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I miei luoghi


Ho regalato a Cate, Cloudbreak e Bruno14 una copia del mio libro di narrativa, "Sguardi", un insieme di visioni sui luoghi e sulla sofferenza quotidiana.Questo testo è l'incipit del mio libro.
 
I miei luoghi, i miei.Spazi. Posti della memoria e della mente.Città, paesi, valli, nazioni, continenti, ambienti.Scanditi dal ricordo, rincorsi, rivisti, vissuti, fantasticati, visitati un numero imprecisato di volte.Il primo, l’utero materno, da cui sono stato strappato con un forcipe che mi ha frantumato il braccio destro in tre punti, leso la fronte e impedito di morire di asfissia.Da lì è iniziata una deriva, un abbandono che il passo del tempo ha solo reso più stabile.  Sentirsi estraneo, straniero, senza radici, fuori posto, fuori luogo.Il secondo, la casa paterna e materna di Taranto, affondata nella dimenticanza. Un martello di gomma smarrito, un ponte girevole, gli escrementi di cavallo per strada. Il terzo, Torino, città maledetta, scenario della mia rabbiosa insofferenza.Torino, crudele e noiosa, irritante e formale, un posto buono per morire  d’inedia. Torino, la scuola, la piazza, il quartiere, quattro calci a un pallone.Le montagne intorno. Le valli, verdi e bianche, una frazione di poche case e una chiesa chiamata “La Calma”.E ho già, Dio mio, dieci anni.Il quarto, la città Eterna. Apertura illusoria al mondo, tra l’isola Tiberina  e Via San Girolamo detta della Carità. Grumi di ribellione che bagnano vecchie pietre. Un girovagare assorto e impetuoso. Il perimetro di una fabbrica di birra che convive con una facoltà.La scoperta del sesso, sul filo dei vent’anni. Il quinto ha un nome che sembra un dolce insulto, Arezzo. Mura medioevali, strade contorte, il veleno delle chiacchiere. Fulgida campagna intorno. Un lavoro perso per  l’incapacità di alzarsi presto la mattina.Il tempo accelera, scocca il primo quarto di secolo. Il sesto non è un luogo, ma una pluralità di condizioni, un’idea. L’America. Una porzione d’America, collocata tra il Rio Bravo e le foreste dello Yucatan. Si compone di numerosi punti disseminati su un vasto territorio. Troppo numerosi per nominarli. Qui esplode la mia gioia inconsapevole  e  realizzo chimere. Tra tutti i luoghi è il più pericoloso, poiché è il più vicino ai miei desideri. Me ne stacco a fatica, varcata la soglia dei trent’anni.Il settimo è di nuovo la città maledetta. Ma è  diventata un’altra città, i giochi sono ormai consumati, mentre m’appresto a congedarmi dalla mia giovinezza.S’arresta il movimento eccentrico, torno nel luogo che ho, fra tutti, più detestato. Lavoro, formalizzo un vincolo, aspetto novità che non arrivano.Tutti gli altri luoghi sono varianti, ritorni, viaggi, prospettive diverse dello stesso fiume. Le capitali d’Europa, la val Germanasca, la val Pellice, alcune isole minori del mediterraneo, i confini tra nord e centro America, tutto questo è ormai solo un segno di lontananza.Rivisito i miei posti, e ogni volta -siano essi metropoli o case e montagne piene del mio affetto-, sento un piccolo, percettibile dolore. Rivedere è celebrare un funerale differito, misurare un segno meno, cogliere distanze che si muovono in senso opposto ai tuoi impulsi.I miei luoghi m’appartengono, fanno parte di me. Ma io non sono in loro. Io passeggio inquieto sulla scorza del mondo, mentre mi avvicino lentamente ai cinquant’anni.Scrivo per ricordare.I miei luoghi.Writer.