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MEDEA DI EURIPIDE (3/6)


Medèa:Donne corinzie, per fuggire il biasimouscita son, venuta a voi. Conoscomolti superbi: n'ho veduti io stessa,d'altri ho udito parlare; e v'ha chi tristafama lucrava d'albagia, per viveretroppo in disparte. Ma non bene gli uominisol per veduta giudicano, quandoc'è chi aborrisce altrui, senza conoscernel'animo a fondo, sol per vista, senzache torto n'abbia ricevuto. Un ospiteuniformarsi in tutto alla cittàdeve; né pure un paesano lodoche per troppa baldanza ai cittadiniriesce ingrato, o per serbarsi incognito.Su me piombò questo inatteso evento,e il cuore mi spezzò. Perduta io sono:piú non ho gioia della vita, e vogliomorire, amiche, quando l'uom che tutto,lo vedo or bene, era per me, lo sposomio, s'è mostrato il piú tristo degli uomini.Fra quante creature han senso e spirito,noi donne siam di tutte le piú misere.Ché, con profluvii di ricchezze primadobbiam lo sposo comperare, e accoglierlo- male dell'altro anche peggiore - despotadel nostro corpo. E il rischio grande è questo:se sarà tristo o buon: ché separarsenenon reca onore alle consorti, nérepudïar si può lo sposo. E, giuntaquindi a nuovi costumi, a nuove leggi,indovina dovrebbe esser: ché appresoin casa non ha già come piacerepossa allo sposo. E quando, a gran fatica,vi siamo giunte, se lo sposo vivedi buon grado con noi, se non sopportail giogo a forza, invidïata vitala nostra! Ma se no, meglio è morire.Quando in casa si cruccia, un uomo puòuscir di casa, e presso un coetaneo,presso un amico, cercar tregua al tedio:noi, di necessità, sempre allo stessouomo dobbiamo essere intente. Diconoche passa in casa, e scevra dai pericolila nostra vita, e invece essi combattono;ed hanno torto: ch'io lo scudo in guerraimbracciare vorrei prima tre volte,che partorire anche una sola. Maciò ch'io dico per me, male s'addicea te: la patria hai tu, la casa tua,agi di vita, consorzio d'amici:io sola sono, senza patria, e oltraggiomio marito mi fa, che me rapivada una barbara terra; e non ho madre,non fratello o parente, a cui rivolgerepossa l'approdo in questa mia sciagura.Ora io vorrei da te questo impetrare:se qualche via, se qualche astuzia io possoescogitare, onde allo sposo infliggadel mal ch'esso mi fa la giusta pena,tu non parlar: ché in tutti gli altri eventi,piena è la donna di paure, e vilecontro la forza, e quando vede un ferro;ma quando, invece, offesa è nel suo talamo,cuore non c'è del suo piú sanguinario.CORIFEA:Non parlerò, Medèa: ché sarà giustacontro il tuo sposo la vendetta; nése del tuo mal ti crucci, io n'ho stupore.Ma ve', Creonte, il re di questa terras'avanza, ad annunziar nuovi consigli.(Entra Creonte e si volge a Medèa)CREONTE:A te che truce il guardo volgi, e pienadi cruccio sei contro lo sposo, impongo,Medèa, che tu da questa terra fuggaesule, e teco entrambi i figli tuoi,e che non tardi. E a che si compia l'ordineio veglierò; né a casa tornerò,pria che da questo suol non t'abbia espulsa.Medèa:Ahimè, son giunta all'ultima rovina!I miei nemici sciolsero le gomenetutte, e porto non è dove io rifugiotrovi dalla sventura. Eppur, sebbenein tante angustie, chiederò, Creonte,perché mi scacci dalla terra in bando.CREONTE:Di parole raggiri non occorrono.Temo che qualche male immedicabilealla mia figlia tu procacci; e molteragioni a tal sospetto mio concorrono.Scaltra di molte male arti maestrasei tu: pel letto, che ti fu rapito,del tuo consorte, sei crucciata; e sentoche tu minacci, a quanto pur mi dicono,che un qualche mal tu vuoi fare alla sposa,a chi la tolse, a chi la diede. Ed io,pria di patirlo, mi schermisco. Megliovenirti in odio, o donna, oggi, che deboleessere, e dopo amaramente piangerne.Medèa:Ahimè, ahimè!Non or la prima volta, anzi sovente,Creonte, a me nocque la fama, e moltidanni mi procurò. Mai non dovrebbenella scïenza un uom di retto sennotroppo scaltrire i figli suoi: ché, a partela fama ch'essi d'indolenza avranno,dai cittadini loro ostile invidiariscoteranno: ché se nuovi esprimifini concetti al vulgo, un perditempo,e non un dotto sembrerai. Se poimigliore sembrerai di quanti han famadi saper vario, in uggia ai cittadiniverrai. Tale destino anch'io partecipo.D'invidia a questi, d'acrimonia a quelli,la mia scïenza è obbietto; eppure, è piccolascïenza; e tu paventi adesso, ch'abbiaa patire da me qualche gran male.Ma non temermi: ch'io non son, Creonte,in tale stato che i sovrani insidii.Tu, che torto m'hai fatto? A chi ti dissel'animo, hai data la tua figlia. Il miosposo aborrisco, sí; ma d'uom di sennola tua condotta fu; né se a te prosperivolgon gli eventi, invidia io te ne porto.Celebrate le nozze, e a voi sorridafelicità. Ma vivere lasciatemiin questa terra. Io cederò, sebbenesoverchiata, ai piú forti; e tacerò.CREONTE:Dici parole a udir blande; ma nutroterror che in seno qualche insidia macchini.Perciò, di te mi fido adesso menodi prima. Vuoi da un uom, vuoi da una femminasúbiti all'ira, puoi guardarti meglioche da un muto rancore. Orsú, partiteal piú presto; e non far troppi discorsi.Fu deciso cosí; né tale un'artepossiedi tu, che rimanere possavicina a noi, quando ci sei nemica.Medèa:No, per le tue ginocchia, e per la sposa!CREONTE:Sperdi parole: non potrai convincermi.Medèa:Le preci mie non udirai? Mi scacci?CREONTE:Perché non t'amo piú della mia casa.Medèa:Quanto or m'assale il tuo ricordo, o patria!CREONTE:Anch'io su tutto, dopo i figli, l'amo.Medèa:Ahi, ahi, che gran malanno è amor per gli uomini!CREONTE:Sí, ma secondo il volger degli eventi.Medèa:Giove, chi causa fu del mal, tu scoprilo.CREONTE:O stolta, va', da queste pene affrancami.Medèa:Pene, io ne soffro; e aggiunte non mi servono.CREONTE:T'espelleranno presto, a forza, i famuli.Medèa:Non farlo, no, Creonte, te ne supplico.CREONTE:Noie vuoi darci, a quel che sembra, o donna.Medèa:Lascia che questo giorno almeno io resti,e il pensier volga a preparare il mododel nostro esilio, e per i figli mieiil viatico appresti, ora che il padredi provvedere ai figli suoi non cura.Abbi pietà di loro: anche tu seipadre; e devi per loro esser benevolo.Non mi curo di me, se in bando io vado;ma la sventura che li coglie, lagrimo.CREONTE:Punto l'umore mio non è tirannico,e spesso per pietà feci il mio male.Ed or vedo che sbaglio, o donna; eppureciò che brami, otterrai; ma ti prevengo:se la vampa del sol, dimani al sorgerevedrà te coi tuoi figli in questa terra,tu morrai: non sarà vana parola.(Esce)(segue)