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MEDEA DI EURIPIDE (6/6)


Medèa:Da un bel tratto gli eventi, amiche, attendo,l'esito spio, qual ne sarà. Ma vedoun dei famigli di Giasone giungere:l'affannoso respir, ben mostra ch'egliqualche nuova sciagura annunzierà.NUNZIO:O tu rea d'un iniquo orrido scempio,fuggi, fuggi, Medèa: né carro nauticoné terrestre da te non sia negletto.Medèa:Per quale causa tanto urge ch'io fugga?NUNZIO:Fu spenta or or la giovine regina,pei tuoi veleni, e il padre suo Creonte.Medèa:Dolcissime parole! E d'ora innanzibenefattore e amico io ti considero.NUNZIO:Che dici? In te sei, donna, non sei folle?Odi che il focolar dei nostri reè distrutto, e t'allegri, e non sgomenti?Medèa:Bene io saprei parole onde ribatterele tue; ma narra senza fretta, amico,la loro morte: se fu crudelissimamorte, due volte lieta mi farai.NUNZIO:Poiché dei figli tuoi la coppia giunseinsiem col padre, e nella stanza entròdella regina, ci allegrammo noiservi, che pel tuo mal tristi eravamo;e fu per il palagio un gran discorrere,che con lo sposo tu composta avevil'antica lite. E chi la mano, e chiil biondo capo dei fanciulli bacia.E, pel piacere, anch'io, dietro ai fanciulli,sino alle stanze delle donne entrai.E la signora che onoriamo adessoin vece tua, pria di veder la coppiadei figli tuoi, lo sguardo affettuosoa Giasone volgea. Ma, come entrarono,velo si fece agli occhi, e volse altrovela bianca guancia: ché n'avea disgusto.Ed il tuo sposo, a mitigar lo sdegnodella fanciulla, sí parlò: «Non esserenemica ai fig1i miei, placa lo sdegno,qui volgi il capo, ed abbi cari quelliche son cari al tuo sposo, e i doni accetta,e implora il padre tuo che dall'esilio,per grazia mia, questi fanciulli affranchi».Ed ella, come e veste e vezzo vide,non resisté, ma die' consenso a quantochiedea lo sposo. E, pria che dalla reggiafossero lungi padre e figli, il peplovarïopinto prese, e lo indossò,e sopra i ricci la corona d'oroposta, la chioma s'acconciò davantiad un lucido specchio; ed alla propriainanimata immagine sorrise.Poscia, dal trono surse, e traversò,sul bianchissimo pie' molle incedendo,la stanza; e tutto gaudio era pei doni;e spesso e a lungo si mirò, levandosisugli apici dei pie', sino al tallone.Ciò che poscia seguí, per chi lo vide,fu spettacolo orrendo. Essa mutòd'improvviso colore; e, tremebondaper ogni membro, e indietreggiando obliqua,sopra un seggio a cader pervenne, appenache non piombasse a terra. E delle ancelleuna piú annosa immaginò che invasadi Pan le furie o di qualche altro Dèmonel'avessero; e gridò, sinché non videcandida spuma dalla bocca scorrere,e lei stravolger le pupille, e il sanguedalla pelle sparito; e un urlo alzò,ben differente, di cordoglio. E súbitoalla reggia del padre una volò,un'altra al nuovo sposo, e la sventuranarrâr della fanciulla; e d'un accorrerefitto, sonora fu tutta la casa.E tanto tempo era già corso, in quantoun veloce pedon, doppiando il bracciod'una lizza di sei plettri, tornatoal termine sarebbe; e la tapinadal muto e cieco stato si destò,grida levando orribili: ché duplicespasimo aveva le sue fibre invase:dal serto d'oro al capo attorno cinto,d'arcano fuoco un rivolo sprizzavadivoratore; ed il fin peplo, donodei figli tuoi, le carni divoravadell'infelice. E, balzando dal trono,s'avventa, in fiamme, squassando qua e làe chioma e capo, per gittare il serto.Ma dell'oro ben salda era la presa;e il foco, quanto piú scotea la chioma,tanto piú sfolgorava. E a terra cadde,dallo spasimo affranta; e riconoscerla,niun, tranne il padre suo, potuto avrebbe:ché ben distinta la forma degli occhinon era piú, né ben formato il viso;e sangue giú dal vertice de capo,misto a sangue, stillava, e, lungo l'ossa,le carni, pari a lagrime di pino,scorrevano. Guardarla, era un orrore;e la salma toccar, tutti temevano:ch'era stato l'evento a noi maestro.Ma della sorte ignaro, il padre misero,nella stanza improvviso irruppe; e súbitoleva un ululo, e piomba sul cadavere,la salma abbraccia, la bacia, le volgela parola cosí: «Figlia infelice,quale dei Numi a cosí sconcia finet'addusse? Orbo di te, chi questo vecchio,presso alla tomba rese? Ahimè, con te,figlia mia, fossi morto!». E quando poidalle querele desisté, dai gemiti,il vecchio volle sollevarsi; e strettoai fini pepli si sentí, com'elleraa cespiti d'alloro. E cominciòun'orribile lotta: egli il ginocchiosollevare volea; ma lo stringevaa sé la salma; e se traeva a forza,la vecchia carne dall'ossa strappava.Si spense infine, l'anima esalò,ché piú non resse alla crudel tortura.Or, la figliuola e il vecchio padre giaccionospenti vicini, dolce esca alle lagrime.Dei casi tuoi, parola dir non voglio:il mal, su chi lo fa, lo sai, ricade.Le cose umane, poi, non è la primavolta ch'ombre le stimo, e non mi pèritod'affermare che quei che saggi e acutidi parole maestri esser presumono,affetti da follia son piú degli altri:ché felice non è verun degli uomini.Piú fortunato, quando abbia benessere,può l'uno esser dell'altro; e niun felice.(Parte)CORO:Sembra che molti in questo giorno il Dèmonegravi malanni su Giasone avventi.Ma quanto, o figlia di Creonte, o misera,la tua sciagura compiangiam; ché scendi,grazie alle nozze con Giason, nell'Ade!Medèa:Amiche, è fermo il mio disegno: i figli,prima ch'io possa, uccidere, e lontanofuggir da questa terra, e non concedereche per l'indugio mio muoiano i figlidi piú nemica mano. è ch'essi muoianoferma necessità. Poiché bisogna,io che li generai li ucciderò.Su, dunque, àrmati, o cuor. Ché indugi? è vilenon far ciò che bisogna, anche se orriblle.Su, sciagurata mano mia, la spada,stringi la spada, e muovi a questo trucetermin di vita, non esser codarda,né dei fig1i pensar che d'ogni cosati son piú cari, e che li desti a luce.Questo sol giorno i figli tuoi dimentica,e poscia piangi. Anche se tu li uccidi,cari sono essi, e sciagurata io sono.(Entra nella reggia)CORO: Strofe primaO Terra, o fulgidissimoraggio del Sole, a questo suol volgetevi,mirate questa sciagurata femmina,prima che avventi l'impetodella morte sanguineasui figli suoi. Dell'aurea progenietua son germoglio; ed uom che versi l'ícored'un Dio, dei Numi la vendetta pròvoca.Ma tu reggila, frenala,raggio divin: tu scaccia dalla casala sanguinaria Erinni, cui lo spiritodella vendetta invasa.Antistrofe primaInvano, dunque, i pargoligenerasti alla luce: spersi ed írritii travagli materni andaron, misera,che l'inospite tramitedelle azzurre Simplègadiabbandonasti. Or, che t'invade l'animocura sí grave? A che, furia d'eccidiosegue a furia d'eccidio? Il consanguineocontagio infesto agli uomini,pena al misfatto ugual sovressi i reidesta, che su le lor case precipita,per voler degli Dei.(Dal di dentro si odono i disperati urli dei bambini)CORO: Strofe secondaOdi dei figli la querula voce?Ahi, temeraria, ahimè, donna feroce!FIGLIO A:Ahi, dove sfuggo alla materna mano?FIGLIO B:Non so: perduti siamo, o mio germano.CORO:Bisogna i figli salvare da morte!Varchiamo le porte!FIGLIO A:è questo il punto. Accorrete, accorrete!FIGLIO B:Già già del ferro ci avvince la rete!CORO:Ahi, scellerata, di ferro, di rocciasei, che i tuoi figli, i tuoi stessi germogli,con la tua mano di vita li togli?Antistrofe secondaSola una donna dei tempi lontaniso, che sui figli avventasse le mani:Ino, dai Numi resa folle, quandodalla casa Era via la spinse in bando.E giú nel mare, poi ch'ebbe trafittala prole, si gitta:i suoi piedi spingeva oltre la riva,e lei la morte e i due figli ghermiva.Quali altri orrori seguire potrebbero?O delle femmine nozze funeste,quanti ai mortali già lutti adduceste!(Giunge Giasone, in corsa affannosa)GIASONE:Donne che presso a questa casa state,forse dentro è Medèa, che perpetròorridi scempî, e volse a fuga il piede?Conviene che sotterra ella si asconda,o che dell'ètra per gli abissi il corpoinnalzi a volo; o il fio pagar dei principialla reggia dovrà. Confida forse,quando ella uccise della terra i principiimpunita fuggir da queste mura?Ma non di lei mi dò pensiero, quantodei figli miei: ché a lei, chi male n'ebbe,male darà; ma dei miei figli vengola vita a tutelar: ché l'empia stragedella lor madre a vendicar sovr'essidei signori i parenti non risolvano.CORO:Fra che mali ti trovi ignori, o miseroGiasone; o tu cosí non parleresti.GIASONE:Che avvenne? Anche me, forse, uccider vuole?CORO:Spenti fûr dalla madre i figli tuoi!GIASONE:Ahimè, che dici! Tu m'uccidi, o donna!CORO:Sappi che i fig1i tuoi piú non son vivi!GIASONE:Dove li uccise? Nella casa, o fuori?CORO:La porta schiudi, e ne vedrai la strage.GIASONE:I serrami allentate, o servi, primache sia, le spranghe liberate, ch'iovegga il duplice male: i figli morti,e la donna a cui morte infliggerò.(Appare in aria Medèa, su un carro tratto da draghialati. Ai suoi fianchi, sono i cadaveri dei figli)Medèa:A che mai questa porta scuoti e scalzi,e i morti cerchi, e me che uccisi? Treguaponi al travaglio; e se d'uopo hai di me,di' quel che vuoi. Ma non potrai toccarmi.Il Sole, il padre di mio padre, un carromi die' che me degl'inimici salva.GIASONE:Donna esecrata, piú d'ogni altra a mee ai Numi infesta, e a tutti quanti gli uomini,che cuore avesti di vibrar la spadasui fig1i tuoi, che partoristi, e meorbo di figli e misero rendesti,e dopo ciò, dopo compiuta un'operapiú d'ogni altra esecranda, e Sole e Terraguardare ardisci? L'esterminio a te!Or fatto ho senno: allor senno non ebbi,che dalla casa e dalla patria barbaratua, nella patria mia t'addussi, in Ellade,o traditrice di tuo padre, e dellaterra, che ti nutriva, o gran flagello.I Numi contro me spinsero il Dèmoneche te punir dovea: ché il tuo germanoal focolare presso ucciso avevi,quando ascendesti il legno d'Argo bello.Tale il principio fu. Poscia, a quest'uomofosti consorte, e generasti figli,e sterminati li hai, per gelosiadell'amplesso e del letto. Oh, niuna tantoosato avrebbe delle donne ellèneda me neglette, che te scelsi a sposa,te mia nemica, te rovina mia,leonessa e non donna, e ch'hai naturaselvaggia piú della tirrena Scilla.Ma morderti che val con mille e milleoltraggi? è troppa l'impudenza tua.Alla malora va', di turpitudinioperatrice, assassina dei figli!A me non resta che gemer la sortemia: ché fruir delle novelle nozzenon potrò, non potrò parlare ai figliche generai, nutrii, ma li ho perduti.Medèa:Alle parole tue lunga rispostarivolta avrei, se non sapesse Gioveciò che avesti da me, ciò che mi desti.Ma non dovevi tu, poi che il mio talamovituperasti, gaiamente vivere,ridendoti di me, né la regina;né quei che a nozze t'istigò, Creonte,a scorno via da questo suol bandirmi.Come or ti piace, leonessa o Scilladel tirren piano abitatrice chiamami:il tuo cuor lanïai, com'era giusto.GIASONE:Te stessa strazi, e il male mio partecipi.Medèa:Il mio, purché non rida tu, si mitiga.GIASONE:Figli, che trista madre aveste in sorte!Medèa:Del padre il morbo vi distrugge, o figli.GIASONE:No: dalla mano mia spenti non furono.Medèa:M'erano oltraggio le tue nuove nozze.GIASONE:L'offeso letto a uccidere ti spinse?Medèa:Per una donna è poca doglia, immagini?GIASONE:Sí, purché savia; e tu sei trista tutta.Medèa:Questi son morti; e ciò ti morde il cuore.GIASONE:Duro castigo avrai dai loro spiriti.Medèa:Chi fu la prima causa, i Numi sanno.GIASONE:Sanno il cuor tuo, quant'è degno d'obbrobrio.Medèa:Odiami: aborro la tua voce amara.GIASONE:Ed io la tua; ma separarci è facile.Medèa:Come? Che devo fare? Anch'io lo agogno.GIASONE:Fa' che i miei figli io sepellisca e lagrimi.Medèa:No certo: seppellirli io stessa intendo,con le mie mani. Nel sacrario d'Era,Diva d'Ascrèa, li porterò, ché niunodei nemici l'insulti, e non profanile tombe loro. E in questo suol di Sísifosacre istituirò feste, e cortei,per espiare questa orrida strage.Alla terra mi reco io d'Erettèo,e con Egèo, figliuolo di Pandíoneabiterò: tu, com'è giusto, mortefarai da tristo, ché sei tristo: avrannoamaro fine le tue nuove nozze.GIASONE:Dei fanciulli l'Erinni ti stermini,e Giustizia, l'ultrice del sangue.Medèa:E qual Genio, o spergiuro, t'udrà,quale Iddio, traditore degli ospiti?GIASONE:Ahi, ahi, turpe assassina dei figli!Medèa:Entra: appresta alla sposa il sepolcro.GIASONE:Vado: orbato d'entrambi i miei figli.Medèa:Nulla è or: piangerai piú da vecchio.GIASONE:Figli cari...Medèa:alla madre: a te no.GIASONE:E perciò li uccidesti?Medèa:A crucciarti.GIASONE:O me misero! Io voglio le labbradei carissimi figli baciare.Medèa:Or li chiami, or soave a lor parli,quando pria li scacciasti?GIASONE:Oh, ch'io tocchile lor tenere membra concedi!Medèa:Non sarà: sperdi invano i tuoi detti.GIASONE:Odi, o Giove, quale empia repulsa,quale torto mi fa, questa oscenaleonessa, dei figli assassina!Pure quanto m'è dato e possibile,io li piango, e ai Celesti m'appello,e i Dèmoni chiamo, che attestinoche, trafitti i figliuoli, mi negache a loro le maniappressi, che a lor dia sepolcro.Deh, mai non li avessigenerati, se uccisi vederlidovevo da te!(Il carro alato sparisce nell'aria)CORO:Molte cose in Olimpo sollecitail Croníde; e i Celesti deludonoben sovente ogni attesa. Molte opereimperfette restaron, che al termineparean giunte: parea che niun esitoaltre avessero; e un Dio schiuse un tramite.dal sito www.rodoni.ch