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Sonetto 115°


 
  Mentono i versi che una volta ho scritto, dissi:" Di più non ti potrei amare"; ma all'intelletto era allora incredibile ch'io, sì colmo, avvampassi ancor più chiaro. Guardando al tempo, che in vicende a mille scongiunge i voti e muta legge ai re, scurisce la beltà sacra, i più fini stempra, i forti nel suo flusso traveste; ah del tempo implacato nel timore come non dirti: "Ora t'amo nel culmine" quando l'incerto m'era certo e l'oggi incoronavo, del futuro in dubbio?   E' un bimbo Amore, non dire dovevo,   lasciar pienezza a quel che ancora cresce.  (Love is a babe, then might I not say so,  To give full growth to that which still doth grow?) … Il Bardo, così soprannominato William Shakespeare perché poeta e cantore di imprese anche epiche, con questo sonetto ha ancora una volta provato, a suo modo, nel cercare limiti al sentimento dell’amore. Personalmente definisco l’amore una forza trainante - la cui natura è vaga per gli aspetti multiformi ed imprevedibili che assume – che, almeno una volta nella vita, abbiamo conosciuto sia nella sua forza che nell’attimo spesso improvviso che travolge come un fiume in piena due persone che poi altro non chiedono alla vita stessa. La bellezza di questi versi consiste nella ricerca di quel limite che, nella chiusa, lo stesso Shakespeare riconosce, come predetto, di non essere stato in grado di trovare.