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Post n°17 pubblicato il 04 Aprile 2006 da erasmus09

Il cafone di Arcore 

Dal blog di Sandro Ruotolo (ore 15:56)

''Ho troppa stima per l'intelligenza degli italiani per poter credere che siano in giro così tanti coglioni che possano votare contro i propri interessi''.  Lo ha detto il premier Silvio Berlusconi alla Confcommercio mettendo  in guardia gli italiani da un voto a sinistra. Subito dopo il premier  si e' scusato dicendo: ''scusate e' un linguaggio rozzo ma  efficace...''.(Vam/Gs/Adnkronos)
"La sinistra, come al solito quando e' in difficoltà, cerca di manipolare una mia frase per montarci sopra un caso del tutto inesistente. Quel che ho detto alla Confcommercio e' esattamente il contrario di ciò che alcune agenzie di stampa vorrebbero farmi dire nei loro primi titoli". Lo dice in una nota il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. (AGI)  
''Ho usato quell'espressione con il  sorriso sulle labbra e ci ho scherzato sopra, mentre loro hanno  detto che sono un delinquente politico, un mafioso, un  assassino: accuse che devono ancora dimostrare e di cui non si  sono ancora scusati''. Così il premier Silvio Berlusconi  ritorna sulla parola ''coglioni'' usata davanti alla platea di  Confcommercio a proposito di chi nelle prossime elezioni voterà contro i propri interessi''. ''La mia era soltanto ironia'', ha aggiunto Berlusconi  uscendo dalla sede di Confcommercio, ''mentre loro lanciano  accuse serie di cui ancora non si sono scusati''. Il premier e'  quindi tornato sull'accusa di ''delinquenza politica'' lanciata  da Romano Prodi. ''Le mie parole e quell'accusa non sono  assolutamente paragonabili'', ha detto Berlusconi, ''loro mi  hanno detto sul serio delinquente politico e sto ancora  aspettando le loro scuse. Loro mi danno dell'assassino e mi  mandano i plotoni telecomandati ad insultarmi''.(ANSA).

Che dire! Ho sempre rispettato le Istituzioni del mio Paese. Questo signore, che deve ancora spiegare come ha fatto a diventare uno degli uomini più ricchi del mondo, non merita nessun commento. Mi auguro che i telegiornali e i giornali radio mandino in onda il sonoro "incriminato". Così nessuno potrà dire: "Io non sapevo".
 
 
Fronte del video  
 
04.04.2006
Il dubbio
di Maria Novella Oppo (l'Unità)
 
Il faccia a faccia Prodi-Berlusconi di ieri, era la partita di ritorno di un derby che all'andata era stato vinto dal capo dell'opposizione. Il premier, dunque, giocava fuori casa. Sia perché per lui stare alle regole è come essere improvvisamente sparato su un pianeta sconosciuto, sia perché doveva rimontare lo svantaggio. Uno svantaggio che però, né lui, né i suoi sottoposti, hanno ammesso, anche se lo hanno registrato i giornali comunisti e mangiatori di elettori (bolliti).
Perciò oggi i giornali di Berlusconi scriveranno comunque che il premier ha surclassato il professore, apparendo più bello e lucido che mai. Come il suo governo è stato il migliore dei governi possibili e avrebbe risolto tutti i problemi del Paese, se non fosse incappato nell'11 settembre, due guerre, uno tsunami e tutte le altre sciagure che hanno funestato gli ultimi cinque anni. E qui sorge spontaneo il dubbio: se in questa temperie, Berlusconi ha continuato ad arricchirsi, mentre noi italiani stiamo sempre peggio, o si è fregato i nostri soldi, oppure porta male.
 
 
 
04.04.2006
Legge antidroga, colpiti soprattutto i fumatori di marijuana

di
red(l'Unità)

Mezzo grammo di cannabis, 750 milligrammi di cocaina, un quarto di grammo di eroina, 750 milligrammi di ecstasy, 500 milligrammi amfetamina e 150 microgrammi di Lsd: sono queste le nuove quantità massime consentite per il consumo personale di droga in base alle tabelle stabilite ora dal governo. Già, perché non dovrebbe essere più – come è stato finora – il giudice a stabilire il delicato confine tra uso personale e detenzione – punibile - di droga. Lo stabilisce la nuova legge antidroga varata a fine legislatura dal governo Berlusconi e sbandierata dallo stesso Berlusconi nell'ultimo confronto televisivo moderato da Bruno Vespa.

Una legge che di fatto parifica uso di droghe leggere e pesanti, colpisce anche il consumo oltre allo spaccio, e che con queste tabelle entra pienamente in vigore. Le tabelle sono anche una parziale correzione del testo, che adesso appare però ancora più repressivo soprattutto per i fumatori di cannabis, che risultano punibili anche per il possesso di qualche canna. Ma quante?
Forse una decina se si trattasse di marjuana di buona qualità finemente tritata e controllata dei farmaci consentiti in alcuni paesi tra cui l'Olanda per scopi terapeutici. Le tabelle parlano di "sostanza attiva" ma in pratica durante i controlli di polizia non è certo possibile effettuare un'analisi chimica delle foglie di majuana o delle polveri trovate addosso alle persone fermate. Diversi i conti fatti a Palazzo Chigi. Il numero di dosi si basa, è stato precisato, su una quantità media di principio attivo: per la cannabis, ad esempio, è stato calcolato un 10% di principio attivo, per la cocaina un 45% e per l'eroina il 15%. Quindi dai 15 ai 20 "spinelli" e 5 dosi di cocaina, 10 dosi di eroina, 5 pasticche di ecstasy e altrettante di amfetamina, 3 «francobolli» di Lsd.
Il peso delle quantità consentite risulta in ogni caso - assurdamente - inversamente proporzionale alla pesantezza degli effetti e alla pericolosità sociale della sostanza utilizzata. Da questo punto di vista balza agli occhi in particolare la differenza tra cannabis e cocaina.
Secondo quanto affermato dal vicepremier Gianfranco Fini sulle tabelle hanno deciso gli esperti. E dunque non è responsabilità dei politici se i fumatori di marjuana saranno più colpiti dei cocainomani. La commissione incaricata di stilare le quantità, dice infatti Fini, è composta «da esperti e non da politici», in tutto 11 consulenti tra professori di tossicologia e direttori generali del ministero della Salute incaricati dal governo di fissare i minimi di liceità nel possesso delle sostanze stupefacenti comunque in base alla nuova legge antidroga voluta dal governo. Sono questi undici "esperti" ad aver catalogato in tutto una decina di "principio attivi", tra sostanze allucinogene, oppiacei e sostanze psicotrope.
Il ministro Carlo Giovanardi aveva inizialmente parlato «ventitrè spinelli» come "modica quantità" consentita, senza però specificare con quanto "principio attivo" dentro, cioè quanto tetro-idro-cannabinolo o almeno quanta sostanza stupefacente disponibile sul mercato. Ora evidentemente la sua idea iniziale della pericolosità sociale del consumo di cannabis è stata corretta.
È lo stesso Carlo Giovanardi, insieme al sottosegretario alla Salute Cesare Cursi, a Palzzo Chigi ad illustrare ora il decreto ministeriale con il quale vengono fissati i limiti quantitativi massimi di sostanze stupefacenti per la nuova legge sulle tossicodipendenze. Ma il ministro ne ha già parlato ieri da Vicenza ad un convegno di partito, il congresso nazionale del movimento giovanile Udc. Lì Giovanardi è peraltro intervenuto soprattutto a sostegno della "sua" legge. «Le tabelle relative alla quantità di stupefacente oltre la quale scatteranno le sanzioni penali previste dalla nuova legge – l'ha difesa - sono improntate a buon senso e misura. Sono state definite da illustri tossicologi e verranno presentate domani a Roma i una conferenza stampa».
«Con questo - ha proseguito Giovanardi - la legge potrà essere compiutamente attivata in tutte le sue parti». È invece pretestuosa, secondo il ministro, la polemica di chi accusa il governo di aver studiato una legge che porterà più tossicodipendenti in carcere. «La legge non dice questo - continua a difenderla Giovanardi - anche se c'è ancora molta gente che lo sostiene non avendo letto bene il provvedimento. Per i tossicodipendenti ci saranno maggiore prevenzione e maggiori possibilità di recupero. La linea dura invece è riservata agli spacciatori e all'attività della criminalità organizzata. Gli spacciatori di morte troveranno -ha concluso Giovanardi- la linea dura dell'Italia».
Il farmacologo Silvio Garattini fa notare che i limiti hanno «una valenza amministrativa più che scientifica». E sottolinea come «fondamentale che l'espressione quantità consentite non sia confusa o assimilata al concetto di quantità non nocive, perché qualsiasi dose di droga è potenzialmente dannosa».
Franco Corleone, ex sottosegretario alla giustizia e presidente di "Forum droghe" mette l'evidenziatore invece sulla assurda repressività della legge: «Per il possesso di più di 500 milligrammi di principio attivo di canapa si sarà processati come spacciatori presunti con una pena prevista da <?xml:namespace prefix = st1 ns = "urn:schemas-microsoft-com:office:smarttags" />6 a 20 anni di carcere. Questa triplicazione delle pene rispetto a quelle attuali, già alte, provocherà più arresti, più detenuti, più vittime. La conseguenza sarà l'esplosione delle carceri e la disperazione nelle famiglie».

La legge viene duramente attaccata dagli antiproibizionisti, tra cui Vladimir Luxuria, attiva da anni nella comunità transgender romana, candidata di Rifondazione comunista e collaboratrice di Liberazione. «Essere antiproibizionisti -osserva Vladimir Luxuria- significa non condannare un ragazzo che fuma una canna al carcere né regalare soldi alle mafie».

Luxuria, risponde poi alla malevolenza con cui è stato apostrofato ieri sera, senza possibilità di replica, dal presidente del consiglio Silvio Berlusconi durante il faccia a faccia televisivo con Romano Prodi. «Berlusconi ha dichiarato che io regalerei spinelli. Non ho mai regalato spinelli in vita mia né mai lo farò – replica stamattina Luxuria -. Il centrodestra ha capito di aver sbagliato tattica dopo avermi attaccata per il mio orientamento sessuale adesso mi vogliono dipingere come spacciatrice». Luxuria considera comunque la chiamata in causa indebita di Berlusconi come un segnale di nervosismo «la tipica agitazione da vigilia della sconfitta: lui sì che farebbe bene a farsi una canna».
 
 
 
04.04.2006
Palermo, dopo 35 anni il processo per l'omicidio di Mauro De Mauro

di
red(l'Unità)

Trentacinque anni, e la verità sembra ancora lontana. Trentacinque anni dopo l'omicidio di Mauro De Mauro, giornalista del quotidiano di Palermo L'Ora, si è finalmente aperto il processo per uno degli omicidi di mafia più misteriosi e più politicamente connotati. Unico imputato Totò Riina, che partecipa all'udienza in videocollegamento dal carcere di Milano.

«Finalmente ci siamo, con orgoglio e emozione pronuncio queste parole, ma anche con amarezza e malinconia, perché dopo 35 anni da quella maledetta sera apriamo il dibattimento per l'omicidio di Mauro De Mauro» ha esordito il pubblico ministero Antonio Ingroia in apertura del dibattimento. «Dopo una storia giudiziaria tormentata - afferma Ingroia - ci ritroviamo qui, finalmente, a processare il capo di Cosa nostra. Ma i 35 anni che separano la scomparsa di De Mauro dall'avvio del processo creano amarezza e malinconia. Tanti testi non sono più tra noi. E chiederemo che i verbali di interrogatorio vengano acquisiti». «Questa è un'occasione unica - aggiunge il pm - per dimostrare che la giustizia arriva sempre anche se a distanza di tanti anni».
Mauro De Mauro scomparve la sera del 16 settembre 1970 e il suo corpo non venne mai trovato. L'omicidio De Mauro è ritenuto dall'accusa un «giallo». Nell'aula si rivivrà il film dell'Italia nera, la stagione dei misteri; sfileranno testimoni eccellenti, fra cui molti giornalisti, il prefetto Mario Mori, il regista Francesco Rosi e il senatore Emanuele Macaluso. I consulenti della Procura parlano della scomparsa di De Mauro come di un buco nero, un giallo che si innesta in un periodo storico e politico in cui vi era «la strategia» della tensione, il golpe Borghese, i successivi tentativi di colpi di stato e l'attentato a Enrico Mattei.
«Il delitto di Mauro De Mauro è un omicidio di mafia e non solo», dice Antonio Ingoia. «La mafia in questo omicidio ha le proprie responsabilità - afferma il pm - ma ve ne sono anche di altri ambienti. De Mauro non dava fastidio solo a Cosa nostra». Secondo il magistrato sin dall'apertura dell'inchiesta vi sono stati «depistaggi» e i punti su cui ricercare sono fissati in quelli che riguardano l'attentato a Enrico Mattei, ma anche alla preparazione del golpe Borghese. «Accetteremo il movente di questo complesso delitto - afferma Ingroia - Cosa nostra si sentiva minacciata dall'attività di De Mauro. Oggi non conosciamo più quel buon giornalismo d'inchiesta sulla mafia che conduceva De Mauro». Antonio Ingroia ha ricordato anche gli altri giornalisti uccisi da Cosa nostra, tra cui Beppe Alfano, Mauro Rostagno e Mario Francese. «Abbiamo l'esigenza di ricostruire in aula la Palermo di quegli anni, gli interessi di Cosa nostra di quegli anni per comprendere quanto l'attività di Mauro De Mauro abbia messo in serio pericolo gli interessi di Cosa nostra al punto di essere sequestrato e ucciso». Tra i pentiti citati dal pm nel corso del processo ci sono: Francesco Di Carlo, Gaspare Mutolo, Leonardo Messina, Antonino Calderone, Salvatore Cucuzza e Francesco Marino Mannoia. Ma c'è anche un collaboratore che non proviene da ambienti della criminalità mafiosa bensì dalla destra eversiva, cioè Paolo Bianchi.
 
 
CONTRORDINE
In nome del popolo

ALESSANDRO ROBECCHI (il manifesto del 2 aprile 2006)

Una parola si aggira per l'Italia, indistinta come un fantasma, tirata qui e là per la giacchetta (frase in voga), evocata ad ogni passo e allegramente rimbalzante nelle cronache politiche. È la parola «popolo». Ultimo a chiamarla a gran voce, l'ineffabile Silvio, che ha annunciato l'intenzione di creare un Partito del Popolo, forse senza accorgersi che così sembrerà un cinese. Il popolo, cioè tutti. Come spesso capita, il primo a riprendersi dallo stupore, a destra, è stato Follini: Silvio non aveva ancora finito la frase e già quello gli faceva marameo, seguito dal gelo di Casini e di Fini. Insomma, il popolo evocato da Silvio, che già di suo era mezzo popolo, si spacca, e almeno metà di quella metà di popolo lo manda al diavolo. Un buon inizio. Del resto la parola popolo ha tante accezioni, una delle quali è «ceti popolari»; che Silvio faccia il partito dei ceti popolari sembra davvero strabiliante, visto quanto si è impegnato a bastonarli fin qui. Poi ci sono le sentenze «in nome del popolo italiano », e risulta che Silvio non le gradisca. Ma non andiamo oltre: sul populismo del premier non c'è molto da dire in aggiunta a quanto si dice da anni e alle decine di prove pratiche cui l'anziano bellimbusto ci sottopone ogni giorno. Veniamo invece ai numerosi usi impropri di questa parola «popolo» che ogni giorno, anche senza che ce ne accorgiamo, ci viene cambiata sotto gli occhi. Il gergo economico fa grande uso del termine: il popolo delle partite iva, il popolo dei bot, il popolo del risparmio, e via così. Insomma: il senso di appartenenza al popolo è diventato, senza più nemmeno discuterne un momento, semplicemente e univocamente un senso di appartenenza economico. Nei telegiornali, nelle cronache finanziarie, «popolo» è chi ha gli stessi interessi di bottega, addirittura chi ha scelto lo stesso investimento. Per paradosso, quando il popolo è lavoratore, la parola gli viene elegantemente negata e in un abile testacoda della lingua c'è il «popolo dei bot», ma gli edili (o i tessili o i metalmeccanici) sono «categoria», mica popolo. Se esiste una crisi delle ideologie, non ha ancora messo mano al dizionario, insomma, perché nelle parole l'ideologia (quella di Silvio) sembra viva e vegeta. Si è detto in questi giorni della irrimediabile erosione della parola. Popolo? Consumatori? Clienti? E via elencando. Caratteristiche qualitative. La prima truffa comincia invece dalla quantità, e succede sempre più spesso che si faccia passare una piccola, a volte minuscola, quantità di gente per «il popolo». Esempio: si caccia dal Grande Fratello uno di quegli sfaccendati in cattività, e la conduttrice dice che l'ha cacciato ben il 52 % degli italiani. È una palmare fesseria: al massimo sarà il 52 % di quelli che (guardando il programma) si sono presi la briga di buttare qualche soldo per votare al telefono. Alcune migliaia di persone diventano, per magia, «gli italiani». Non è un caso che questo meccanismo truffaldino abbia per paradigma nazionale l'Auditel, che garantisce la quantificazione degli ascolti televisivi. Anche qui, siamo alla finzione: se il 20 % guarda la partita, non stiamo parlando del 20 % del popolo, ma del 20 % di quel popolo che in quel momento aveva la tivù accesa. È popolo, dunque, ma per finta: un altro caso in cui si chiama popolo una minoranza. È notizia di questi giorni che Mediaset, un braccio armato di quell'ideologia, sia finalmente riuscita (ci provava da tempo) a cambiare le regole del conteggio di questo «popolo» televisivo. Non verranno più contati nello share tutti I telespettatori, ma soltanto i telespettatori compresi nella fascia tra i 15 e i 64 anni. Motivo semplice, e spiegato con estremo candore: il popolo sotto i 15 anni e quello sopra i 64 non sono interessanti per il mercato. Troppo piccoli o troppo anziani per rispondere con il dovuto entusiasmo ai solleciti del consumo. Non spendono abbastanza, maledetti, ed eccoli espulsi dal popolo, persino da un popolo finto come quello dell'Auditel. Si conferma dunque, nei fatti, l'ideologica equivalenza tra popolo e pubblico, ma in più si va oltre: sarà «popolo» (misurato) solo il pubblico pagante, cioè quello amato dai pubblicitari. Nella feroce, assurda, e a tratti sublime campagna elettorale, questo faccenda del popolo è una notazione in margine, al margine estremo. Eppure, visto che tanto si parla di berlusconismo con o senza Berlusconi, direi che l'evoluzione della parola popolo spiega bene cosa sia successo in questo paese, sempre «a metà tra la tragedia e il folklore».
 
 
 
Comprereste un Bellachioma usato?
di MARCO TRAVAGLIO (l'Unità – 1 aprile 2006)
 
Ha ragione il Caimòna: «Come fidarsi di uno che fa le sedute spiritiche?».
Prodi dovrebbe spiegare la vera storia della seduta spiritica che avrebbe messo lui e un gruppo di amici bolognesi sulle tracce del covo brigatista di Via Gradoli durante il sequestro Moro, nell'aprile 1978. E' evidente che la versione del bicchierino, o piattino, che si muove fino a formare la scritta "Gradoli" è un espediente per coprire una fonte che, 28 anni fa, doveva restare coperta, probabilmente dell'autonomia operaia. Ma ora si può dire la verità. Non perché le sedute spiritiche, vere o presunte, siano un reato o una vergogna. Anzi: quella soffiata, se presa sul serio, avrebbe portato dritto al covo strategico dei terroristi che tenevano prigioniero Aldo Moro; ma purtroppo il formidabile apparato di sicurezza del governo Andreotti e del ministro dell'interno Cossiga pensò bene di ignorare via Gradoli a Roma e cinse d'assedio l'omonimo paesino dei Castelli. Della qual cosa il Caimòna potrebbe chiedere spiegazione al suo alleato a giorni alterni Cossiga, o magari all'ottimo Pisanu, all'epoca ai vertici della segreteria Dc. O magari ai suoi confratelli della P2, che impreziosivano il comitato di crisi allestito al Viminale con uno strano "esperto" giunto in omaggio dagli Usa,
Dunque fare chiarezza sulla seduta spiritica. Noi ci auguriamo che la faccia Prodi.
Ma, se il Caimòna ha proprio urgenza di sapere, non ha che da rivolgersi a un suo ministro, che alla seduta vera o presunta partecipò: Mario Baldassarri di An.
Si potrebbe fare così. Prodi risponde sulla seduta.
In cambio il premier risponde a un paio di domandine facili facili che però restano inevase da diversi anni. Gliele riepiloghiamo, per sua comodità.
1. Come fidarsi di un tizio che, quando il Tribunale di Palermo gli chiede dove ha preso 250 milioni di euro confluiti, in parte in contanti, nelle sue holding dal 1975 al 1985, e che ci facesse un boss mafioso nella sua villa travestito da stalliere fra il 1974 e il '76, si avvale della facoltà di non rispondere?
2. Come fidarsi di un tipo che è riuscito a frequentare, in una sola vita, Vittorio Mangano, Gaetano Cinà, Marcello Dell'Utri, Cesare Previti, Bettino Craxi, Silvano Larini, Licio Gelli, Flavio Carboni e Gianpiero Fiorani (elogiato ancora ieri come un benefattore)?
3. Come fidarsi di un imprenditore imputato di corruzione di teste, frode fiscale e appropriazione indebita, miracolato da sei prescrizioni per corruzione giudiziaria e falso in bilancio, salvato da due condanne per amnistia e per la depenalizzazione di un suo reato, circondato da collaboratori che trattavano con la mafia, corrompevano giudici e ufficiali della Finanza, emettevano false fatture, frodavano il fisco, truccavano bilanci, accumulavano fondi neri senza che lui si accorgesse di nulla?
4. Come fidarsi di un tale che per tre anni fu iscritto a una loggia massonica coperta e poi sciolta in quanto eversiva, la P2, il cui gran maestro fu condannato per i depistaggi sulle stragi?

5. Come fidarsi di un cattolico-modello che fa la comunione, entra ed esce dal Vaticano, si circonda di preti e suore, inneggia ai valori della vita e della famiglia, ma è massone e divorziato?
6. Come fidarsi di un premier che insulta tutti i magistrati italiani, mentre elogia il lavoro nero e l'evasione fiscale (raddoppiata sotto il suo governo) e giustifica la corruzione?
7. Come fidarsi di uno statista che ha portato in Parlamento, al governo o nello Stato una cinquantina di suoi avvocati e dirigenti aziendali, approvando 30 leggi per risolvere le sue pendenze penali, televisive, editoriali e pubblicitarie?

8. Come fidarsi di un magnate che aveva promesso "governerò l'Italia come le mie aziende" e, quando entrò in politica, aveva accumulato con le sue aziende 6 mila miliardi di lire di debiti?
9. Come fidarsi del premier di una Repubblica fondata sull'antifascismo che riabilita Mussolini, si allea con i fascisti, poi va ad Auschwitz a piangere e a promettere di portarci i suoi figli ("Ho già prenotato"), salvo poi scordarsi anche quell'impegno e, già che c'è allearsi persino con i nazisti?
10. Come fidarsi di un ometto di Stato di cui non si fidano nemmeno all'estero, uno che racconta frottole su tutto, anche sul Milan ("Non comprerò Nesta", "Non prenderò Gilardino"...), uno che nel 2001 firmò un Contratto con gli italiani con cinque promesse e l'impegno a non ricandidarsi nel 2006 se non ne avesse mantenute almeno quattro ma, ora che non ne ha mantenuta nemmeno, una si ricandida?
 
 

Proprio non si capisce
(di Marco Travaglio)

"Non si capisce come ci possano essere certe situazioni in cui chi è già stato condannato sia ancora a piede libero e possa commettere reati. Bisogna domandarsi come questo possa succedere. Questa deve essere una risposta che deve dare la magistratura".

(Silvio Berlusconi, Rai1, 3 aprile 2006).

"Roma. La III sezione penale della Cassazione ha reso definitiva la condanna per false fatturazioni e frode fiscale a Marcello Dell'Utri per un totale di due anni e tre mesi di reclusione".
(Ansa, 28 ottobre 1999).

"Palermo. Marcello Dell'Utri condannato dal Tribunale di Palermo a nove anni di reclusione per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa e all'interdizione perpetua dai pubblici uffici".
(Ansa, 11 dicembre 2004).

"Milano. Confermata la condanna a Cesare Previti nel processo d'Appello Sme. I giudici della corte d'appello di Milano hanno ribadito la condanna per il senatore di Forza Italia a cinque anni di reclusione".
(Ansa, 2 dicembre 2005).

"Milano. La Corte d'appello di Milano ha condannato Cesare Previti e Attilio Pacifico a sette anni di reclusione per corruzione di giudici nell'affare Imi-Sir. Il loro comportamento, secondo i giudici della seconda sezione della Corte d'appello di Milano, si chiama corruzione. Corruzione 'attiva' dell'ex capo dei gip di Roma, Renato Squillante, che nel '91 si sarebbe prodigato per assicurare un esito positivo alla causa che vedeva opposti l'Imi e la Sir di Nino Rovelli che ricevette come risarcimento mille miliardi dall'istituto di credito".

(Ansa, 23 maggio 2005). 
  
  
 

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