Autoscatto

"Mai più senza i miei figli"


Si è tenuto ieri, nel corso del Festival Internazionale delle culture dell’Africa contemporanea, il convegno “Mai più senza i miei figli – L’immigrazione femminile in Europa”. L’incontro, svoltosi presso il Teatro Palladium, ha visto protagoniste donne che, per esperienza personale, professionale e culturale, sono state chiamate ad approfondire lo studio dei fenomeni migratori femminili, con particolare attenzione ai flussi provenienti dal continente africano, più che mai soggetti a una visione stereotipa ed esotica, miope e standardizzante, incapace di cogliere la ricchezza identitaria di una realtà umana e sociale in continuo mutamento. Giornaliste e giuriste, politiche e letterate, tutte sono state chiamate a occuparsi in modo diretto delle problematiche dell’immigrazione e dell’integrazione, a partire proprio dai diritti, concessi o negati, alle donne immigrate in Europa. Moderatrice del dibattito, la giornalista Giuliana Sgrena che, per prima, pone la questione delle donne migranti, meno visibili rispetto agli uomini e relegate nelle mura domestiche sia in ambito familiare, sia in ambito professionale, impiegate prevalentemente in attività legate alla cura della persona e della casa. Donne costrette a lasciare i figli nel paese d’origine. Donne, paradossalmente, pagate per accudire figli di altre donne, in case straniere. C’è un margine di resistenza nell’accettare questa scissione. Nel veder crescere figli che non sono propri. E divenire, invece, estranee agli occhi dei propri bambini. C’è un universo di dolore che ruota attorno alle politiche di ricongiungimento familiare e ci sono donne in silenziosa lotta per un reddito e per una casa, unica possibilità di una madre, di riavere suo figlio. Ce ne parla l’antropologa culturale Geneviève Makaping, giunta in Italia dalla Francia 26 anni fa, dopo una prima gioventù trascorsa nel paese di origine, il Camerun. La sua riflessione parte da un assunto: per prendere coscienza di sé bisogna avere gli strumenti per accedere a sé. E lo strumento cardine, la chiave per aprire la porta della consapevolizzazione è l’istruzione. Tutte le donne del mondo devono accedere all’alfabetizzazione. “Quando so leggere e scrivere il mio nome - spiega la Makaping – so anche leggere e scrivere il nome di chi ha in pugno i miei diritti. E denunciare, e pretendere, e ottenere”. Le donne in questo processo sono ostacolate anche da un altro fattore: il diritto, che – come spiega la responsabile dell’ufficio antidiscriminazione razziale Tatiana Gutierrez – ha sempre un’impronta recisamente maschile. Ciò che per l’uomo è implicito, deve essere esplicitato per la donna. Si può dire che ogni donna, qualunque sia il suo paese d’origine, dovrà sempre lottare per “riconquistare” e fare proprio un sistema di diritti che nasce fortemente patriarcale. E non c’è lotta più bella, più cara, di quella per la libertà. A sostenerlo la Sottosegretaria francese del Ministero per le Politiche urbane Fadela Amara, fondatrice tra l’altro del movimento “né puttane, né sottomesse” che tante battaglie ha condotto in Francia a tutela dei diritti di tutte le donne migranti. Amara parla in particolar modo del fenomeno delle periferie, e dei gravi fatti occorsi in Francia nel corso del 2005, cercandone le responsabilità – storiche e contemporanee – in una cattiva politica del Nord del mondo. Ma visto che la posta in gioco è un sovvertimento dell’ordinamento mondiale – sostiene – ciò che occorre è una battaglia per la libertà e l’uguaglianza. Valori universali, non solo francesi o occidentali. Valori che nessun relativismo culturale, con tutte le sue pecche, può permettersi di accantonare. L’oscurantismo, l’integralismo, da qualunque religione provengano, sono un male da combattere con una visione laica e democratica del mondo. “E lo dico – spiega Amara – come politica, come femminista, come donna, come figlia di immigrati e come musulmana”. Solo partendo da tali presupposti è possibile la costruzione del dialogo tra culture, quel dialogo che avrebbe dovuto essere alimentato sin dal principio e che invece è spesso mancato. Quel dialogo capace di legare donna a donna, attraverso l’associazionismo, il confronto, i movimenti di pensiero. Con la certezza che proprio attraverso le donne, vero elemento dinamico di ogni cultura, possa nascere un nuovo, autentico concetto di cittadinanza sociale.