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Queen of Katwe


Tempo non proprio piacevole ieri sera e così, cercando nelle trasmissioni televisive qualcosa di interessante da guardare, mi sono imbattuto in questo film: Queen of Katwe. E’ ispirato ad una storia vera, quella di Phiona Mutesi, una giovane ragazza ugandese che, nonostante avesse abbandonato la scuola, in seguito è diventata una campionessa di scacchi. Dalla sua abitazione nella baraccopoli di Katwe a ridosso di Kampala, la giovanissima Phiona non nutre particolari prospettive di vita diverse da quelle del momento, per lo meno nel suo più immediato futuro, se non indigenza, vita grama etc.Questo nonostante che la madre Harriet, vedova, lavori sodo vendendo verdure per cercare di dare una vita decorosa ai figli. Il bello di questa storia prende corpo quando un missionario ed ex calciatore (Robert) inizia a insegnare ai bambini del posto a giocare a scacchi. Phiona, apprese le regole principali, dimostra subito grande dimestichezza con quella disciplina. Robert, accortosi del suo talento (prevedere ad esempio otto mosse in anticipo prima di dare scacco matto non è cosa alla portata di tutti), la prende sotto la sua ala protettiva e la porta in giro a far tornei in cui la ragazzina riesce ad esprimere le proprie capacità, anche se non in tutti i tornei esce vincitrice.Nonostante i dubbi della madre, Phiona comprenderà che la sua passione per gli scacchi potrà non solo dare soddisfazione a sé stessa, quanto aiutare a migliorare la vita della sua famiglia. .. Quale la morale? Semplice: l’intelligenza, le capacità di adattamento, il sapersi autogestire non hanno limiti e confini di alcun genere.D’altro canto, avendo il sottoscritto - da  ragazzo - giocato a scacchi (a livello amatoriale), conosce quella disciplina e l’impegno che richiede: predisposizione naturale, studio, buona memoria ed inventiva sono alla base di un possibile successo in quel mondo così particolare.Personalmente, pur essendomi avvicinato al mondo degli scacchi da ragazzino,  lo stimolo più forte a praticare quella disciplina lo ebbi nel 1972 quando seguii l’avvincente sfida tra il campione del mondo del periodo Boris Spasskij (cittadino di Leningrado, oggi S. Pietroburgo) e Bobby Fischer (cittadino islandese, nativo di Chicago), finita 12,5 a 8,5 a favore di quest’ultimo. Fischer è sempre stato considerato un genio degli scacchi, peccato – però – che dopo quella clamorosa vittoria si sia rifiutato di difendere il titolo e si sia chiuso in se stesso, si dice ossessionato proprio dal gioco degli scacchi.Si suppone che Fischer, uomo di indubbia intelligenza, sia giunto a quello stadio di isolamento etc. perché pare fosse affetto dalla sindrome di Asperger, parente stretta dell’autismo.Ma questo non è determinante: il gioco degli scacchi, come altri sport/giochi/discipline di massa o di élite,  è capace di avvicinare chiunque, abbattere barriere di qualsiasi tipo che solitamente allontanano fra loro gli esseri umani.