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MEDEA DI EURIPIDE (5/6)


CORO: Strofe primaErettídi, dagli evi remotifelici, progenie di Numibeati, cresciuti dal suoloinespugnabile, sacro,che ognor vi nutrite d'elettasaggezza, e movete con morbido incessoper l'ètere tutto fulgore,dove una volta, si narra, le noveMuse Armonia generò.Antistrofe primaAnche narran che Cípride attinsedai flutti del puro Cefíso,ed aure di venti spiròsopra la terra, con temprasoave, e le chiome velandocon fiori, con serti di rose fragranti,mandò, ché a saggezza viciniseggan, gli Amori, che sempre partecipisiano dell'opere tutte.Strofe secondaE come sui sacri suoi rivi,Atène potrà, come accogliertipotranno gli amici, quando empiasarai fra le genti, i tuoi parvolidi vita per te saran privi?Pensa a che strage t'appigli!No, per le tue ginocchia,ti prego, t'invoco, ti supplico,no, non uccidere i figli!Antistrofe secondaE dove di mano dominioattinger potrai, dove d'animo,che avventi la strage terribileal cuor dei tuoi pargoli? L'occhiovolgendo su lor, l'esterminiocompier potrai senza lagrime?Quando con supplici gridadinanzi essi ti cadano,tu non potrai con saldo animotinger la mano omicida.(Arriva Giasone)GIASONE:M'hai chiamato, e son qui: sebben nemicami sei, rifiuto non opposi; e udròciò che di nuovo, o donna, da me vuoi.Medèa:Io ti chiedo, Giason, che tu perdonodi ciò ch'io dissi mi conceda. è giustoche tu condoni il mio furore, quandomolte dolcezze insieme avemmo. Ora, iofra me e me considerando venni,e rampogne mi volsi: «O temeraria,ché furïando io vado, ed osteggiandoquelli che bene avvisano, ed infestacontro i signori della terra insorgo,e contro il mio signor, che quello fache a noi piú giova, quando una reginasposa, ed ai figli miei fratelli genera?Non deporrò quest'ira mia? Che faccio,quando gli Dei mi danno il bene? Figliforse non ho? Non so che siam banditidalla Tessaglia, e siam privi d'amici?»A ciò pensando, vidi bene ch'eromal consigliata, e m'adiravo a torto.Dunque, or t'approvo, e mi sembra che tusia l'assennato, quando a noi procurisimile parentado, ed io la stolta,che di tali disegni esser partecipeavrei dovuto, e favorirli, e assisterealle tue nozze, ed alla sposa tuale mie cure prestare, e andarne lieta.Ma siamo ciò che siam: non dico danno,dico donne; e per te non convenivache ti rendessi pari a sciocche simili,contrapponendo stoltezza a stoltezza.Ma ora cedo, e riconosco ch'ioprima sbagliavo, ed a miglior partitom'appiglio adesso. O figli, o figli, qui,la casa abbandonate, uscite fuori,il padre vostro salutate, ch'egliè qui con voi, volgetegli parole,e desistete, come fa la madre,dall'odïar gli amici, or che fra noifatta è la pace, e in oblio posta l'ira.(Dalla casa escono i figli)La destra a lui stringete. - Ahi, le sciagurenascoste, come nella mente ho impresse! -O figli miei, sempre cosí le bracciatenderete, se pur vivrete a lungo?Misera me, come son pronta al pianto,e piena di terror! Ma, poiché, dopotanto, troncai la lite mia col padre,il molle viso mio pieno è di lagrime.CORO:Ed anche a me giú dalle ciglia eromponolagrime impetuose. Oh, non proceda,piú grave d'ora non divenga il male.GIASONE:Ciò ch'ora dici, o donna, io lodo; e ciòche pria dicevi, non biasimo. Quandolo sposo fa di nuove nozze acquisto,diritto è ben che la femminea stirpedi sdegno avvampi. Ma il tuo cuore è voltoadesso al meglio, ed il migliore avvisohai conosciuto, sebben tardi: è questotratto di donna saggia. O figli, il padreper voi non prese a cuor leggero taleprovvedimento; i Numi lo assisterono:ché primi spero di vedervi in questacorinzia terra, coi germani vostri.Or voi crescete. Il padre, e qual benevoloè a voi dei Numi, il resto compierà.Deh, vedervi possa io, di chi ben v'educhisotto la guida, al fior di giovinezza,dei miei nemici trionfando, giungere.Perché gli occhi, Medèa, d'ardenti lagrimebagni, e smorta la guancia altrove giri,e senza gioia ciò ch'io dico ascolti?Medèa:Per nulla: a questi figli miei pensavo.GIASONE:Per i tuoi figli piangi? E perché, misera?Medèa:Li ho partoriti; e al tuo voto che vivano,ansia mi colse, se ciò mai sarà.GIASONE:Fa' cuor: ch'io bene a ciò provvederò.Medèa:Farò cuore: non vo' fede negarti;ma debole è la donna; e nacque a piangere.Ma delle cose onde venisti a udirmi,parte fu detta: il resto or ti dirò.Poi che bandirmi vogliono i signorida questa terra - ed è, lo riconosco,meglio per me, non rimanere ai principie a te d'impaccio, ché nemica io sembrodi questa casa - e sia, fuggiasca andròda questo suol; ma che fuggir non debbanoi figli miei, che qui cresciuti sianodalle tue mani, da Creonte impètrami.GIASONE:Ignoro se potrò; ma vo' tentare.Medèa:Prega la sposa che suo padre imploriperché non vadano esuli i miei figli.GIASONE:Lo farò certo; e spero ben convincerla,sebbene è donna, all'altre donne simili.Medèa:Di tal prova io sarò teco partecipe:i miei figliuoli invierò, che rechinoa lei presenti, quali piú fra gli uominisono pregiati, un sottil peplo, e un sertolavorato nell'oro. Or, quanto prima,convien che alcuna delle ancelle questoadornamento rechi. E non per miacagion la sposa, anzi per mille e millesarà beata: ché compagno al talamoil migliore degli uomini ebbe in te,ed un monile avrà, che un giorno il Sole,padre del padre mio, diede ai suoi figli.Questi doni prendete, e del signorealla sposa beata, o figli, offriteli.Non saranno per lei doni da poco.GIASONE:Perché vuotare le tue mani, o stolta?Credi tu che penuria abbia di pepli,penuria d'oro, la casa del re?Conservali, non far doni: ché, setrova alcun pregio in me la sposa mia,vorrà, son certo, preferirmi ai doni.Medèa:Non dirmi questo. I doni persuadono- è comun detto - anche i Celesti. L'oropuò fra i mortali ciò che non potrebberomille e mille discorsi. Adesso, prosperavolge la sorte a lei, la sua fortunaun Nume accresce, ora è nuova regina.E non solo con l'oro, anzi con l'animariscatterei dei figli miei l'esilio.Su, dunque, figli, della nuova sposadel padre vostro, della mia signoraalla reggia opulenta ora movete,pregatela, imploratela, che in bandoir non dobbiate, porgetele i doni,ché questo importa piú di tutto: ch'elladi propria mano i doni accolga. Andatepresto, compiete ben l'opera; e nunzidi ciò ch'ella desia, siate alla madre.CORO: Strofe primaPiú non ho speme che vivano i pargoli,non piú: ché già verso la morte muovono.Riceverà, riceverà la miserasposa, dono fatal, l'auree bende.Già per cingere il funebreornamento alla sua bionda cesarie,la mano ella protende.Antistrofe primaEssa vaghezza certo avrà di cingeregli ambrosii raggi che dai pepli fulgonoe dall'aurea corona; e già per gl'Inferisi fa bella: in tal rete ella cadrà,in tale fato, o misera,esizïale: ché sfuggire all'ultimarovina non potrà.Strofe secondaE tu, tristo sposo, di principi perfido genero,ignaro, conduci a sterminiola vita dei figli, ed orribilealla sposa prepari una morte.O misero, male prevedi la sorte!Antistrofe secondaEd ora te, madre infelice, compiango, che ai pargolila morte darai. Ne fu causail letto di nozze: ché l'empiotuo sposo, che t'ebbe tradita,ora ha con un'altra comune la vita.(Entra l'aio coi due bambini)AIO:Sono dal bando liberi, o signora,questi fanciulli: di sua mano accolsela regia sposa i doni, e si compiacque.Pace, da questa parte, hanno i tuoi figli.Medèa:Ahimè!AIO:La ventura t'arride, e sei sconvolta?Medèa:Ahimè!AIO:Con le mie nuove il tuo lagno discorda.Medèa:Anche una volta, ahimè!AIO:Qualche sciagura,senza saperlo, t'annunciai? Fu falsal'idea che un buon messaggio io ti recassi?Medèa:Fu quel che fu, l'annuncio: io non lo biasimo.AIO:Ché dunque il volto abbassi, e versi lagrime?Medèa:Non mi posso frenar, vecchio: tal dannoi Numi, ed a me stessa io stessa macchino.AIO:Fa' cuor: qui tornerai, grazie ai tuoi figli.Medèa:Ma saprò far che prima altri ne partano.AIO:Non sei la sola tu, che separarsidebba dai figli: chi mortale nacque,in pace sopportar deve gli affanni.Medèa:Cosí farò. Tu entra, e ai figli apprestaquanto per oggi ad essi occorre. O figli,o figli, a voi non manca né cittàné casa, dove, della madre orbati,abiterete eternamente; ed ioandrò fuggiasca ad altra terra, primach'abbia di voi gioito, abbia la vostrafelicità veduta, ad una sposav'abbia congiunti, e il talamo di nozzeadornato, e levate alte le fiaccole.Ahi, tristo frutto dell'orgoglio mio!Invano, o figli, v'ho nutriti, invanoin fatiche mi strussi, e m'affannai,doglie crudeli soffrendo nei parti.Misera! E un dí tanto sperai che voicurata avreste la vecchiezza mia,che con le vostre man' curato avresteil mio corpo defunto, ch'è tra gli uominiinvidïato ufficio. Adesso, è spentala soave speranza; e, di voi priva,trista sarà per me, sarà dogliosatutta la vita. E gli occhi vostri piúla madre, o figli, non vedranno: ad altraforma di vita passerete. Ahi, ahi!Le pupille su me perché levate?Perché ridete il vostro ultimo riso?Ahi, che farò? Mi manca il cuore, o donne,se fisso gli occhi dei miei figli fulgidi.No, ch'io mai non potrò! Vadano spersitutti i disegni di poc'anzi: i figlimiei, condurrò lontan da questa terra.Per dare cruccio al padre lor, dovreiprocacciare a me stessa un danno duplice?No, certo: spersi i miei disegni vadano.Eppure, no: che faccio? I miei nemiciimpuniti lasciar devo, ed oggettoessere a lor di riso? Ardire occorre.Oh mia viltà, che profferisce dettidegni d'un cuore imbelle. Entrate in casa,o figli miei. Se assistere al mio scempiosembra iniquo a talun, quei non v'assista:non perciò fiacca la mia man sarà.Ahimè!No, no, cuor mio, non compiere lo scempio!Lasciali, o trista, i figli non uccidere.Forse laggiú, con me vivendo, gioiadarmi potranno? Oh, per le Furie inferned'Averno, non sarà che i figli lascidei nemici all'oltraggio. Inevitabiledestino è questo, e sfuggirgli non posso.Già cinta al capo ha la ghirlanda, giàchiusa nel peplo, ben lo so, la sposaregal perisce. E, poi ch'io per miserrimotramite i pie' volgere devo, i figlisalutar bramo. O figli miei, porgetela vostra mano, alla madre porgetela,in tenero commiato. O dilettissimamano, o sembiante, o capo dilettissimodei figli, o nobil volto, a voi sorridafortuna; ma laggiú: ché tutto il padrequassú v'ha tolto. O abbracci soavissimi,morbida cute, ed alito soavedei figli! Andate, andate! Io non ho forzadi piú guardarvi, e son vinta dai mali.Intendo ben che scempio son per compiere;ma piú che il senno può la passione,che di gran mali pei mortali è causa.CORO:M'addentrai fra sottili argomentibene spesso, fra dispute gravi,piú di quanto convien che ne cerchidonnesca progenie.Ché abbiamo una Musa anche noi,che vive con noi, che c'ispirasaggezza. Non tutte; ma puretalune (forse una fra moltetrovarne potresti)non sono di senno inesperte.Ora, affermo, che quanti degli uominison di pargoli ignari, né maiprocrearono figli, son moltopiú felici di quelli che n'ebbero.Quei che prole non ebbero, e ignoranose cosa dogliosa o soavesian per gli uomini i pargoli, quandonon n'ebbero, vivono scevridi molte sciagure.Quelli invece che dolci germogliin casa han di figli,li vedo che giorno per giornonei pensieri si struggono. Primo,di bene allevarli; poi, d'ondelasceranno sostanza ai figliuoli.Oltre a ciò, se per buoni o per tristisi spendan le loro fatiche,nessuno lo sa.E un male soggiungo, l'estremofra tutti, per gli uomini tutti.Trovarono agevole copiadi vita, sia pure, pervennerole membra dei figli a fiorentegioventú, buoni crebbero. Ma,se tale è il destino,la Morte, lontano, nell'Adei corpi dei figli trascina.A che giova dunque, che i Superisopra l'altre sciagure, ai mortaliaddossino questadei figli, acerbissima?(Giunge, esterrefatto, un messo)(segue)