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Tulum


La spiaggia è di un biancore irreale: è  chiusa a sinistra da un promontorio frastagliato sormontato da un faro e aperta a destra da una curva del bagnasciuga che ne nasconde la vera lunghezza.Il mare è uno scrigno di colori:  distingui il chiaro - per come può essere chiara l’acqua -, il verde tenue, il verde intenso, quasi smeraldo, il celeste, il blu, il blu scuro, fino all’orizzonte dove, senza digressione alcuna, incomincia l’azzurro tenero del cielo. In mezzo, le macchie rossastre dei banchi di corallo e la barriera che corre parallela alla spiaggia e frange i flutti.Oltre il promontorio, la zona delle rovine, eleganti templi Maya che sorvegliano una spiaggetta e un solitario albero di mango.  A ridosso della spiaggia, le capanne che, col passare del tempo, sono diventate più confortevoli. Prima, all'inizio degli anni '80, ce n’erano una decina, con le assi sconnesse, da dentro vedevi agevolmente fuori, piccole amache promiscue per dormire, due cessi scavati nel terreno, un pozzo per lavarsi.Poco dopo è arrivato il turismo (non quello di massa, non ancora). Venivano gli amici di coloro che  avevano visitato Tulum  l’anno prima. Canadesi, francesi, tanti italiani. Turisti mimetici, in cerca di  posti ancora liberi.  Ma intanto le capanne erano diventate una cinquantina e si erano dotate di letto, zanzariera, luce elettrica e, optional di valore, un piccolo ventilatore.Assistendo alla transizione - temo che ormai i villaggi di capanne si siano moltiplicati sulla lunga striscia costiera-, mi veniva da pensare  come le trasformazioni dei paesaggi e degli insediamenti fossero diventate più veloci di quelle della vita stessa. Di come potesse invecchiare, modificarsi radicalmente un luogo, mentre una persona rimaneva giovane. Tulum,  i fuochi accesi di notte insieme al suono dei tamburi a salutare la luna piena, cenotes profondi e inquietanti,  tramonti arancioni che virano al viola, rovine nascoste in campi di mais. Un volo disordinato di gabbiani che si tuffano in acqua al crepuscolo. Attorno a Tulum ci sono ancora posti magici e quasi segreti, che non divulgherò per non tradirli. Specchi d’acqua profondi  e trasparenti che proteggono stalattiti e stalagmiti di pietra gigantesche, città semi sepolte, vie di comunicazione nascoste.Lì affondavo con piacere, attratto dalla solennità dei luoghi, respinto dalla loro forza. Poi finirono i giorni e i soldi e fui costretto a ritornare nell'agglomerato di cemento di Città del Messico.Writerhttp://www.writer-racconti.org/