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MEDEA DI EURIPIDE (4/6)


CORO:O donna infelice,ahi, ahi, le tue doglie ti rendonoben misera. Dove potrairivolgerti? In quale ospitaleo terra o magione,rifugio dai mal' troverai?In qual gorgo di mali, o Medèa,invisibili, un Dio ti sospinse?Medèa:Il mal mi stringe da ogni parte: chipotrà negarlo? Eppure, questo l'esitonon sarà degli eventi, oh, non crediatelo!Nuovi cimenti i nuovi sposi attendono,e non piccole angustie i loro suoceri.Pensi tu che Creonte avrei blanditosenza vantaggio averne, o senza insidia?Parlato non gli avrei, le sue ginocchianon avrei strette. Ed egli è giunto a talestoltezza, che potea, da questa terrascacciandomi, le mie trame deludere,e invece consentí ch'io rimanessiquesto dí, ch'io tre miei nemici ucciderevoglio: il padre, la figlia, e il mio consorte.E molti modi, o amiche, avrei d'ucciderli,e non so bene a qual m'appigli prima:se degli sposi arda la casa, o spingaun ferro acuto a lor traverso il fegato,entrando muta dov'è steso il talamo.Ma un punto a me s'oppone: ove sorpresafossi mentre io varco la soglia, e tramol'arti mie, sarò morta, ai miei nemicisarò di scherno oggetto. Oh, meglio assaibatter la via diritta, ov'io maestrasono eccellente: coi veleni ucciderli.Ahimè!Ecco, son morti. E in qual città trovareposso io rifugio? Quale ospite, offrendomiterra d'asilo, e casa invïolabile,la mia persona salverà? Nessuno.Dunque, attendendo breve tempo ancora,se per me qualche baluardo appaia,perseguirò con frode e con silenziola loro strage; e, dove poi m'incalzinosenza uscita gli eventi, un ferro stretto,a vïolenza aperta romperò,li ucciderò, morir dovessi, io stessa.Ché mai - lo giuro per la Dea che piúdi tutte l'altre venero, che all'operascelsi compagna, per Ecate, ch'abitanei penetrali della casa mia -niuno s'allegrerà che il cuor mio crucci.Amare e luttuose io renderòle nozze ad essi, amaro il parentadoe il bando mio da questa terra. Orsú,non risparmiar delle tue trame alcuna,Medèa, dell'arti tue: muovi all'orribilepunto: ché agone d'ardimento è questo.Vedi il sopruso che patisci? Oggettodi riso a nozze di Giasone, a nozzedi Sisifídi esser non devi tu,che figlia sei d'un padre illustre, e vantiavolo il Sole. Tu sei saggia. E poi,donne nascemmo, al bene oprare inette,ma d'ogni male insuperate artefici.(Si trae da parte e rimane muta ed assorta)CORO: Strofe primaAi fonti risalgono le sacre correnti dei fiumi:con tutte le cose tramuta Giustizia.Le menti degli uomini son piene di frode,piú saldi non restano i giuri dei Numi:la fama per essi tramutasi, e lodepartisce alla nostra progenie.Onore avran le femmine: piú la donnesca vitada trista fama non sarà colpita.Antistrofe primaDesister dai cantici vetusti dovranno le Muse,che usavan cantare la nostra perfidia.La lira ed il carme che ispiran gli Dei,Apollo, dei suoni signor, non infusea noi nella mente: ché allor levereiun inno alla stirpe degli uomini.Il volgere dei secoli narrare agevol rendenostre e d'uomini assai varie vicende.Strofe secondaDalla casa paterna un navigliofra le gemine rupi del pelagote, nel cuor delirante, rapiva.Or sopra terra estraneati trovi, e sposo e talamohai perduto, e in esiliovai bandita, meschina, e d'onor priva.Antistrofe secondaè vanito dei giuri l'ossequio,e Pudor piú non regna ne l'Ellade,ma per l'ètere a vol si perdé.A te, non piú la reggia del padre offre ricovero:t'occupa in casa una regina il talamo,piú possente di te.(Entra Giasone. Medèa si ricuote)GIASONE:Non or la prima volta, anzi soventevidi che mal senza rimedio sial'aspra ira. A te concesso era pur viverein questa terra, in questa casa, quandotu di buon grado sopportato avessiil valor dei piú forti; e adesso, a causadi vane ciance, sei cacciata in bando.E a me nulla ne importa; e non desisteremai, tu, dal dire che Giasone è il piútristo fra tutti gli uomini. Ma quantoa ciò che tu dicesti contro i principi,stima fortuna grande esser punitasol con l'esilio. Io mitigavo semprel'ire crucciose dei signori, e fartirimanere volevo; e tu, deporrela tua stoltezza non volevi, e sempredei principi sparlavi; e perciò seicacciata dalla terra. E tuttaviaio non manco agli amici; e sono quiper provvedere alla tua sorte, o donna,perché non vada coi tuoi figli in bandosenza sostanze, e nulla anzi ti manchi:ché molti mali trae seco l'esilio.Ché, pur se adesso tu m'aborri, a tenemico non potrei volgere l'animo.Medèa:O tristo, o scellerato - altro non soper la tua codardia maggiore oltraggio -tu vieni a me, tu che odïoso piúmi sei d'ogni altro? Ardire e forza d'animoquesta non è, fissare in viso i caritratti a rovina; è il piú funesto morboche fra gli uomini sia: spudoratezza.Pure, a venir, bene facesti: ch'ioparlando, allevierò l'anima; e tuti roderai di tristo cruccio, udendomi.E delle cose prima parleròche furon prima. Io ti salvai, lo sannogli Ellèni, quanti il legno d'Argo ascesero,il dí che tu fosti inviato a Colcoperché col giogo dominassi i tauriche spiravano fiamme, e seminassii mortiferi solchi. Il drago io spensiche con l'intreccio delle fitte spirestringendo il vello tutto d'oro, insonnelo custodiva; e di salvezza il raggioper te feci brillare. Ed io medesima,tradito il padre mio, la casa mia,a Iolco teco, sotto il Pèlio, venni,innamorata piú che saggia, e mortequal è piú dolorosa, a Pelia inflissi,per man delle sue figlie, e t'affrancaid'ogni timore. E tu, simili benida me riscossi, o il piú tristo degli uomini,tradita m'hai, contratte hai nuove nozze,pur figli avendo: ché, se privo tune fossi stato, meritava scusadesio di nuovo letto. Ora la fededei giuramenti è spersa; e non intendose tu creda che adesso piú non regninogli Dei d'allora, e che sancite sianonuove leggi per gli uomini: ché tusei verso me spergiuro; e ben lo sai.Ahi, destra mia, che tu spesso stringevi,ginocchia mie, quanto fu van che un tristopur v'abbracciasse, o mia delusa speme!Ma via, con te, quasi mi fossi amico,favellerò - sebben, quale vantaggioposso attender da te? pure, piú turpeti scopriran le mie dimande -: doverivolgermi potrò? Forse alla casadel padre, che tradito ho, per seguirtialla tua patria? O forse alle Pelíadimisere? Oh, liete quelle accoglierebberochi le privò del padre! A questo io sono:dei cari miei, della mia casa, fattanemica io sono; e quelli a cui far maleio non dovea, per compiacerti, infesticontro me resi. E fortunata, in cambiodi tanto, tu m'hai resa adesso, agli occhidi molte Ellène. Uno sposo ammirevoleho in te, meschina, e degno ch'io lo veneri,se dalla terra andar dovrò fuggiasca,sola coi figli miei, priva d'amici!Bel vanto, proprio, pel novello sposo,ch'errin pitocchi i suoi figliuoli, ed ioche ti salvai! Deh, perché, Giove, un segnocerto agli uomini desti per distinguerel'oro, quale sia falso, e niun sigilloimpresso invece è su le membra umane,per chi debba un malvagio pur distinguere?CORO:è pur furia tremenda ed implacabile,quando amici ed amici insiem contrastano.GIASONE:D'uopo è, sembra, che al dir fiacco io non sia,ma, come scaltro guidator di nave,gli estremi lembi delle vele schiusilasci soltanto, per salvarmi, o donna,della tua ciancia dal doglioso morbo.Or, poi che troppo i tuoi favori estolli,Cípride sola io reputo, fra gli uominie fra i Numi, che sia la salvatricedella naval mia gesta. Addurre proveche solo Amor, coi dardi inevitabilisuoi ti astrinse a salvar la mia persona,sottil sarebbe, ma odïoso; ed iotroppo non vo' su questo punto insistere.Che mi salvassi, qual ne sia la causa,male non fu; ma dalla mia salvezzapiú ricevesti che non desti; e adessote lo dimostrerò. Primo, ne l'Elladeabiti adesso, e non in terra barbara;e sai giustizia, e l'uso delle leggi,e non l'arbitrio della forza; e tuttigli Ellèni sanno che sei dotta, e seivenuta in fama: se abitato agli ultimiconfini avessi della terra, niunofatto di te parola avrebbe. Ed oroin casa avere non vorrei, né un cantopiú di quello d'Orfeo vago intonare,se fama non dovessi averne in cambio.Tanto delle mie gesta ho detto, quandom'hai provocato a gara di parole.Quanto alle nozze poi, che mi rimprovericon la figlia del re, vo' dimostrartiprimo, che saggio fui, poi riflessivo,poi grande amico ai miei figliuoli e a te.Rimani calma. Poi che venni quidalla terra di Iolco, trascinandomidietro molte sciagure immedicabili,quale potuto avrei sorte miglioretrovare, che sposar del re la figlia,io fuggiasco? E non già per la ragioneonde ti struggi: perché tedio avessidell'amor tuo, perché di nuova sposafossi colpito dalla brama, nédi molti figli per desio: mi bastanoquelli che abbiamo, né di ciò mi lagno;ma perché noi con ogni agio vivessimo,senza penuria, ben sapendo ch'èvita,se in lui s'imbatte, ognun l'amico povero;per educare i figli in modo cònsonoal mio casato, e, generando ai figlinati da te, fratelli, e quelli a questipareggiando, e la stirpe accomunandone,fossi felice. E che bisogno hai tud'altri. figliuoli? A me convien coi figliventuri avvantaggiar quelli che vivono.Il mio consiglio errato fu? Neppuretu lo diresti, se il rodío non fossedel talamo: ché voi, femmine, a tantogiungete: che vi sembra ogni fortunaavere attinta, sin che salvo è il talamo;ma se sventura a quello incoglie, cosanon v'è, sia pur buonissima, bellissima,che la piú infesta non vi sembri. Oh!, gli uominialtronde generar figli dovrebbero,donde che fosse, e non esister femmine.Nessun malanno allora avrebber gli uomini.CORO:Giasone, adorno il tuo discorso fu;ma, pur se debbo contraddirti, io pensoche nel tradir la sposa, ingiusto sei.Medèa:In molti punti, da molti degli uominiio son diversa. Per me, quel ribaldoche da natura ebbe facondia, meritamaggior castigo: l'ingiustizia renderebella ei presume con l'eloquio, e ardisceogni empietà. Ma povera saggezzaè infin la sua. Come ora tu. Garbatonon volere con me mostrarti, ed abilefavellatore: una parola solat'abbatterà. Se tu non fossi statoun malvagio qual sei, sol dopo avermiconvinto, celebrar dovevi questenozze, non senza dir nulla ai tuoi cari.GIASONE:Bene, suppongo, secondato avrestiquesto disegno, se svelato primal'avessi a te, quando neppure or saidal cuore tuo la grave ira sgombrare!Medèa:Non ciò ti tenne, ma le nozze barbare,da vecchio poco onor fatto t'avrebbero.GIASONE:Sappilo bene: per amor di femminaqueste nozze regali io non ho strette,ma pel tuo bene, come dissi già,per procreare ai figli miei fratellire, che alla casa mia sostegno fossero.Medèa:Mai non divenga un uom turpe felice,né mai beato chi mi strugge il cuore!GIASONE:Sai come i voti mutar devi, e puoisaggia sembrare? Turpi non ti sembrinole cose utili, mai; né pensar d'esseremisera, quando avventurata sei.Medèa:Oltraggiami: ché a te l'asil non manca,ed io debbo partir soletta ed esule.GIASONE:Altri non incolpar: tu l'hai voluto.Medèa:Facendo che? Sposandoti e tradendoti?GIASONE:Empie lanciando imprecazioni ai principi.Medèa:La mia presenza anche ai tuoi Lari impreca.GIASONE:Basta: ch'io non vo' teco oltre contendere.Se per l'esilio dei fanciulli e tuovuoi dalle mie sostanze alcun viatico,dillo: con larga mano io pronto sonoad offrirlo, a inviar tessere agli ospitimiei, che benigni t'accorranno. Stolta,se rifiutassi, tu saresti: avraimaggior vantaggio, se deponi l'ira.Medèa:Trarre profitto io non potrei dagli ospitituoi, né gradire checchessia di tuo,e tu non offerirmelo: ché i donidei tristi, mai vantaggio non arrecano.GIASONE:Eppure, i Numi testimoni invocoche sovvenire in tutto i figli e teio bramerei. Ma il bene a te non piace;e, per superbia, da te lungi scaccigli amici: onde ancor piú dovrai crucciarti.Medèa:Va' via: ché brama della nuova sposat'invade, mentre dalla reggia fuoriqui ti trattieni. Celebra le nozze.Pure, se vuole un Dio, saranno talinozze, che tu vorresti ben disdirle.CORO: Strofe primaGli amori che trasmodanoper troppa furia, agli uomininon consiglian virtú, non dànno fama.Se con misura invece appressa Cípride,Diva non v'è che lei pareggi in grazia.Signora, e mai non sia che tu dall'aureoarco vibri su me l'inevitabilefreccia intrisa di brama.Antistrofe primaMe tuteli, dei Superiguiderdone bellissimo,Saggezza; e mai, né garruli contrasti,né risse insazïate, a me nell'animopel desiderio d'altrui letto suscitila terribil Ciprigna. Io le pacifichenozze venero, eleggo delle femminesagge i talami casti.Strofe secondaO casa mia, mia patria,deh, ch'io non resti privadi mia città, fra i lacci inestricabilidi miseria io non viva!Morte mi colga; morte, pria di giungerea simil giorno! Viveredalla terra nataleesule, è mal che supera ogni male.Antistrofe secondaHo visto, e non già memoreparlo d'altrui parola,che niun amico i tuoi tormenti orribili,niun cittadin consola.Muoia l'ingrato che all'amico schiuderenega del cuore gl'intimiserrami, e non gli faonore: amico mio mai non sarà.(Arriva Egèo vestito da viaggiatore)Egèo:Salve, Medèa! Ché a salutar gli amicimiglior proemio nessun mai trovò.Medèa:Anche a te salve, Egèo, figlio del saggioPandíone: a questo suol di dove giungi?Egèo:Di Febo or or lasciai l'antico oracolo.Medèa:Della terra isti all'umbilico? A che?Egèo:A chieder come seme avrò di figli.Medèa:Dunque, sin qui, di figli orbo vivesti?Egèo:Volle ch'io figli non avessi, un Dèmone.Medèa:Ed hai la sposa? O privo sei del talamo?Egèo:Del letto nuzïal conosco il giogo.Medèa:E che responso diede Febo a te?Egèo:Tal, che non basta umana mente a intenderlo.Medèa:E ch'io tale responso apprenda, è lecito?Egèo:Lecitissimo; e vuol mente sottile.Medèa:Dunque, se posso udir, parla. Che disse?Egèo:Ch'io dell'otre non sciolga il pie' sporgente...Medèa:Pria di far che, prima di giunger dove?Egèo:Prima che al patrio focolar non torni...Medèa:E allora, a questo suol perché tu navighi?Egèo:Un Pitèo v'è, signore di Trezene...Medèa:Figlio, dicon, piissimo di Pèlope.Egèo:A costui, vo' comunicar l'oracolo.Medèa:Saggio è quell'uomo, e di quest'arte pratico.Egèo:E tra i compagni d'arme a me carissimo.Medèa:Sii tu felice, e ciò che brami ottenga.Egèo:Perché l'occhio ed il viso hai sí distrutti?Medèa:Giason, mio sposo, è degli sposi il pessimo!Egèo:Che dici? Chiaro il tuo cordoglio spiegami.Medèa:Torto Giason mi fa', né pur l'offesi.Egèo:E quale torto? A me piú chiaro spiegalo.Medèa:Sposò, ché in casa dominasse, un'altra.Egèo:Compier poté quest'opera turpissima?Medèa:Certo: e spregiata, io prima cara, or sono.Egèo:Per nuovo amore? O il tuo talamo aborre?Medèa:Per grande amore; e ruppe fede ai suoi.Egèo:Gli avvenga mal, se tristo è quanto dici.Medèa:In cambio lor, nozze regali elesse.Egèo:Chi glie l'offerse? Il tuo discorso compi.Medèa:Creonte, re di questo suol corinzio.Egèo:Meriti scusa, se t'affliggi, o donna.Medèa:Son morta; e dalla terra anche mi scacciano.Egèo:Chi ti discaccia? Un nuovo mal m'annunzi.Medèa:Da Corinto m'esilia il re Creonte.Egèo:E Giasone acconsente? Oh, non lo lodo!Medèa:Non a parole: ma lo brama, e fingedi tollerarlo. Ora io, per il tuo mento,per le ginocchia tue ti prego, e supplicedinanzi a te mi prostro: abbi pietà,abbi pietà di me misera, solacosí non mi lasciar, cosí raminga,ma nel paese e nella casa tua,all'ara presso accoglimi: cosíappagata ti sia, mercè dei Numi,la tua brama di figli. Oh, tu non saiquale fortuna in me trovi: io faròche tu generi figli, e non ne siapiú privo: tal potere hanno i miei farmachi.Egèo:Per piú ragioni son pronto a concederti,donna, questo favor. Prima, pei Numi;poi, per i figli miei, di cui la nascitam'annunzi tu: ché vòlto a questo è tuttol'animo mio. Son questi i miei propositi.E se tu giunga alla mia patria, o donna,quivi ospitarti, come vuol giustizia,io curerò. Ma da te muovi il passolungi da questa terra: ch'io desideroscevro da colpe rimaner per gli ospiti.Medèa:E sia: di te solo a lodarmi avrei,quando avessi di ciò fida promessa.Egèo:In me non hai tu fede? O che sospetti?Medèa:Ho fede in te; ma la casa di Pèliam'è nemica, e Creonte. Or, se volesserostrapparmi dalla tua lerra, permetterenon lo vorresti, se tu fossi strettoda giuramenti; ma pel solo vincolodelle parole, senza giuri, amicopotresti essermi forse, e al bando loronon dare ascolto? Debole sono io:essi han dovizie, essi han case regali.Egèo:Gran previdenza mostrano le tueparole, o donna; e non rifiuto, quandotu cosí brami. Piú sicuro io sonoquando ragioni ai tuoi nemici opporreposso; e tu stessa, piú sarai sicura.I Numi dimmi, nel cui nome io giuri.Medèa:Della Terra pel suol, pel Sole, padredel padre mio, pei Numi tutti giura.Egèo:Di far che cosa, o di non fare? ParlaMedèa:Di non cacciarmi dalla terra tuatu stesso, mai; né, quando altri volesse,qualcun dei miei nemici, indi strapparmi,di buon grado, finché vivi, concederlo.Egèo:Per la Terra lo giuro, e per la fulgidaluce del Sole, e per i Numi tutti,che ciò che tu mi chiedi io manterrò.Medèa:Basta. E che pena a te, se manchi, impetri?Egèo:Quella che suole cadere sugli empii.Medèa:Lieto prosegui il tuo cammino: tuttoora va bene; ed alla tua cittàben presto io giungerò, quando compiutosia ciò che imprendo, e paga la mia brama.(Egèo parte)CORO:Di Maia il figlio, signor che l'animeguida, ai tuoi tettit'adduca, e tutto giunga a buon esitociò che tu brami, per cui t'affretti:ché un generoso mi sembri, Egèo.Medèa:Giove, e di Giove tu figlia, Giustizia,e tu, raggio del Sole, alta vittoriaor dei nemici nostri, amiche, avremo,e siam già su la via: speranza nutroor che i nemici miei la pena scontino,poi che quest'uom, dal lato ove il periglioera maggiore, come un porto apparvedei miei divisamenti. Indi la gomenada poppa legherò, come io di Pàlladegiunga alla rocca, alla città. Sin d'oratutti vi voglio esporre i miei propositi,né voi crediate che per gioco io parli.Dei miei famigli alcuno invieròa Giasone, e ch'ei venga chiederòal mio cospetto; e, come ei giunga, blandeparole gli dirò: ch'io son convinta,che mi par giusto quanto accade; e i figlimiei chiederò che restino. Non giàche abbandonarli io voglia in terra estranea;ma con la frode voglio morte infliggerealla figlia del re. Li manderò,che a lei rechino doni: un peplo finee, foggiato nell'oro, un serto; e, ov'essane abbellisca le sue membra, morràd'orrenda morte, e chicchessia la tocchi:di tal farmaco i doni intriderò.Ma tronco qui le mie parole, e gemoper l'opera che poi compier dovrò:ché morte ai figli miei darò: nessunov'è che salvarli possa. E, poi che tuttadi Giasone sconvolta avrò la casa,e compiuto lo scempio nefandissimo,partirò da Corinto, e dei figliuolila strage fuggirò: ché dai nemiciesser derisa, amiche, io non lo tollero.Su via, la vita a lor che giova? Io patrianon ho, né casa, né rifugio ai mali.Bene errai, quando le paterne caseabbandonai, credendo alle paroled'un ellèno che il fio mi pagherà,con l'aiuto d'un Dio: ché i fig1i natida me, piú vivi non vedrà, né proledalla sua nuova sposa avrà: ché deveper i tossici miei morir la trista,di trista morte. Me dappoco e fiaccanon creda, o rassegnata: anzi, al contrario,per gli amici benigna, e pei nemicifunesta: a gloria cosí giungon gli uomini.CORO:Poiché tale discorso a noi partecipi,per brama di giovarti, e per difenderele leggi, da tal opra io ti sconsiglio.Medèa:Essere altro non può; ma scusa meritise cosí dici: ché il mio mal non soffri.CORO:Oserai, donna, i tuoi figliuoli uccidere?Medèa:Nulla il mio sposo piú morder potrebbe.CORO:Né sarebbe di te donna piú misera.Medèa:Su via, ché son superflue parolequante indugiare fan l'opera. Su,muovi, e chiama Giason: ché dove occorrefiducia, ivi io t'adopero; e dei mieidisegni, nulla tu svelar, se pureami i signori, se pur donna sei.(segue)