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Al di là


Due giorni fa mi sono ammazzato. Faccio fatica a raccontare quello cheè  successo, anche se mantengo un ricordo preciso di ciò che è accaduto.  Un  sentimento simile al pudore  frena il mio impulso. Ero così incapace di vivere che la scelta del suicidio mi parve una via d'uscita agevole e rassicurante. Non era avvenuto nulla di speciale, nulla di traumatico, come direbbero gli specialisti dell'anima. Solo un insieme di situazioni mortificanti,  piccoli delusioni,  rancori irrisolti,  energie usate contro se stessi. Non voglio annoiarvi con la descrizione della mia vita, so benissimo che  non vi interessa affatto, anche se m'immagino di  vedervi mentre scuotete la testa e fate cenni  diniego troppo ampi per essere plausibili. Perché dovrebbe interessarvi la mia vita se io, che la possedevo, l'ho abbandonata come si lascia un vecchio cappotto o una giacca troppo logora? Dirò solo questo: ci sono a volte momenti in cui una mortale stanchezza prende il sopravvento e non hai nemmeno voglia di dormire, desideri unicamente  non essere,  sparire per sempre dalla scena.  Suicidarsi, tuttavia,  richiede una forte determinazione, un'intenzione tenace che contrasta con la voglia di rinuncia che sentivo crescere e imporsi dentro di me. Ho scelto, per questa ragione, un modo dolce e poco faticoso di morire. Ho scartato i suicidi spettacolari - tagliarsi le vene e morire dissanguato nella vasca da bagno, buttarsi dal nono piano, impiccarsi a una trave del soffitto -. Non avevo energie sufficienti e poi, a dirla tutta, mi sembrano azioni poco responsabili. Non volevo consegnare ai miei tardivi soccorritori un corpo schiacciato o reso irriconoscibile dall'asfissia o obbligarli a drenare litri di acqua rossa simile a un fiume inquinato da residui industriali. Ho inghiottito una manciata di pastiglie. Prima gli ansiolitici, per stare calmo e non agitarmi troppo, poi una buona quantità di ipnotici e infine alcune sostanze che inibiscono l'attività del sistema nervoso centrale e l'attività respiratoria. Non è stato facile morire. Ma non dovete pensare a spasmi atroci, crisi di vomito o ad estremi ripensamenti. Mi è parso di attraversare tutta una serie di passaggi, di effettuare un insieme complesso di transizioni che stento a descrivere. Era come aprire cancelli che t'introducono in territori amorfi e occorreva percorrere la distanza che conduce ad altre  porte, ad altri territori, a nuove zone neutre prive di contorni riconoscibili. Mi sembrava di perdere corporeità in ognuna di queste fasi, era come entrare in un sogno capace di sognare solo se stesso eppure così concreto, così reale. Non sentivo neanche una percepibile angoscia, solo il desiderio (ma si può parlare di desiderio quando sei sul punto di morire?) di annullarmi in quella sensazione indistinta. Dopo aver varcato tante porte ed essere passato attraverso infinite ripetizioni, riconoscibili solo per le loro impercettibili differenze, mi sono finalmente acquietato. Non sapevo cosa pensare. Temevo mi avessero salvato in extremis e trascinato in un'unità di rianimazione. Poi ho finalmente capito. Ero riuscito nel mio intento. Ero morto. Me ne sono reso conto quando ho avvertito una sensazione di distacco assoluto. Tutti gli eventi, le piccole miserie, le meschinità che mi avevano indotto a farla finita erano ben presenti e nitidi. Ma avevano perso ogni spessore, fluttuavano sopra la mia testa come  uccelli in volo. Mi sentivo così in pace che provai l'ombra di un rimpianto. Avrei dovuto suicidarmi prima, ma distolsi quel pensiero fugace, ricordo della vita ormai terminata. Cercavo di guardarmi intorno, ma non scorgevo nulla di riconoscibile. Provavo una sensazione analoga a quella di chi sta sdraiato su un letto ad occhi chiusi e "sa" che ci sono oggetti intorno a lui, anche se non li vede. Ho cercato di aprire gli occhi, ma non vi erano più occhi da aprire. Era tutto vuoto, rimaneva solo quella strana calma, simile ad un rio che scorre tranquillo. Non ho neanche provato a parlare, sapevo che non avrei potuto. Potevo solo pensare, dare forma alle parole e comunicarle mediante un canale misterioso, un codice segreto di cui mi sfugge l'origine e la natura. Perché morire è proprio questo. Trattenere pensieri e parole dentro di te che nessuno potrà udire, che nessuno potrà ricevere, se non attraverso vie oblique e segni allusivi, che fanno dubitare e inquietano. La morte non è la fine di tutto. E' solo un passaggio verso una deriva infinitamente lunga, così lunga che la vita ne costituisce   una porzione insignificante. Tutto ciò l'ho capito oggi. Sono sollevato, quasi felice. Penso "sono felice", ma in realtà sento solo scorrere dentro di me  rapide correnti di pace. Oggi la morte mi ha sorriso. Writer