era musica techno, assordante e rumorosa. Erano pezzi ben calibrati e sopratutto si passava dallo shake al lento in un amen. Ero lì, davanti al bar, con gli amici che mi giardavano come fossi una mosca bianca. Bevevo un aranciata e tutti ridevano. Le ragazze mi passavano accanto, mi squadravano come un alieno e sparivano. Lei no. Capì subito che ero un novellino della disco music, tagliato con l'accetta venuto giù con la valanga dalle montagne della valle di Susa. Era carina, occhi dolcissimi e una voce suadente, calma , malgrado il fracasso assordante della musica, che mi picchiava in testa lo stesso motivo per minuti , anche quando era finito il pezzo. Un pò imbranato, confuso sul cosa fare. Gli amici mi dicevano che le ragazze della disco ci stavano , tutte, nessuna esclusa, se volevo fare esperienza era il posto giusto. Per loro, per me non fu proprio la stessa cosa. Ci sedemmo sul divanetto due posti, alla mia destra c'era una coppia che era incollata alle labbra colmastice e mi chiedevo se erano in apnea. Di fronte un mandrillo in piena attività. Spinto dall'atmosfera e dalla gentilezza della tipa mi lancia in un tentativo di bacio caliente. Di caliente mi ritrovai la guancia sinostra, mi mollò uno schiaffone che mi fece girare la testa per qualche secondo, inaspettato quindi più violento. La guardai interrogando me su dove avevo sbagliato. A lei non feci in tempo a chiedere nulla mi lasciò con un " ti credevo diverso" e se n'è andò menre io allibito mi accarezzavo la guancia in fiamme. Prima lezione di vita, non credere mai agli amici per caso, rispettare le ragazze e non fare il cretino con la prima che trovi. Quello schiaffo mi ricordò per tanto tempo queste regole!! Chissà perchè il tuo tratto mi ha ricordato questo episodio. Forse che mi vedo in questo cucciolo. Mà, potenza di una matita!
 
PrincipeDistratto
PrincipeDistratto il 01/11/07 alle 15:50 via WEB
C'era un bosco all'entrata del paese. Lo ricordo ancora perchè quando ci passavo, da bambino mia madre fermava l'auto e io correvo libero per mezzoretta al sicuro dal traffico delle auto, dallo smog e dai camion che a centinaia passavano sulla statale che portava alla casa dei nonni. Quegli alberi altissimi, robusti e forti a guardia di quella zona ancora immune da fabbriche e negozi nascondevano il segreto dei bambini. C'era una leggenda che parlava del bosco dell'uomo senza lingua. La leggenda recitava di un uomo che, stanco della città, del paese in piena espansione lavorativa si era rifugiato nel bosco e aveva promesso che non avrebbe mai più proferito parola con nessuno, ma proprio nessuno. Silenzio assoluto per il resto della sua vita. Si raccontava di una casa fatta con il legno tagliato alle querce e di un camino il cui fumo si vedeva , in inverno, dalla strada. Nessuno osava entrare nel bosco per paura di incontrare l'uomo senza lingua, soltanto i bambini poteva correre fra le piante e lo avessero incontrato non sarebbe successo nulla. Amava l'innocenza, luomo senza lingua. Odiava tutto quello che era modernità e l'uomo. Ma i bambini no, erano intoccabili. Ricordo che io nelle mie corse nel bosco non ebbi mai la fortuna di incontrarlo. Poco tempo fa , portai mio figlio avedere il bosco della leggenda. Con grande dispiacere e convinto di avere sbagliato strada scoprii che il bosco era stato raso al suolo, spezzato , segato, rovinato dalle mani dell'uomo quel piccolo paradiso di verde e ossigeno. Non c'era nulla, soltanto un prato senza erba, steli senza fiore abbandonati là, senza motivo era stato abbattuto il bosco. Mio figlio mi gaurdò e io sorridendo amaro gli dissi che adesso capivo perchè l'uomo senza lingua odiava così tanto gli uomini.
 
Mariluci17
Mariluci17 il 03/11/07 alle 15:32 via WEB
Una lunga camminata sotto i portici, in cntro per arrivare là, dove mi aspetta il responso finale. L'anamnesi di ciò che avrei o non avrei potuto avere: Un figlio. Mia madre è accanto a me, cerca di rassenerarmi e penso che al posto suo avrebbe dovuto esserci qualcun altro. Ma la gara alle bocce è più importante di una sentenza che darà, forse, vita ad un'altra vita. Forse. Ma certo, un forse è meglio sfuggirlo, magari mettendo la testa sotto la sabbia stai meglio, penso e mi arrabbio sentendo forte il vento gelido dell'indifferenza. Siamo arrivate. Guardo il vecchio palazzo stile barocco, entro in un ampio androne con le scale in pietra scura. Eleganti, sfarzose. La dottoressa mi aspetta sulla porta. E' una donna alta, l'aspetto duro e forte tipco delle donne del trentino di cui ha mantenuto l'accento. Mi siedo sulla sedia bianca e aspetto che lei riveda il mio dossier, lo rilegga e cerco di carpire informazioni scrutandone il volto, gli occhi le folte soppraciglia che inarca in un espressione preoccupata. So già cosa mi aspetta. Lo sento, lo vedo! Mi accorgo di recepire una parola si e trenta no, mentre sciorina termini tecnici, medici e via dicendo che alla fine della fiera vogliono dire una cosa sola: Niente bambini. Sono passati ormai tanti anni da quel giorno, ho tentato ancora ma nulla. Il tempo e solo quello mi ha aiutato a non pensare, a rassegnarmi. Si, il tempo lenisce, forza le pieghe e le corazze. Per tanti anni non sono riuscita ad avvicinarmi ad un bimbo senza provare quella fitta alla gola. Poi sono nati i miei nipoti e ho cominciato a sciogliermi come neve al sole ad ogni loro abbraccio, ogni sorriso è stampato qui nel mio cuore. Tenerli in braccio, cullarli giocare con loro mi ha riportato a vivere la mia condizione di zia con serenità. Se non altro ho smesso di piangere per ciò che non avrei mai potuto avere. Il tuo tratto mi ha sciolto ancora una volta. Quello che tu regali con la tua matita è la consapevolezza di esistere comunque, malgrado il dolore.
 
fionamay10
fionamay10 il 03/11/07 alle 15:51 via WEB
Lo sguardo di Romina. Che scende dalla sua moto da cross e si toglie il casco e lunghe ombre di lividi neri sulla fronte, sul mento, sulla mascella si mangiano il suo bellissimo viso. Perchè le piastrine sono nemmeno la metà della norma e se tu la sfiori con un dito, le fai una carezza, la lasci piena di lividi. Una forma di leucemia indotta, dicono. Ha vent'anni più o meno. Lo sgurdo della Romi nella sua stanzetta al reparto leucemico, sotto quella luce al neon, piena di lividi, che sta male come un cane per il siero di cavallo o cosa diavolo è. E noi lì, con le mani strette sulla spalliera del letto perchè non puoi toccarla. Puoi solo guardarla e sentire male allo stomaco. Lo sguardo della Romi mentre il dottor Barbui la insegue urlando per i corridoi che non non doveva rimanere incinta, che ci rimette la pelle con quelle piastrine lì in una gravidanza. Lo sguardo della Romi quando arriva Giorgia, alla faccia delle piastrine sotto il limite, e lei è lì. E resiste. Lo sguardo del dottor Barbui che chiude la cartella della Romi, dopo dieci anni, e piange perchè lei è ancora lì e dopo dieci anni è guarita e le dice che non vuole più vederla lungo quei corridoi lì.
 
cow_boy_2006
cow_boy_2006 il 03/11/07 alle 16:40 via WEB
Sono sempre tremendamente in ritardo con i regali di natale! Così quell'anno decisi di portarmi appresso mio nipote di cinque anni così poteva scegliesi il giocattolo che desiderava. Tutto contento mi aspettava nel cortile di casa, dopo mille raccomandazioni di mia cognata partiamo per l'avventura Toys! Arrivati all'auchan cominciò a girare come un pazzo tra le corsie dedicate ai giochi e alla play station. L'oggetto dei suoi ddesideri a cinque anni. Pensavo ai miei giochi di bambino, fatti di legnetti e figurine. Lui no: voleva il nintendo. Non mi era chiaro cosa cavolo fosse , malui ci pensò a guidarmi nella corsia giusta. Mi distrassi per prendere la scatola e senza guardare, presi il bimbo per mano. Uno qualsiasi, 'ndo coio coio, le loro manine son tutte uguali e questo bmbetto non parlava. Dedussi che era così contento da non riuscire a parlare!! Deduzione errata!!! Mentre mi avviavo con il piccolo sconosciuto alla cassa, attento a non far cadere la scatola e perdere Ale, senti il dlin dlon del box informazioni: - Il bambino Alessandro Z. ha perso padrino betto, si prega al suddetto "betto" di presentarsi al box informazioni-! Subito non recepii, poi guardai il fanciullo che tenevo per mano e allibii; Non era Ale!!! Lo lasciai ai supi genitori, che a loro volta lo stavano cercando disperatamente e mi avviai al box. Ale era lì seduto sul bancone in conferenza con tutti gli addetti del centro commerciale e io rosso in viso per la vergogna lo abbracciai pregandolo di non raccontare nulla a sua madre. Non avevo ancora messo piede nel cortile di casa che Ale si mise ad urlare il fattaccio!! Che figura sentir dire da un ragazzino di 5 anni: sai mamma oggi HO perso lo zio all'ascian!!!
 
pianetadgl4
pianetadgl4 il 05/11/07 alle 16:12 via WEB
Non sapevo cosa in realtà avrei trovato. Mi avvicino lentamente al pozzo, era pericoloso, le lunghe pioggie aveva reso il terreno molto fragile e bastava un movimento brusco, uno scatto e probabilmente sarei precipitato nella scarpata. Alberto era appostato poco lontano con la sua pila quasi scarica. Un emergenza non prevista, stavamo tornando da una cena fra colleghi quando lungo la strada stretta di montagna ci fermò una donna, preoccupata e disperata con un bimbo per mano che piangeva: aveva perso il suo amico a quattro zampe che non era più tornato a casa. Cercò di spiegarmi dove erano diretti prima che li cogliesse il temporale. Il buio si tagliava con il coltello, madre e figlio erano fradici e infreddoliti. Avevano, insieme al cane, perso il senso di orientamento. Eppure quei boschi erano casa loro, mi spiegò la donna ansimando. Alberto si procurò la pila stanca e salimmo verso la montagna, incrociando rami fra le gambe e il pozzo che con la pioggia e la notte non era molto visibile. pensai che il cane fosse caduto dentro, era difficile tirarlo fuori senza corde o appigli! Tutti e quattro con le orecchie tese a carpire ogni minimo movimento, ogni suono che potesse portarci al cane. Ci dividemmo, io e Alberto cercando il contatto con il cellulare qualora si fosse trovato un indizio. Era stanco e anche allegrotto per la cena, l'aria sferzava viso e occhi come tanti piccoli aghi. Che freddo!!! Mentre salivamo verso il bosco sentii vibrare il cellulare, era Alberto aveva trovato il cane. Felice il bimbo corse verso la voce del mio collega, lo fermai e dissi loro di aspettarmi sotto, così da non perderli di vista. Il cane, un bastardino bianco e nero ci guardò scocciato, Aeberto mi disse che era sotto la pianta che dormiva tranquillo incurante delle voci che lo chiamavano ormai da un ora. Tutto è bene quel che finisce bene. Accompagnammo madre e bimbo a casa, il cane in braccio al suo piccolo amico che non smetteva di coccolarlo, sgridarlo e ancora coccolarlo. Ho ancora il viso dolcisimo del bambino nel cuore, difficile dimenticare gli occhi dell'innocenza così pieni d'amore per l'amico a 4 zampe. Ripartimmo dopo esserci assicurati che fosse tutto a posto e in viaggio verso casa ci fece conpagnia il silenzio. Quello che sentivamo dentro e che gravitava intorno a quello sguardo dolcissimo!
 
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