ArteNet
ArteNet nasce dal desiderio di condividere l'interesse per l'arte intesa nel suo significato più ampio: dalle arti figurative alla musica, al cinema, al teatro e ai libri, nella convinzione che, come scrive Brecht, “tutte le arti contribuiscono all'arte più grande di tutte: quella di vivere”.
Illustrazione di Davide Bonazzi
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Medea
di Lars von Trier (1988)
Medea: Kristen Olesen
Giasone: Udo Kier
Creonte: Henning Jensen
Glauce: Ludmilla Glinska
Fotografia: Sejr Brockmann
Colonna sonora: Joachim Holbek
All'interno del palazzo Medea urla di dolore e di follia, informa la nutrice. Figlia del re di Colchide, ha aiutato Giasone a conquistare il vello d'oro, tradendo così la propria famiglia. Lo ha seguito fino in Grecia, credendo che il suo amore per lei e per i figli avuti da lei sarebbe stato sufficiente a farle dimenticare il disagio della condizione di forestiera. Ma ora Creonte, il re, offre a Giasone il matrimonio con la sua giovane figlia Glauce. Medea minaccia vendetta.
Così, nel 431 a.C., si apriva la Medea di Euripide.
Lars von Trier apre sul mare.
La sua resa della Medea non è filologica, come l'aveva immaginata invece Carl Theodor Dreyer, autore della sceneggiatura a cui von Trier si è ispirato per la realizzazione del suo film.
Il regno di Creonte è spostato nello Jütland, Medea uccide i suoi figli impiccandoli e non colpendoli con un pugnale, non c'è coro a garantire una percezione collettiva della tragedia di Medea, che in von Trier diventa, più modernamente, del tutto individuale. Lo scontro tra l'istinto e il calcolo, tra l'elemento femminile e quello maschile, tra le ragioni dell'amore e quelle del potere, tra il greco e lo straniero, che tanta letteratura secondaria ha cercato di vedere dietro la storia di Medea, lasciano qui il centro della scena al puro senso del tragico. Assoluto, acronico, eppure tremendamente ancestrale.
Senza più alcun elemento tematico di contorno, tutto si concentra sulla figura nera di una donna sola e determinata ad uccidere.
Gesti lenti e rituali, quelli di una maga quasi strega, segnano tutte le scene del film. Dall'incontro iniziale con la barca di Egeo in viaggio verso l'oracolo, fino alla partenza verso Atene su quella stessa barca, ogni atto di Medea è segnato da solennità sacrale e lucidità folle: la raccolta di semi velenosi durante la negoziazione con Creonte, che impone l'esilio a Medea e ai suoi figli e dal quale lei riesce a farsi concedere ancora un giorno; la fabbricazione del veleno che cospargerà sulla corona, dono di nozze e di falsa riconciliazione per Glauce; i due discorsi a Giasone, l'uno di minaccia, l'altro di mansueta sottomissione al suo volere; il trascinamento dei bambini addormentati in una lettiga di pelle; l'impiccagione prima del più piccolo, poi del più grande.
Il senso del male, del marcio di questa Danimarca euripidea, si fa visibile nel vento gelido che tormenta i volti e nel colore virato delle immagini, sgranate, pesanti per gli occhi come la storia deve esserlo per l'anima.
Un film lento e penetrante, che si muove al ritmo oscillante, quasi fermo eppure mai immobile, dell'acqua, leitmotiv visivo di tutta la pellicola.
Un film che merita di essere inseguito per giorni. Nato per la televisione danese, in Italia è apparso solo nella TV a pagamento nell'ambito di qualche rassegna tematica e non ha avuto distribuzione cinematografica.
Bisogna cercarlo da videotecari cultori e poi leggere i sottotitoli in italiano, godendosi di sottofondo un danese insieme dolce e gutturale, una specie di lingua sacra del male, se si ha la fortuna di non capirlo.
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Timidamente, mi affaccio alla rete con un blog creato per scambiare quattro chiacchiere con altri malati d'arte come me!
Mi auguro che ArteNet offra a tutti l'occasione per esprimere pensieri e opinioni e si configuri come un luogo virtuale in cui trovare informazioni e segnalazioni.
Grazie ai visitatori e a coloro che vorranno dare significato ad ArteNet con i loro contributi personali.
Bologna, 27 luglio 2008
Margherita
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