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Il ritorno


“Voz de la guitarra mìa   al despertar la mañana quiero cantar la alegrìa a mi tierra mexicana Yo le canto a sus volcanesa sus praderas y floresque son como talismanesdel amor de mis amoresMéxico lindo y queridosi muero lejos de tique digan que estoy dormidoy que me traigan aquìQue digan que estoy dormidoy que me traigan aquìMéxico lindo y querido si muero lejos de ti “  
 Sala d’attesa dell’aeroporto internazionale  ‘Benito Juarez’. Mezz’ora alla partenza del volo Aeroflot, con destinazione Roma via l’Avana, Shannon, Mosca, trentasei ore di viaggio.- Nel momento di andarmene tutto sarà facile, si creerà una totalizzazione,  il Messico indietro/l’Italia avanti, sulla rotta dell’aereo. Palle, non è vero. Che cazzo dico. Mi sento fragile, esposto, provo timori che non riesco a trasformare in pensieri e  che mi attaccano lo stomaco. Sto tornando. Dopo quasi sei anni, ritorno in un posto che non desidero e dal quale sono fuggito-  In aereo gente anonima, volti estranei. La costa dello Yucatan come una promessa beffarda. Una tempesta tropicale a Cuba, l’aeroporto dell’ Avana come un recinto d’impazienza, un’attesa abbrutente di dieci ore nel circolo di cemento di Mosca.Un altro aereo, sul filo della nausea rassegnata. Quattro ore, nuvole, terra erosa vista dall’alto. Fiumicino, Portuense, casa della zia.Come stai? Da quanto tempo. Cosa hai fatto? Hai fame? Racconta, racconta. Il TG1. Il linguaggio dei giornalisti che sembrano parlare una frivola lingua straniera. Il Presidente del Consiglio   davanti a una platea  impaurita e pronta all’ossequio.Via Giulia, Piazza Farnese, a inseguire ricordi stantii. Le immondizie in Campo de’ Fiori. La solitudine di Giordano Bruno in mezzo alla piazza. Un letto a una piazza di quindici anni prima. L’autobus verso Termini, il casino vociante della stazione. Il treno.- Un tempo avrei camminato dal raccordo anulare fino alla prima stazione di servizio sull’ Autosole e avrei chiesto con voce impostata e jeans a pezzi “si dirige per caso verso Firenze ?-Un passaggio  chiesto insieme a  due ragazze incontrate casualmente sulla costa di Oaxaca, da Acapulco a Città del Messico. Cinque obesi   in mutande a bordo di un Datsun gigantesco. -Ero convinto che mi avrebbero buttato fuori dalla macchina dopo avermi fracassato la testa con una bottigliata - portavano con sé almeno  ventiquattro bottiglie di birra da un litro, le caguamas- e che avrebbero violentato le due fanciulle alla prima curva.   Diventammo invece quasi amici e ospitai le due ragazze per una settimana intera a casa mia. Ma mi passò la voglia di fare autostop-. Treno, direzione Torino.  Gente che non si guarda,  che non si parla. Sprofondati nella lettura del giornale. Civitavecchia, Grosseto, Livorno. Paesaggi consumati, tralicci della  luce che scorrono in senso inverso e sembrano danzare. - Mi sembrava di ricordare che il treno fosse un posto per chiacchierare, la presenza di sconosciuti rendeva l’operazione più interessante, anche se la costringeva in moduli convenzionali -.Un caffè, uno sguardo al bagaglio. Due padri di famiglia che parlano dell’istituto Rosmini, di pedagogia e rapporti con i figli. Un accento piemontese simile alla caricatura di un comico.Pisa, La Spezia, Genova. Una sigaretta accesa. Non si può fumare. Sguardo carico di odio. Un bagno puzzolente. Acqua sul viso. Lo specchio che riflette una faccia stravolta.  Alessandria, Asti,  Porta Nuova. -Le labbra di Margherita che si socchiudono  in un gemito soffocato nella  mia casa di montagna, mentre Ana dorme alla mia destra, in un letto singolo-   Mio padre vestito con un impermeabile chiaro. Allora, come stiamo? Bene, papà, sto bene.Ti posso aiutare con i bagagli? Grazie, faccio io.Un taxi per arrivare nella casa dell’adolescenza.(fine prima parte)Writerhttp://www.writer-racconti.org/