Creato da pacatissima il 31/10/2010

Affreschi Yin

racconti

 

 

PASO DOBLE

Post n°100 pubblicato il 26 Marzo 2012 da pacatissima
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PASO DOBLE

 

L’energia scorre Bassa

                              Fonda

                              Lenta

Voglia di scambiarla

Les hommes sono impegnati nel lavoro, la maggior parte del tempo viene usata per produrre.

Cosa?

E’ vero. Io ho più tempo libero.

 Quando eravamo più giovani non c’era tutto questo lavoro di mezzo. Si poteva sognare a volontà e correre dietro ai sogni.

Anche per questo ci si amava di più.

Oggi dicono che la quantità è minore

Ma la qualità migliore.

 Non sono d’accordo.

Eppure continuano a comporre musiche che ti rapiscono.

Questo mi indica vie di salvezza.

 

Prosieguo

Esattamente tre giorni fa ho avuto un giorno ricco di quel genere di doni che apprezzo con ogni fibra del mio essere.

Un po’ aiutata dagli eventi e un po’ dal mio muovermi.

Tre sono stati los hombres che ho incontrato nel giro di poche ore.

Tres los hombres con cui ho giocato eroticamente.

I Due nuovi sono  l’antidoto al Terzo.

Il Più Giovane, quello davanti  cui, nel primo incontro, ho recitato la parte di Santa Maria Goretti.

Il suo abbraccio caldo e le labbra cariche questa volta mi convincono…ma non troppo.

Mi confida: “Mi piacciono le donne e non so perché, alcune, quando faccio delle avances, si comportano come se offrissi loro  una mela marcia.”
- Cosa ti interessa di me?-  chiedo

“Sedurti”

-          Anche a me.

“Dai, lasciati andare: magari non ci sarà neppure una prossima volta.

-          Appunto.

Il Più Giovane mescola imperiosità a tenerezza infantile.

Indossa abiti, colori ed opzioni seducenti.

Dopo circa trenta minuti dall’esserci salutati mi telefona il Coetaneo.

Avrebbe atteso che io finissi yoga per incontrarci.

Scendevo da un cavallo e ne salivo subito su un altro.

 Ardente sotto un altro punto di vista.

Sapevo cosa voleva il Coetaneo: conoscere altri aspetti di me, per completare un’immagine già tratteggiata.

Nella luce notturna ci guardiamo, parliamo, corteggiamo, tocchiamo.

 

.Riposo notturno.

In mattinata appuntamento con il Terzo,fissato ormai da un po’.

Sono andata senza aspettative, solo per guardare da una nuova postazione. Ho sentito affetto e non desiderio.

.Ora.

Faccio passi imprevedibili…e inediti.

Les nouvelles hommes que j’ai rencontrèe

Non hanno la mia stessa urgenza oppure sanno controllarla.

 

Sogno di un nuovo paese e nuovi amanti.

 Gli stessi che ti auguro.

 

 

Ecco a cosa si riferiva quando mi diceva di voler diventare un’ osservatrice distaccata che scruta attraverso una lente. Non so se ci riuscì.

 In lei convivevano due persone.

 Una conduceva un’esistenza normale che le permetteva di stare con gli altri apparentemente senza problemi.

L’altra si manifestava all’improvviso con un comportamento impulsivo, capace di  generare un cambiamento di rotta, sottraendola in tal modo alla noia. L’una biasimava nell’altra tutto ciò che per lei   era vitale. Questa parte nascosta, che restava in ombra anche per lunghi periodi, aveva necessità di trasgredire , consapevole del fatto che esiste un amore le cui radici non affondano nella relazione, il cui carattere è instabile e inaffidabile… e cionondimeno è amore.

 
 
 

L’ INTERMEDIARIO

Post n°99 pubblicato il 25 Marzo 2012 da pacatissima
Foto di pacatissima

 

Sono sola e alle prese con un interno vivo che non sa dove dirigersi per iniziare qualcosa di piacevole e utile al mio percorso.

Le possibilità sono diverse ma non allettanti.

Ascolto ciò che accade in me, ma non prendo direzioni  perché ciò che si affaccia ha breve durata.

Cosa rivestirebbe fascino, lusinga, invito a procedere?

“Non lo so” non è una risposta e invece dovrei articolarne una.

Vorrei intravedere qualcosa di abbagliante all’orizzonte. Ho voglia di dormire…così, per ricaricarmi e uscire dal sonno risvegliata e lontana da cose che si trattengono in me ma che, lo ripeto, non mi offrono azioni convincenti.

Mi reca piacere la mia pancia sgonfia e il mio viso che acquista autenticità.

Dovrei andare ad una cena, ma la consapevolezza dell’abbrutimento mangereccio cui vedrei sottoposti i miei conoscenti mi arresta. False scuse?

Dormire è ciò che mi alletta. I sogni carichi e ridondanti. Nuovi, fra l’altro. Ora che non do più loro alcun valore, per lo meno fin quando non ne farò uno che mi indichi una via.

“ La pazzia e il sogno hanno punti di contatto. C’è un complicatissimo rapporto tra realtà e finzione. Evidentemente non sono la stessa cosa, ma non sono nemmeno separabili; si incrociano e si allontanano di continuo e talvolta si ha la sensazione di non essere altri che un intermediario un po’ accidentale fra i due mondi.”  Mario Vargas Llosa

 
 
 

DUE MAGLIONI E UNA CRAVATTA

Post n°98 pubblicato il 09 Marzo 2012 da pacatissima
Foto di pacatissima

Il fatto è che quando entrava nella soffitta, non tanto gli oggetti, quanto gli indumenti smessi, esalavano parole. Parole continue  e lente si alzavano, sbiadite all’inizio. Quando poi si sedeva, in direzione della luce che illuminava pezzi di stoffa ammucchiati, lenzuola stinte e vecchi maglioni, loro, le parole prendevano vita come un canto antico che bastava intonare perché riprendesse la forma che dentro di sé custodiva.  Sigaretta e accendino si univano alle mani mentre i suoi occhi guardavano il fumo uscire denso dalla sua bocca e viveva felice  quei momenti di intimità assoluta.

Quanto tempo c’era voluto! Ora poteva gustarlo con un sorriso sul volto.

Ed oggi è stato questo il  canto.

“Smettetela di baciare i miei seni, di voler giocare con me. Avete confuso le storie e gli uccelli, i miei sorrisi con i miei denti, i mie amori con le vostre verità.

Venite a trovarmi ora, con la stessa sicurezza di prima. Voglio vederli quei vostri piedi camminare e quelle vostre mani cambiare forma, aria e ideali.

 Io qui, con un buio indeciso, rido sino a  spezzarmi.

Vorrei appoggiarmi sul tuo naso quando muori, con il sedere rivolto alle stelle e un breve sesso mortale spunterà fra le mie gambe. Un breve sesso, breve come i vostri colpi, lungo come le mie attese, massiccio come il mio vero essere.

 Vado e sto andando, senza più ritorni. Perché impazzite se le stelle vi aiutano a graffiare i muri? Non avete desiderato altro. Perché, perché rinasco ogni volta che muoio?

Perché vi affido le invenzioni?

Mio padre è stato molto buono, molto caritatevole, ma di troppo poco gusto nel dirmi di andare e poi magari tornare, per riportargli le corna che ha perso. E’ stato persino sincero nel salutarmi.

 Ma che ne sapete di un amore introvabile, collocato fra le mie distanze infantili?

Smettetela di guardarmi come esseri sperduti, o di manipolare luci per mostrarmi una lacrima. Datemi ancora i vostri ghigni, fatemi la  solita violenza di sempre. Sbarrate strade e fiumi, incendiatemi, continuate, ma con maggiore attenzione a banchettare, perché io possa ridere, ridere, ridere.

 Innalzerò il mio ridicolo amore affinché voi possiate sbranarlo e sbranarvi e le lacrime di un mattino sempre uguale daranno nuovi occhi alla fine.

Non c’è che dire. E’ sempre più bello sdraiarsi sotto i vostri rancori e coprirsi con i vostri aliti di insonnie stagnanti. E’ sempre più bello la notte, dopo aver fatto l’amore, sentire con che raffinatezza sanno russare gli artisti. E’ sempre più bello. NON C’è CHE DIRE. Anche il sole me lo dice, leccandomi un orecchio. Parla sottovoce. Non ha più voce a dire il vero, ma siamo buoni amici, amici di vino e l’andiamo cercando quando ce ne ricordiamo, questa voce che è poi il cielo. Ma non c’è nulla di più salutare che trovarla addormentata e ubriaca mentre si abbraccia agli sputi di passanti giovani che corrono.

Io non sarò più. Io non sarò. Io non. Io.

Io non. Io non sarò. Io non sarò più.

Certezza. Divenire. Realtà.

Forte schiava. Sul quarto tasto mi appoggerò per indurire le corde e insistere sui suoni.

Quali frecce? Chi ha parlato di frecce? Ancora frecce?

 E’ finito il tempo delle ferite inutili.”

 

Questo avevano cantato due maglioni e una cravatta. Anche da un berretto usciva la stessa melodia, ma era piuttosto un controcanto svogliato. Lei sorrise. Agli anni che erano trascorsi. Poi prese i due maglioni e uscì per regalarli.

 
 
 

ESALTAZIONE “Aspetti e colori del nulla"

Post n°96 pubblicato il 06 Marzo 2012 da pacatissima
Foto di pacatissima


 Perché mascherare anche i titoli?

 Voglio che il mio sia un nulla pieno, vibrante, sommesso e consapevole. Per questo voglio e non dico credo.

 

Il declino di una collina dove alla fine giace chi capisce, l’inconfondibile confuso, mostra ora i suoi palmi rigati dal ritardo.

Solo ora, sole di sasso, sasso di sole, sole di soliloqui, sasso e saline perdute, sesso e santo, solo ora.

Perché? Quali giustificazioni si possono srotolare volendo seguire la solita strada? Potrei e posso non averne bisogno. Questa pipa davanti ai miei occhi, se ora mi piace, fuma e distrae i miei capelli.

Tutto sembra disposto con studiata complicità. E in effetti è una complicità travestita da sogno. Da sogno come io ti sogno, amore, fiume eterno, attimo imprendibile, esterno fissato, mio nulla.

 

Ho conosciuto lo smarrimento di chi si aspetta una fine piena di contegno. Ho conosciuto anche il sorriso eterno dei papaveri e i miei occhi diversi. Come un grido può accentuare i colori o farti essere colore. Voglio essere solo mare, un fluido senza fine, abolendo costrizioni, direttive e spazi. Senza arrestarmi sull’arenile di un’occasione notturna e salire ridendo una scala a pioli per rubare baci e sorrisi a chi dividerà con me  momenti.

Azzurro, infinito azzurro, distesa imbiancata!

Impacchettato nell’orizzonte di un unghia, depositato nell’aldilà da venire-ritorno.

Occhi somiglianti a un discorso che farò in altri tempi, con meno forza e più protezione. Occhi che io ho saputo leggere perché si sono fatti leggere, occhi gravidi di vita e di bestemmie.

Sogno piccolo, rimpicciolito, latitante, a me ti offri come salto euforico e in un acquario io vorrei perdermi e ricordarlo nei sentieri di un’ora.

Ora, minuto, inesistenza, spacco le idee come bolle e come bolle il mio sipario sale e dalle mie mani si schiude un viso, fra gli increduli passi di un cinguettio che mi insegna ad accettarmi.

Perché di nuovo, o perché con altri sensi, la tua voce ridente oggi mi rattrista. Ed io sto qui a raccontarti per ogni tuo vissuto, un io che non vivi perché stanco.

 
 
 

Una Sciagurata Alleanza

Post n°95 pubblicato il 18 Gennaio 2012 da pacatissima
Foto di pacatissima

 

Sono tornata e rientrata in malo modo. Andata via dopo essermi ammalata . Ho raggiunto Lisbona convalescente, impaurita, priva di energie. Lì ho iniziato a spogliarmi pian piano di tutte le responsabilità. Ma non avvertivo la spoliazione. Mi spostavo da una dimensione all’altra, bruscamente, anche se finalmente.  Quest’ultima non aveva agganci con la prima. Galleggiavo quindi in una condizione sospesa dentro la quale si muovevano figure, comparse. Sempre più rapita le ascoltavo parlare, ricordare cose del passato le cui tracce si confondevano  in me: nomi, persone, aneddoti, discorsi, momenti vissuti insieme. Nella loro mente ero rimasta ferma all’età di sedici/diciotto anni. Tutto ciò che è venuto dopo non lo conoscevano. Erano i depositari del prima.

 Sentivo di voler appartenere  a loro questa volta. Il dialetto  mi scioglieva la lingua e  addentrandomi nella gastronomia portoghese addentavo i suoi manicaretti.

Josè mi accompagnava in questo processo di riavvicinamento. Si usciva, passeggiava, parlava. In lontananza scoppiavano fuochi di artificio. Mi appoggiavo alla sua spalla, li guardavo. Vivevamo il presente scherzando e ridendo, entrambi attenti a salvaguardare la piacevolezza della situazione.

Di giorno il caldo marino, con la sua umidità, mi ottenebrava la mente appesantendomi i pensieri. Sentivo la necessità di convivere con un pensiero più rarefatto che imbrigliasse realtà più frizzanti. Allora partivo per la montagna dove l’aria più sottile mi consentiva di non perdere il filo con ciò che vivevo, donandomi l’energia per calarmi totalmente in ciò che incontravo. Restavo rapita, nelle mie passeggiate, dalla vista dell’erba che  ancora spuntava fra le zolle e questa visione, così coltivata in me, giorno dopo giorno, mi sembrava superasse l’intimità raggiunta con Josè.  Era bello poi tornare al mare, restandoci tutto il tempo che volevo, mangiare pesce in un ristorantino sulla spiaggia, cuocermi al sole, parlare del più e del meno con gente sconosciuta e non, scoprirmi non più misantropa.  A Lisbona la misantropia non aveva vita facile, tutti quelli che incontravo mi sorridevano, invitandomi a ricordare.


Chi non mi sorrideva, chi non mi invitava a ricordare, fu mio marito quando mi raggiunse. Non affiancandomi, non condividendo, mi richiamava ai doveri. Non ne volevo sapere mezza di ciò che usciva dalla sua bocca. “Prima di aprire la bocca, accertarsi che sia collegata al cervello” era scritto su un quadretto souvenir incrociato chissà dove. Avrei saputo a chi regalarlo. Era difficilissimo ammorbidire l’insoddisfazione e il nervosismo che mi generava il suo modo di vivere. Lo aggredivo,  intercettando visivamente scintille di disapprovazione e bagliori di rabbia uscire dalla mia testa. Non ricordo le parole dette, restavo più colpita dai lampi di questo fuoco che da quello che dicevo.

-          - Ti comporti come una quattordicenne.-

-         -  Faccio quello che voglio – tenevo a precisare.

Ciò che mi offendeva era la sua indifferenza nei confronti di tutto ciò che vivevo e avevo  vissuto all’infuori di lui.

- Ciò che sta accadendo è un equivoco -  lo informavo.

Ma non raccoglieva la mie frasi perché posseduto dai furori del possesso.

-         -  Ma geloso di che? Di chi?! –  chiedevo ripetutamente sottintendendo:  “Tu non mi possiedi  in alcun modo perché non mi sei accanto  e non condividi un tubo. Vuoi solo ch’io svolga le mansioni che rientrano nella tua sfera. Purtroppo è la sfera in cui agisco di più, ma il novantacinque per cento della mia mente è da un’altra parte. In una parte in cui tu non ci sei e non perché non ti abbia invitato. L’intensità del tuo possesso è ridicola se se pensi che ha ragione d’essere in virtù del restante cinque per cento.”

Per tutta la permanenza ho lasciato che l’equivoco parlasse dentro di lui, non ho voluto chiarirlo.

Ostinati come due tori abbiamo  proseguito nel nostro procedere ottuso.  Lui insistendo nell’accampare pretese su qualcosa che sentiva sfuggirgli di mano. Io proteggendomi.

Allora presi i suoi occhiali. Li  ruppi.  Afferrai il suo telefonino scaraventandolo dal finestrino della macchina.   Gli sganciai un pugno sul naso.  Non glielo ruppi.

 La mano si gonfiò.

 
 
 

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