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Post N° 16

Post n°16 pubblicato il 29 Marzo 2006 da erasmus09

28.03.2006
Istat: un'Italia a crescita zero. Il Pil appena allo 0,1% nel 2005

di
red.(l'Unità)

Il prodotto interno lordo italiano è cresciuto dello 0,1% nel 2005, secondo quanto rende noto l'Istat che ha diffuso le stime dei conti economici trimestrali riferiti al quarto trimestre dello scorso anno. Sono state quattro le giornate lavorative in meno del 2005 rispetto al 2004. I contributi alla crescita mostrano un calo della domanda domestica, una flessione per gli investimenti a fianco di un contributo nullo dall'export netto e un accumulo delle scorte.
L'Istat ha anche detto che a parità di giorni lavorativi il pil 2005 ha registrato una crescita di 0,1% rispetto al 2004.

Le importazioni di beni e servizi - riferisce sempre l'Istituto di statistica - sono aumentate dello 0,6%, il totale delle risorse (prodotto interno lordo e importazioni di beni e servizi) è cresciuto dello 0,1%. Dal lato della domanda, le esportazioni sono aumentate dello 0,5%, gli investimenti fissi lordi sono diminuiti dell'1,7% e i consumi finali nazionali sono diminuiti dello 0,1%.
La spesa delle famiglie residenti è diminuita dello 0,3%, quella della pubblica amministrazione e delle istituzioni sociali private è cresciuta dello 0,2%.
La diminuzione degli investimenti è stata determinata da una contrazione del 2,8% negli acquisti di mezzi di trasporto, del 3% degli investimenti in macchine, attrezzature e altri prodotti, e dello 0,2% degli investimenti in costruzioni.

Nel quarto trimestre del 2005 si rilevano andamenti congiunturali positivi del valore aggiunto per il settore che raggruppa le attività del commercio, alberghi e pubblici esercizi, trasporti e comunicazioni (+0,2%), per il settore del credito, assicurazioni, attività immobiliari e servizi professionali (+0,2%) e per gli altri servizi (+0,1%).
L'industria in senso stretto e il settore agricolo hanno invece subito una contrazione dello 0,2%, le costruzioni dello 0,5%. In termini tendenziali, il valore aggiunto dei servizi è cresciuto dell'1%, quello delle costruzioni dello 0,3% e quello dell'industria in senso stretto dello 0,1%. L'agricoltura - conclude l'Istat - ha registrato una flessione del 6,2%.
 
 
 
28.03.2006
"Bambini bolliti", Prodi: «Un'altra gaffe di Berlusconi»

di
r. g.(l'Unità)

«Nella Cina di Mao i comunisti non mangiavano i bambini, ma li bollivano per concimare i campi». Non si sa su quali prove documentali Silvio Berlusconi abbia potuto fare un'affermazione come questa, domenica a Napoli. Ma certo è che i cinesi non l'hanno intesa come una gag, non hanno riso -del resto il premier voleva spaventare e non far ridere – e non se la sono dimenticata. Così proprio oggi, mentre il ministro Pietro Lunardi cercava di firmare un'intesa commerciale nel settore dei trasporti, la storia dei cinesini bolliti è tornata fuori come i pagliacci cattivi dalle scatole. Un caso diplomatico.

La Cina, che festeggia il 2006 come anno dell'Italia, protesta ma non ufficialmente per le parole del premier Silvio Berlusconi. «Siamo scontenti di queste chiacchiere senza senso», afferma il ministero degli Esteri cinese in una dichiarazione inviata per fax a Roma. «Le parole e le azioni dei leader italiani dovrebbero andare a beneficio della stabilità e dello sviluppo di relazioni amichevoli tra Cina e Italia». Domenica scorsa Berlusconi, accusato di nutrire una vera e propria ossessione per la «minaccia comunista» in Italia, aveva detto che i comunisti hanno storicamente bollito i bambini, per farne fertilizzanti.
Berlusconi aveva citato, a proposito dei bambini usati nei campi come concime, "Il Libro nero del comunismo". E lì, la fonte è il giornalista americano Jasper Bercker, il quale però in realtà nelle sue opere parla del cannibalismo ricorrente durante le carestie in Cina, cita episodi di bambini rapiti e uccisi per essere mangiati. Mentre non ci sono citazioni di bambini uccisi per essere usati come letame.
Il cannibalismo come pure l'infanticidio sono un tema ricorrente nella letteratura cinese, come ricorda Berker, fin da migliaia di anni fa. E infatti quello dell'antropofagia resta un tema che persiste anche nella letteratura contemporeanea. Lu Xun ne parla appunto facendo riferimento agli sconvolgimenti sociali e psicologici della Cina del Grande Balzo, tra draghi e orchi vissuti come presenze vive, personaggi reali quanto quelli umani.
Del resto episodi storici di questo tipo sono documentati sin dall'epoca Ming e addirittura prima, durante le guerre degli ultimi secoli. Gli archivi del Partito comunista sono stati recentemente aperti a un ricercatore cinese, Zheng Ya, alla ricerca di casi di cannibalismo e infanticidio in una zona agricola del Guanxhi nel 1968. E questo lascia in sospeso un approfondimento molto complicato nella cultura orientale, nella concezione della morte, del bambino e dei tabù della loro millenaria cultura della Cina.
Si sta parlando comunque di una Cina pre-industriale. Mentre il "Libro nero del comunismo" si riferisce alla Cina del Grande Balzo in avanti, l'industrializzazione a tappe forzate imposta da Mao dal 1959 al 1962. Comunque oltre quarant'anni fa.
Domenica, lo stesso giorno in cui il premier ha estrapolato questo riferimento ai bambini uccisi dai "comunisti", papa Ratzinger e i suoi ministri vaticani hanno fatto una prima "storica" apertura al governo di Pechino. Dopo la recente porpora al neocardinale di Hong Kong Joseph Zen Ze Kiun e nella speranza che il regime smetta di perseguitare i cristiani cinesi, il "ministro degli Esteri" della Santa Sede Giovanni Lajolo ha persino fatto balenare il «grande desiderio» di Benedetto XVI di andare a Pechino, una visita che potrebbe vedersi realizzata tra un paio di anni, nel 2008, l'anno delle prime Olimpiadi cinesi.
Nel frattempo l'Occidente cerca di mantenere rapporti sempre migliori con la Cina, un colosso dove la produzione industriale – dati di metà marzo- corre al ritmo del 16,2% sull'anno scorso o del 20,1%, come è stato a febbraio. La Banca Mondiale stima che la crescita cinese quest'anno sarà dell'8,9%, un punto in meno dei risultati dell'anno scorso.
Secondo il Global information technology report, del World economic forum, quanto a tecnologia, nella classifica guidata dagli Usa, oggi la Cina è solo al cinquantesimo posto su 115 paesi ma segue dappresso l'Italia (che è al 42°). Pechino detiene comunque la più grande riserva di valuta del mondo, con i suoi 853,7 miliardi di dollari americani.
E così - in barba alle parole di Berlusconi e del plauso di Alessandra Mussolini- oggi Pietro Lunardi e il vice ministro delle comunicazioni cinese Weng Mengyong hanno firmato una dichiarazione d'intenti e di collaborazione tra Italia e Cina per la progettazione e la gestione di infrastrutture stradali, di sistemi ferroviari ad alta velocità, per la progettazione di grandi stazioni, sviluppo delle relazioni in campo marittimo e portuale e la creazione e gestione di piattaforme logistiche.
Ma il governo è schizofrenico. Mentre Lunardi cerca di fare il gentile con il collega cinese, il ministro Giulio Tremonti sulla videochat del Corsera.it riprende il tema dell'antropofagia e dice che i cinesi «ci stanno mangiando vivi» e che dal punto di vista economico e commerciale «dobbiamo mettere dazi e quote».
«Ma vi rendete conto?», domanda Romano Prodi a Formia dopo la visita a casa di Vittorio Foa, «vi rendete conto dell'offesa fatta a una popolazione di un miliardo e trecentomila persone, che se anche la metà se lo dimentica, seicentocinquanta milioni di persone se lo ricordano... siamo screditati all'estero».
E fiocca la polemica. Prodi «è preoccupato di nascondere i crimini commessi dal comunismo nel secolo scorso», sostiene l'azzurro Antonio Tajani, e questo a suo dire «dimostra una fragilità politica perché la parte estrema della sua coalizione, da Rifondazione al Pdci all'area no global non condividono questa condanna». Sottoscrive anche Lorenzo Cesa, segretario Udc.
«Non solo bollivano i bambini ma se li mangiavano pure. Lo dice la storia», sintetizza l'ex ministro leghista Roberto Calderoli, pronto con le magliette dei cinesini in pentola.
Nel tripudio anticomunista c'è persino il presidente dei deputati di Forza Italia, Elio Vito, che tira fuori Ocalan, il leader del Pkk, per dimostrare che il «centrosinistra protegge i terroristi».
Roberto Villetti della Rosa nel Pugno fa notare che con queste esternazioni dannose, il premier dimostra di non sentirsi più un uomo di governo, ma d'opposizione. Mentre per il Pdci il governo Berlusconi non fa che inanellare figuracce in politica estera. «Dopo la Libia, dopo l'Olanda, dopo la Francia, tocca al continente asiatico», elenca Clemente Mastella. Mentre il presidente dei senatori di Forza italia Renato Schifani cerca di rimediare con un colpo di poesia e dice che ora «su Prodi ci sono ombre cinesi».
 
 
Il cavalier Bugiardoni
di Marco Travaglio

da MicroMega-La Primavera n° 4 del 23 marzo 2006

«Vorrei concludere ricordando una breve storia. La storia di un ragazzo che alla fine degli studi liceali fu portato dal padre a visitare il cimitero in cui riposano molti giovani valorosi soldati che avevano attraversato l'Oceano per ridare libertà e dignità a un popolo oppresso. Nel mostrarmi quelle croci, quel padre fece giurare a quel ragazzo che non avrebbe mai dimenticato il supremo sacrificio con cui quei soldati americani avevano difeso la sua libertà... Quel padre era mio padre, quel ragazzo ero io. Quel giuramento non l'ho mai dimenticato e non lo dimenticherò mai» (discorso al Congresso americano, 1-3-2006).

Per alcuni giorni gli osservatori s'interrogano su quale cimitero di caduti americani abbia visitato il giovane Silvio, visto che in tutta la Lombardia ci sono soltanto 400 tombe di caduti Usa. Poi, il 6 marzo, rispondendo a un giornalista a Telelombardia, Berlusconi svela l'arcano: «Era il cimitero di Nettuno ad Anzio» (come se le due località fossero la stessa cosa).
Si intuisce subito che sta improvvisando, anche perché poi aggiunge: «Mio padre era un grande estimatore di De Gasperi e andava spesso a Roma quando c'erano delle situazioni con lui. Una volta portò anche me e l'indomani mi condusse al cimitero. Avevo vent'anni, era il 1956 o il 1957». Ma purtroppo De Gasperi è morto il l9 agosto 1954: un anno prima che il giovane Silvio (classe 1936) si diplomasse e due-tre anni prima della sua presunta missione al cimitero di «Nettuno ad Anzio». Che evidentemente è frutto della sua sconfinata fantasia.
 
«Non ho mai conosciuto l'avocato Mills. Può darsi che gli abbia stretto una volta la mano ad Arcore, come la stringo a decine di persone ogni giorno, ma senza conoscerlo» (a Telelombardia, 6-3-2006).
Anche questo è falso. Come risulta da un appunto sequestrato a David Mackenzje Mills — l'avvocato inglese che architettò il comparto estero e occulto della Fininvest nei paradisi fiscali e che lavora per il gruppo Berlusconi da fine anni Ottanta — il 23 novembre 1995 il Cavaliere parlò con lui al telefono da Milano a Londra: erano trascorsi appena due giorni dal nuovo mandato di cattura spiccato dai giudici di Milano contro il latitante Bettino Craxi, per 10 dei 23 miliardi versatigli in Svizzera dalla All lberian. «Quando ho parlato a Silvio Berlusconi giovedì», annota Mills, «lui ha insistito sul fatto che le ultime accuse sono motivate politicamente. Sono bombe politiche perché ora i giudici di Mani Pulite sono in grado di affermare che dietro a questo pagamento a Craxi ci sia Berlusconi...»
Da un altro documento sequestrato a Mills emerge che qualche mese prima, nel luglio 1995, l'avvocato aveva incontrato Berlusconi, accompagnato dalla figlia maggiore Marina, ai Garrick Club di Londra, e lì i due avevano discusso delle Società estere del gruppo.

 
«L'editoriale di Mieli sul Corriere della Sera dimostra che la sinistra ha conquistato un altro pezzo di società, applicando la teoria gramsciana della conquista delle casematte del potere. D'altra parte era proprio Mieli il direttore di quel Corriere che annunciò l'avviso di garanzia contro di me in pieno G7 a Napoil» (a Porta a porta 8-3-2005).
L'editoriale di Mieli non è una novità, visto che già nel 1996 il direttore del Corriere firmò un editoriale alla vigilia delle elezioni augurandosi la vittoria di Prodi dopo il rovinoso fallimento del primo governo Berlusconi, durato appena 7 mesi e rovesciato da Umberto Bossi. La stessa cosa faceva, a ogni elezione locale o nazionale, Indro Montanelli sul Giornale edito da Berlusconi, invitando a votare per la Dc («turandosi il naso», nel 1976) o per i partiti laici del pentapartito, in funzione non certo gramsciana, ma anticomunista. Montanelli fece altrettanto invitando i lettori della Voce a votare per il Centro di Segni-Martinazzoli nel 1994 e, sul Corriere, si espresse per Prodi nel 1996 e nel 2001. Si tratta di una prassi di trasparenza tipica non dei paesi comunisti, ma della migliore tradizione della stampa anglosassone.
Quanto al preannuncio dell'avviso di garanzia durante il G7 di Napoli sul Corriere dei 22 novembre 1994, è una triplice menzogna.
1) Non era un avviso di garanzia, ma un invito a comparire, cioè un atto dovuto per legge, visto che si rendeva necessario interrogare urgentemente il premier. A suo carico, infatti, erano emersi gravi indizi di complicità nelle tangenti Fininvest alla guardia di finanza e nel depistaggio delle indagini attivato da Massimo Maria Berruti (ex ufficiale della guardia di finanza, poi passato al gruppo Berlusconi come avvocato, e oggi deputato di Forza Italia) subito dopo una visita a palazzo Chigi. L'urgenza derivava dalla necessità di sentire Berlusconi e Berruti separatamente ma contemporaneamente su quell'incontro cruciale.
2) In quel momento a Napoli non si teneva alcun vertice del G7 (tenutosi nel mese di giugno), ma una conferenza internazionale sulla criminalità, che inizialmente Berlusconi contava di inaugurare soltanto nella prima giornata, lunedì 21 novembre, per poi rientrare a Roma in serata. Questo almeno risultava ai carabinieri, che infatti, incaricati dal procuratore Borrelli di recapitargli il plico, si recarono a Roma e non a Napoli. A palazzo Chigi appresero che Berlusconi aveva cambiato idea, trattenendosi a Napoli un altro giorno. Allora lo chiamarono al telefono e in tarda serata riuscirono a leggergli parte dell'invito a comparire, che conteneva tre capi d'imputazione. Dopo il secondo, però, il premier buttò giù la cornetta infuriato.
L'indomani il Corriere della Sera riportò soltanto due dei tre capi d'imputazione:
guardacaso quelli che Berlusconi conosceva. Il che, come ha ripetuto di recente, dimostra che la fuga di notizie al Corriere della Sera partì dall'entourage del Cavaliere, e non dai pm o dagl'investigatori, che le accuse le conoscevano tutte e tre per intero.

3) Il Corriere non preannunciò dunque un bel nulla al premier, la mattina di martedì 22 novembre; dalla sera prima Berlusconi sapeva di essere indagato per corruzione. Ciononostante decise di presiedere anche quel giorno il forum sulla criminalità. Ergo fu lui, e non la procura di Milano, a esporre l'Italia al ludibrio internazionale, pur di dirottare l'attenzione generale sulla (inesistente) violazione del segreto investigativo, anziché sulla vera notizia grave: il premier italiano coinvolto nelle tangenti pagate da tre sue aziende alla guardia di finanza.

 
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