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Tepoztlan


-   Non mi sembra granché questo villaggio, Gigi. -   Guardalo meglio, possiede un fascino segreto. -   Ma cosa ci trovi di bello, scusa?-   E’ un luogo magnetico, e poi il mese scorso  abbiamo fatto una festa in una bellissima  casa con piscina. -   Quelle le trovi anche a Chieri. -   Sì, ma non con questa vegetazione.Mi aggiravo, insieme a Gigi, nell’abitato di Tepoztlàn, stato di Morelos, non lontano dalla sterminata agglomerazione in cui vivevamo. La capitale, anzi, era fin troppo vicina,  a un’ora e mezzo di autobus. I fine settimana, dall’autostrada Città del Messico–Cuernavaca, si riversavano in paese migliaia di chilangos – così vengono chiamati con disprezzo  gli abitanti del Distretto Federale dai residenti delle altre regioni -  che sciamano sui prati e le montagne portandosi a spalla rumorosissime mangiacassette stereo, decine di birre e chili di pollo inzuppati nel  mole negro. Il paese sembrava sporco e trasandato. Era Maggio, il mese che precede la stagione umida. I naturali canaletti che scorrevano ai margini delle stradine di ciottoli emettevano un odore acre, di materia in decomposizione. La collina che sovrasta il villaggio sembrava persa nella caligine pomeridiana.­ Tepoztlàn, luogo polveroso e magico. Strade sterrate, vegetazione esuberante, asini carichi di legna, chiese barocche, case circondate da nochebuenas e buganvillee, una miscela di razze, persone, sopravvissuti a tempi, movimenti, rivoluzioni, rivolte individuali, cambiamenti esistenziali, invecchiamenti. Viveva nel borgo una vasta comunità di  “alternativi” – stranieri e indigeni -, persone accomunate dal loro passato di ex. Ex militanti politici, ex femministe, ex esuli dai regimi dittatoriali dell’America Latina, ex normali che avevano trovato una dimensione di vita lieve e comoda (almeno così mi apparve). Si visitavano senza sosta, formando gruppi sempre un po’ diversi e mettevano insieme il loro tempo, le loro case, la disponibilità a giocare e mezza dozzina di idiomi. Decisi di passare due mesi in paese e scoprii anche il rovescio della medaglia. Anche tra gli “alternativi” esistevano gerarchie: chi aveva i soldi era più centrale, mentre i poveracci si agitavano per essere visibili; chi disponeva di una bella casa godeva di un tasso di socialità maggiore; i visitatori esterni, anche se accolti con apparente calore, venivano tenuti ai margini. Ma le feste erano una bellezza. Dai, Marco, questa sera tutti a casa di Gunther. Una casa, spaziosa e piena di luce, circondata su tre lati da un vasto giardino. Cinquanta persone stravaccate nel prato. Cubalibre e  cumbia, mentre il ritmo sale d’intensità. Funghi nerastri che girano con discrezione. Ricordi confusi nell’ebbrezza montante. “La vida te da sorpresas, sorpresas  te da la vida, ”. Una cucina ampia. Un tavolo e quattro sedie. Una donna su una sedia che si toglie i vestiti, poco a poco. Il corpo è coperto da collane, da gioielli posti sui fianchi, dai capelli. Sguardi di desiderio, mentre il rito preispanico e profano  si compie.  “ahi mamà, yo no sé lo que quiere el negro”. Voglia di affondare la labbra nella pelle, di baciare carne e metallo con labbra screpolate di arsura.     Writerhttp://www.writer-racconti.org/