Creato da righe_di_vita il 01/04/2007

Titoli di coda

Per entrare sotto la pelle, penetrare emozioni con il linguaggio delle immagini adattando le semplici parole!

 

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racconti

Post n°563 pubblicato il 02 Luglio 2009 da fionamay10
 

   

matita e filtro blu
(di fionamay) 

Commenti al Post:
Survivor60
Survivor60 il 02/07/09 alle 22:41 via WEB
Davanti a loro, i nemici, mi sento come fossi io l’indagato, io da giudicare io da condannare. Eppure fino ad ieri avevo le mie certezze e le mie ragioni che come puntelli mi aiutavano a stare in piedi con la consapevolezza di fare la cosa giusta. Adesso sono una cavia in laboratorio, mi girano mi rivoltano con le loro potenti parole, con quell’incedere sui vocaboli spesso incomprensibili ma che formano un solo quadro e dentro ci sono io che sbaglio le mie scelte. Che non posso pensare di aver dato tanto e togliere tutto in un secondo. Si deve abituare, deve essere una decisione centellinata per non creare traumi. Ma il traumatizzato sono io che non mi spiego perché non posso riprendermi la mia vita così come desidero io, senza pesi né drammi da avanspettacolo! E lui, la causa di questo disagio, se ne sta seduto accanto alla finestra con le tende immacolate e le gambe accavallate in segno di sfida. Conosco il rumore assordante dei suoi pensieri che mi accusano, che fanno di me per un attimo colpevole. Ma non sa che proprio questo sguardo ipocritamente vittimistico mi carica a mille. Come se guardandomi spingesse dentro il cane della mia mente pallottole giganti di parole che sortiranno, lo so, l’effetto di una bomba sulle loro teste! Una pallottola che dice no. Una sola che piega la sua baldanza e scuote la testa dei suoi difensori come rami durante una tempesta. E io mi scuoto, riemergo da quel fango dove mi credevano prigioniero e posso finalmente rivedere me stesso tornare alla mia vita. Monotona, a tratti vagamente noiosa ma mia!
 
fast_web65
fast_web65 il 03/07/09 alle 21:59 via WEB
Ascolta bene il rumore del mare, assapora l’istante perfetto che porta via dolori e amarezze! Getta lontano le pietre del male, così lontano fino all’orizzonte dove una luce accecante riduca tutto in polvere. E’ la prima notte da adulto e sono qui a pensare quando e come ho lasciato l’adolescenza per passare a questa fase che conoscevo soltanto per sentito dire ma indubbiamente non mi piace e me ne accorgo proprio ascoltando lo sciabordio sulle rocce, il suono è diverso come se avessi altre orecchie. Anche lo sguardo è più attento, altri occhi osservano al posto mio. Ho pensieri confusi come la sabbia nel vento, folate di idee che si mescolano ancora ai giochi con i compagni di scuola, è presto per crescere penso, ma è necessario per me subito per sopravvivere alla rudezza di mio padre che poco lontano, in una sala biliardo ci sta rovinando la nostra prima vacanza al mare! Forse non sono mai stato bambino veramente, tutto preso a badare a mia madre che non venisse travolta dall’indifferenza di mio padre. A me non importavano i suoi abbracci, sempre con lo stesso fine convincere mia madre, sua moglie, di essere un uomo sensibile e che le sue debolezze sapeva gestirle e staccarle dall’affetto per noi! Le onde si infrangono rumorose, e il vento sibila tra le rocce. Bugiardo! Com’è stata bugiarda sempre la sua vita! Mio padre per me è un alieno, un essere metà uomo metà sanguisuga, che rispetto posso avere per lui. Ma in questo salto del fosso, in questa serata dove le stelle giocano a nascondino temo più per me, per la mia paura di non saper amare una donna o peggio ancora un figlio! Inizio alla grande i miei diciotto anni. Ho la patente ma non un auto. Ho una casa ma mi sento un ospite. Ho una vita da “grande” e non so ancora cosa fare! Pensieri su pensieri mentre due ragazzi passeggiano sulla spiaggia mano nella mano, sorridendosi ad ogni passo. Non ho ancora una ragazza. Una cosa è sicura, ho le scarpe nuove, con la suola in gomma l’unico vero regalo che mi servirà per camminare su questa strada nuova e chissà cosa farò di me! Per ora ascolto questo canto dolcissimo e bagnato!
 
mille_giorni54
mille_giorni54 il 03/07/09 alle 22:43 via WEB
All’inizio era soltanto uno strimpellamento fastidioso, un suono che di melodioso aveva ben poco, pizzicava le corde della chitarra quasi a volerle spezzare, non aveva il senso del ritmo e nemmeno sapeva seguire le note che nere sul pentagramma bianco sembravano osservarlo con disprezzo. Noi, la musica, noi il canto violentate da questo musicista da strapazzo. Che vergogna! Michele aveva dieci anni allora e io dodici più di lui, sposata da poco con un alieno che negli anni mi avrebbe fatto riscoprire la voglia di solitudine fatta di canzoni alla radio, che giravo a palla in casa per distrarmi da questa vita che già si preannunciava monotona! L’unico che mi distoglieva da questo grigiore era il sorriso di Michele, la sua velleità d’artista e la voglia matta di diventare famoso come Umberto Tozzi, il suo idolo di allora che impazzava dagli altoparlanti fuori nei dehorts estivi tra un gelato al pistacchio e una sans souci ghiacciata! Tutte le sere dalle sette alle nove arrivava il suo maestro di chitarra, un ragazzo che non aveva diploma, né un certificato che lo indicasse come insegnante ma che con la chitarra ci sapeva fare alla grande, tanto da essere spesso chiamato nei vari locali per accompagnare i sabato sera dei ragazzi che, allora, non avevano molti soldi e le uniche uscite erano al bar sotto casa dove Giacomo si esibiva per poche lire. Intanto tra una nota e l’altra il tempo passava, e io ero diventata amica della mamma di Michele così potevo seguire da vicino le evoluzioni del piccolo artista e dei suoi sogni! Anni ad ascoltare la sua chitarra. Anni a chiedermi che cosa volevo veramente dalla mia vita! Intanto il lavoro mi portava sempre lontano a girare i paesi della provincia e a tornare tardi la sera, finchè un giorno la mia amica mi dice che traslocano, hanno comperato una casetta in collina a Torino, che è meglio per gli studi di Michele e anche per il lavoro di suo marito. Con tristezza li vedo partire un martedì mattina con la macchina carica dei piccoli e preziosi oggetti. Ripenso ancora per poco a Michele e alla sua chitarra, la vita mi travolge in un ritmo vorticoso, cambio lavoro, a casa ci sto giusto per dormire e passano altre stagione una dietro l’altra che non mi rendo nemmeno conto di avere quasi quarant’anni. Poi una sera davanti alla televisione in compagnia del solito spettacolo musicale vedo un volto tra i musicisti che accompagnavano le esibizioni canore di cantanti famosi. Eppure lo conosco, ha un viso familiare: è Michele ne sono sicura! Si era fatto un bel ragazzo, capelli arruffati tipici dei suonatori matti come avrebbe detto suo padre. I ricordi si affacciano nitidi e con nostalgia ripenso agli anni passati e in un attimo mi accorgo di ciò che è stata la mia vita fino a quel momento e come in questo disegno non ho contorni precisi né ricordi esaltanti, anzi, un po’ di timore nel scavarmi dentro e paura di scoprire che ancora non so cosa sia la felicità!
 
fionamay10
fionamay10 il 04/07/09 alle 14:37 via WEB
Dormo addossata al muro.
Dentro questo letto grande che poggia alla parete e, vista dallo specchio di lato, sembro una precipitata in un crepaccio.
Il mio crepaccio personale.
Di quando guardo dai vetri soltanto la pioggia che scivola e gli occhi prendono quello scuro del cielo.
Della paura che ti fa tirare in testa il cappuccio di una felpa per startene lì dentro, come nella cuccia, nel malumore di un bambino espulso dal gioco.
Del non azzardare più niente oltre questo bivacco senza tempo. Il bivacco dell'alba che mi sveglia presto perchè il terrazzo è già troppo pieno di luce e di grida degli uccelli. Il bivacco dei vestiti gualciti, buttati per terra, che sembrano non essere mai stati addosso a un corpo bagnato e caldo. Il bivacco dell'ultima sigaretta sopra gambe accavallate intorno a un equilibrio che ha sempre il suo modo di ritornare.
Manonoggi.
 
Agnello34
Agnello34 il 04/07/09 alle 22:26 via WEB
Il mio impatto con questa città sconosciuta, dove parlano una lingua che non comprendo e ci sono tram e autobus che sfrecciano veloci, vigili ovunque e una marea di gente che si accalca sotto le pensiline e davanti ai semafori. Sono appena arrivato con la mia valigia piena di belle speranze e una raccomandazione scritta dal mio vecchio datore di lavoro per questo nuovo e per l’affittacamere appena fuori la stazione. Mi confondo con i passi frettolosi di queste persone! Ma dove corrono tutti, sembrano avere qualcuno che li insegue. I clacson no, mi riportano invece alla mia città e sento un po’ di nostalgia per i panni stesi al sole sulle vie centrali, colorati di urla e racconti fatti da finestra a finestra! Qui, è tutto squadrato, perfetto come in un disegno di Leonardo, monumenti e facciate delle case pulite, ordinate in fila attraversano il lungo corso che mi porta alla mia nuova abitazione. Il padrone di casa somiglia al tuo tratto, una di quelle facce non ben definite, occhi che non hanno luce mi scruta da capo a piedi e quando parla ritrovo il profumo della pizza. Solo che qui è mescolata con quella della bagna caoda! Mille domande prima di farmi vedere l’appartamento! Insomma, appartamento, un buco di 30 metri quadri con un lucernaio dove la luce prende a pugni le inferriate per entrare. Polvere dappertutto, in un angolo un letto con un materasso così sottile che penso già che diventerò un fachiro. L’angolo cottura con un gas dove al massimo potrò farmi un caffè, sempre che ci sia una “napoletana” da qualche parte in questi vecchi mobiletti appesi ad un muro che temo possa crollare da un momento all’altro! La prima richiesta, dopo aver letto la lettera che mi raccomandava era la busta paga per affittarmi questo spazio che di vivibile ha ben poco! Ma quale busta che devo ancora iniziare a lavorare, ma ho i soldi per la pigione, almeno tre mesi sicuri poi intanto lavorerò. Poco convinto mi osserva e non so stare zitto quindi guardandomi intorno e facendo i debiti scongiuri sulla resistenza di questi muri, gli dico che ancora grazie che abbia trovato un fesso come me a cui affittare questa cantina dell’ultimo piano. Offeso mi porge le chiavi, comincia la mia avventura a Torino!
 
Loris_700
Loris_700 il 05/07/09 alle 22:08 via WEB
Un sogno inquietante che si fa volto al mattino presto. Bellissimo! ciao £ori$$
 
Loris_700
Loris_700 il 06/07/09 alle 22:27 via WEB
Seduti al tavolino del bar pasticceria, come tutte le sere nei momenti di libertà dallo studio, si facevano progetti e ipotesi sul nostro futuro dopo la laurea. In cinque, sempre i soliti, il barista conosce ormai le nostre ordinazioni, sempre le stesse, tre caffè e due aranciate amare, pochi soldi da spendere e tanta fantasia. ”Con la fantasia non ti riempi lo stomaco”! Anche le frasi sono quasi sempre le stesse, è questa della fantasia se la sente ripetere per l’ennesima volta l’artista tra noi. Alberto, con la passione fra i capelli rosso fuoco e i suoi occhi da furetto sempre attento a cogliere ogni sfumatura per poi riportarla nei suoi disegni. E Gianni, più pratico e diretto che lo incita a cambiare studi, con i pennelli ci fai poco è finita l’era dei Leonardo o dei Picasso. Di imbratta tele è pieno il mondo e tutti a fare la fame! Certo incoraggiante come sempre Gianni sciorina le mille possibilità che un ragazzo come noi può avere in un mondo che si sta ricostruendo, dove la tecnologia muove i primi passi verso qualcosa di più grande e maestoso. Gianni e Alberto, due opposti che si respingono pur trovandosi tutte le sere insieme allo stesso tavolo. Ma forse tra noi c’è un catalizzatore, uno che riesce a tenere unita la compagnia e sono sicuro che fra noi cinque questo elemento sia Tommaso. Tommaso studia per diventare un avvocato! Almeno questo è il suo sogno da sempre, anche se in lotta con suo padre che ne avrebbe voluto fare un capitano di industria e quando ha deciso di cambiare strada Tommaso si è trovato con le pezze al culo. Suo padre è un uomo che non ammette di essere contraddetto, quindi gli ha tagliato i viveri e se vuole fare di testa sua che si arrangi. Tommaso studia e lavora. Lo riteniamo il più maturo fra noi proprio per questo. Lui è un grande riesce a conciliare lavoro e università a costo di occhiaie paurose e improvvisi abbiocchi al cinema di domenica pomeriggio! E la tua immagine, Fiona, mi ricorda invece il quarto del gruppo! Vincenzo. Un tipo strano arrivato da una regione del sud con tante belle speranze, un iscrizione ad agraria e poca voglia di studiare. La sua università dice è la strada, è lì che si impara a vivere, a lottare altro che professori e compagni di scuola, ci vogliono amici con le palle, gente che non ha paura di niente! Non siamo d’accorso con questi discorsi sconclusionati e senza molto futuro per dirla tutta. Ma siamo giovani e si pensa che sia facile riuscire nella vita, basta avere talento e voglia di fare. Sono passati anni e capodanni! Mi è rimasto un ricordo sfumato di quelle sere, visi confusi ad altri visi e voci lontane. Ma so che Alberto insegna in un liceo artistico a Milano, dipinge per hobby e vendicchia i suoi quadri. Tommaso è direttore di banca. La contabilità è sempre stata la sua vita. E di Vincenzo ho una fotografia ritagliata da un quotidiano: arrestato in flagranza di reato, ripreso dalle telecamere a circuito chiuso di un supermercato. Nemmeno come ladro è diventato qualcuno, ridotto a rubare gli incassi di un piccolo supermercato, lui che forse aspirava ad un colpo in banca! Com’è strana la vita, anche a delinquere devi avere fortuna!!!
 
Mariluci17
Mariluci17 il 08/07/09 alle 22:42 via WEB
E’ una sera come tante, uguale alle altre sere di questo inizio di anno. I festeggiamenti per il capodanno hanno lasciato strascichi di bottiglie vuote per le strade, coriandoli e stelle filanti appese ai lampioni che scivola verso un tappeto di cartacce e pacchetti di sigarette come in un ultimo viaggio. Io sono seduta fuori sul terrazzo e penso ancora a questa festa che per me sa di giorno definitivo, di ultimi sprazzi di una vita che vorrei fosse la mia e invece è la vita di mio padre che si sta spegnendo. Ho un solo nemico sconosciuto, come questo volto, inquietante e non so come combatterlo, è invincibile e nelle immagini è raffigurata con una falce in mano e un cappuccio nero calato sul viso. Mi sento come dentro una storia che non è mia, mentre guardo il cielo nero di gennaio, senza stelle né pensieri allegri. Eppure fino a poche ore fa fingevo un allegria che non sentivo e guardavo mio padre e pensavo soltanto che quelli erano gli ultimi gesti che potevo vedere, lo sapevo, sentivo che era così. E non mi perdevo una sua parola, non ho perso un ballo suo con mia madre. Un tango che era la loro passione in comune e penso chissà quanto hanno condiviso senza che io mai ne comprendessi forma e sostanza. Mi sento quasi egoisticamente tagliata fuori mentre loro accennano con le ginocchia stanche un passo sulle note di Astor Piazzolla! E ancora quell’immagine che arriva piano piano e non so quando e come ma so che arriverà e si porterà via quelle mani che mi hanno sempre sorretto nei momenti di difficoltà e mi sento irrimediabilmente sola. Gli occhi sono lucidi ma non piango, non riesco che a morire dentro, non ho altro da dare alla sua vita che se ne va. Un pianto silenzioso e senza lacrime che mi sprofonda in quella solitudine che fino a stasera non avevo ancora conosciuto.
 
PrincipeDistratto
PrincipeDistratto il 09/07/09 alle 23:18 via WEB
Per tanti anni mi sono sentito come una figura non ben definita. Un disegno lasciato incompiuto, una linea senza sbocco. Per troppi anni ho creduto che vivere fosse soltanto respirare, lavorare andare a scuola e così in questo ordine confuso, senza limite di spazio e tempo. Perché io al tempo ho sempre dato un importanza relativa, come quando a scuola aspettavo la fine delle lezioni che non passavano mai e al contrario erano troppo brevi gli sprazzi di felicità! Ma ero anche troppo giovane per capire che qualcosa di importante poteva accadermi da un momento all’altro. Trascinavo la mia vita tra amici e motocross, sfogando nei salti e nelle difficoltà la mia rabbia per una vita che era soltanto una messa in scena per un pubblico di pochi intimi. L’ultimo salto fatale, la rabbia troppo grande da gestire e io a terra, sfiancato e sconfitto con la gamba dolorante immobile! Giorni da dimenticare, tra ingessature e termini medici che non capivo. E ancora la rabbia, mia madre sola a casa con quell’uomo che era l’origine di tutto il mio malumore. Sogni di rivincita, la voglia di spaccare la faccia al mondo, concerti a palla e vita che scivola tra innumerevoli cambi di lavoro e la poca voglia di seguire il corso dell’anima. Tutto senza futuro! Poi ecco il miracolo. Lei, capelli lunghi e aria di sfida, bella come un mattino d’estate al mare quando i raggi del sole illuminano scintillando dentro l’acqua. Lei che è l’impossibile, il sogno! Quanta fatica per farmi guardare, già donna così giovane e io così piccolo da vergognarmi quasi di esistere! Ma è vero si, dopo il buio arriva la luce, mia nonna me lo ripeteva fino a sfinirmi e sono felice di essere arrivato in tempo per amare e per dirle che aveva ragione. Ho dimenticato le notti insonni e il respiro affannoso dei miei giorni di ragazzo. Sono ricordi che aiutano ad affrontare il presente e il mio presente ora è tutto in un fiato di sapori e aromi che mi riempiono la vita.
 
dark_voyager
dark_voyager il 10/07/09 alle 23:00 via WEB
Occhi cerchiati ed espressione da zombie. Il mio ritratto. Tutto è iniziato all'incirca una decina di anni fa. Una scivolata verso la paura pura, di quella che non faceva dormire di notte perchè dovevo stare attenta a restare viva e di giorno non era meglio perchè non cambiava la situazione ma dovevo indossare la maschera del "tutto-ok". Una paura dal piacevole effetto collaterale dimagrante. Credo sia stata la causa anche della comparsa di un ciuffo di capelli bianchi alla Crudelia Demon. Debitamente e prontamente tinto. Sono stata agganciata e trascinata verso il basso da un evento che mai avrei immaginato di dover fronteggiare e mi sono ritrovata priva di appigli, di punti di riferimento e di risposte. In tutta sincerità temevo che non avrei mai visto l'uscita del tunnel, e infatti è stato un cammino faticoso, impegnativo, logorante, sconquassante, infinitamente lungo... quello di aver dovuto fronteggiare il disagio psicologico di chi mi viveva accanto.
 
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