ass.amorepsiche

Post N° 170


Si svegliò, quella mattina, con una gioia nuova, che non ricordava di aver provato da tanto tempo. Sembrava un giorno di festa e no, non si poteva sonnecchiare, non si poteva restare a letto ancora un altro po’…troppa era l’emozione, troppa l’impazienza.Si alzò, così, e corse in bagno, si tuffò nella doccia…l’acqua calda, piacevole, sapeva di dolce carezza che lenta attraversava il suo corpo per portare via ogni traccia di quel lungo, terribile inverno.E per strada si avviava, il sole in viso, limpido, brillante, le scaldava il cuore, l’anima. Camminava spedita, sorridendo, sapendo che era solo un giorno di festa, forse nulla di quello che sognava sarebbe accaduto eppure si sentiva felice. Da tanto ormai non viveva una giornata solo per se stessa, non le importava comprendere il senso autentico di quella “concessione”, voleva godersi quel solletico allo stomaco e quel riso allegro che le metteva in circolo una gioia inaudita.Mentre camminava sentiva che forse la felicità era proprio quella, istanti che sembrano eterni ma che riempiono di bellezza ogni cosa, per brevissimo tempo, ma intenso.C’era quasi, ora stava passeggiando in quella città meravigliosa, ma non sapeva scorgere l’arte e la magia del luogo, no, la bellezza che vedeva era legata a lui, sentiva che quella era la sua casa ormai e poteva quasi scorgerlo camminare fra i passanti, attraversare una strada, entrare in un negozio, camminare con la fretta di chi va al lavoro…respirava così a pieni polmoni quell’aria che era la sua e si sentiva stupida, quasi una ragazzina. No, non se ne vergognava, sapeva che era solo un giorno di festa e che si sarebbe concessa tutto, quasi a volerlo fermare sulla pelle.E fu notte, seduta su quel bus che la portava da lui cominciò a perdere quell’emozione che l’aveva accompagnata per tutta la giornata, fu presa da mille dubbi, da paure…perché era lì? E cosa si sarebbero detti? Lo sapeva che di un estraneo si trattava ormai, non c’era più niente a legarli da tempo, da troppo tempo ormai!Si maledisse, maledisse quell’indole adolescenziale e il suo non voler accettare lo scorrere del tempo che tutto cambia…ecco avrebbe voluto scappare, tornare indietro, essere altrove. Lo stomaco le faceva male e si sentiva a disagio come non mai, la fuga, pensava, sarebbe la giusta soluzione…in fondo, si diceva, non è questa casa mia, non più.Ma niente, lui era già lì ad aspettarla, scese da quel bus e gli si avvicinò. Avrebbe voluto essere risucchiata dalle viscere della terra, inebetita lo salutò mentre lui, perfettamente a suo agio, le faceva strada.Camminavano nella fioca luce di una città meravigliosa, erano l’uno accanto all’altro e parlavano di niente…lei continuava a maledirsi, di tanto in tanto lo guardava pensosa, era lui si, ma apparentemente, non dovrei essere qui…Furono in casa e si rifugiò su una sedia, si rannicchiò sul tavolo e pensava, abbozzava vuote parole, inutili, superflue…avrebbe voluto parlare, avrebbe voluto raccontargli tutto, sentirlo vicino, sentirlo suo, ma lo guardava e sapeva che era altrove.Poi un gesto ruppe quell’agonia di pensieri avviluppati dalla paura e sciolse quel gelo…l’accarezzo e la tirò a sé…il cuore pulsava forte, sembrava quasi volerle uscire dal petto e urlare di sgomento…no, non era così che doveva andare, dovevano parlare, doveva raccontare quel dolore, doveva fiera e determinata dirgli basta, questa vita attaccata al filo sottile dell’illusione è lenta morte per me…doveva…doveva…Silenzio, non c’erano parole, solo respiri caldi, stretti, avviluppati, intrecciati in un disegno d’eternità….nessuna spiegazione, nessuna razionalità, era la danza di due corpi che si conoscono, si cercano , si abbandonano, gli stessi di sempre…il tempo era altrove, loro due no, si ritrovarono senza bisogno di dover dire nulla, niente era stato così forte da distruggere quello che profondamente sono…e così si amarono per lunghissime ore, senza alcun pensiero che, nefasto, potesse guastare quella bellezza, come se nulla fosse accaduto, come se mai si fossero allontanati l’uno dalla pelle dell’altra…Dormirono un po’, stretti, vicinissimi e lei si svegliò per guardarlo e fermare nella sua memoria per quel momento…ora lo sapeva quella era la felicità, quel dormire accanto a chi ami, quel cercare fra le linee del suo sonno la strada del tuo esistere…quel sentire che non c’è niente, nient’altro, che desideri di più, quel rintracciare un progetto nell’intreccio del tuo corpo al suo…E il giorno di festa finì…usciti da quella casa si incamminarono in un pallido cielo ognuno verso due orizzonti differenti…Nella strada del ritorno, la stessa della sera prima erano di nuovo l’uno accanto all’altra, nessuna parola, nessun gesto, lontani, lontanissimi, ognuno perso fra i suoi pesantissimi pensieri…non si guardarono più…lei cerco la sua mano, la strinse ma senza forza, vuota quella presa, inanimata quella mano che era altrove…scese lei, senza aggiungere altro, non si voltò, proseguì il suo cammino, con una dilaniante tristezza nel cuore, senza aver compreso il senso di quella notte meravigliosa in cui aveva scorto la sua casa e il suo posto….Fu il tempo di una notte, fu un lampo di poesia, poi ritornarono nell’ordinarietà delle loro giornate, convinti che la vita è altro…e trattennero sempre quel vibrare dell’anima al ricordo di un respiro caldo sul corpo, di un sapore di caldo miele, essenza mistica del tuo vivere, che fermata sulle labbra non si può scordare…Un giorno di festa ha sempre la malinconia delle luci che si spengono, delle scatole di giochi buttate per strada, della banda che se ne va e dell’ultimo, cupo, botto, dopo la luce incantevole dei disegni che i fuochi d’artificio hanno regalato ad un cielo fumoso…E resta la malinconia…Ella dvthttp://blog.libero.it/affabulare/