Creato da: giancla56 il 27/11/2004
Una bacheca, appunto. Un posto dove attaccare foglietti, post-it, annotazioni. Dove appendere pensieri, foto, emozioni, immagini, riflessioni, sfoghi, sentimenti,sorrisi, incazzature e pianti. Ma non una bacheca privata, solo mia. Anche di quelli che, se vorranno, potranno usarla.

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virus dei polli o polli da virus?

Post n°761 pubblicato il 24 Ottobre 2005 da giancla56
 
Foto di giancla56


sere fa, a cena, parlavo con un medico e, naturalmente, il discorso è caduto sull'influenza aviaria.
a parte un interessante notizia sulla distribuzione gratuita (nel senso che la pagano i contribuenti) di 38 milioni (trentotto MILIONI) di dosi di vaccino antinfluenzale (su una popolazione di ca. 55 milioni di persone), mi dice:

"caro mio, ma tu lo sai che un virus si replica solo in un organismo vivo? e che un pollo morto, per definizione, non è più vivo? ma tu l'hai visto come vivono dove ci sono stati i morti? dormono praticamente seppelliti da polli vivi!"

in effetti, mi pareva di ricordarlo.
ma quella chiacchierata mi ha lasciato perplesso e, da quella sera, ho in mente di farne un post.
per un motivo o per l'altro, ho tardato. ma l'editoriale di stamattina del Riformista mi viene in aiuto.
cito:

"In quel libro [Michael Crichton, "Stato di Paura" ndr] si sostiene la vecchia tesi del complotto, però a parti rovesciate: che ci sia cioè un’industria della paura tenuta in piedi da politici in cerca di voti, da media in cerca di lettori, da avvocati in cerca di processi e da lobby ambientaliste in cerca di finanziamenti, che punta a tenere costantemente alto il livello di panico nella popolazione, anche quando l’emergenza di turno è nella norma di un pianeta che, di suo e da sempre, è un posto pericoloso. Un effetto serra qui, un terremoto lì, uno tsunami ieri, un’inondazione oggi, una bomba sporca domani; possono buttare giù un presidente degli Stati Uniti, o rimetterlo in sella. Ora è la volta dell’influenza aviaria.

...
La gente protesta: «Dov’è il vaccino, perché le case farmaceutiche non riescono a farlo, perché non liberalizzano i brevetti?». La banale verità è che il vaccino non c’è perché per farlo serve un virus che a oggi non c’è, non si trasferisce da uomo a uomo, non ha ancora trovato e forse non troverà mai la sua forma «umana». L’influenza si chiama aviaria proprio perché ha contagiato solo i volatili e 120 persone in tutto il globo che praticamente dormivano con i polli. Poiché la probabilità che nostro figlio incontri un pollo vivo è praticamente nulla, il panico è del tutto ingiustificato.
...

Però è vero che tre o quattro volte in un secolo un virus dell’influenza aviaria si modifica, e trova il modo di passare da uomo a uomo. Questo H5N1, poi, è particolarmente letale. Se si diffondesse con uno starnuto, come una banale influenza sa fare, sarebbero guai seri. La sua mortalità è del 50%: centoventi infettati, sessanta morti. La terribile «spagnola», che sterminò nel 1918 cinquanta milioni di persone, aveva una mortalità di appena il 2,5 per cento.
...

All’improvviso, sentiamo tutti il bisogno di scienziati, di ricercatori, di genetisti. Abbiamo appena smesso di insultarli come moderni Frankenstein, perché lavorano sul mistero della vita, o perché votano sì nei referendum, o perché fanno esperimenti sugli animali. E ora eccoci qui a reclamarli.

L’industria farmaceutica, fino a ieri pura nota statistica nei tagli della finanziaria, viene invocata a gran voce: dov’è la ricerca sui vaccini italiana? Non c’è più. Fino a qualche anno fa esistevano cinque aziende, quattro hanno chiuso, ne è rimasta una, la ex Sclavo, assorbita dalla multinazionale Cairon, e meno male che ha lasciato in piedi un centro di eccellenza a Siena, capace di impegnarsi a produrre 15 milioni di dosi di vaccino in tre mesi dall’apparizione eventuale del virus. Tre mesi, ma non sono troppi? No, ce ne vorrebbero dai quattro ai sei per coltivarlo, come si fa adesso, nelle uova di gallina; e se volete fare prima, due o tre settimane, bisogna lasciar lavorare in pace i Frankenstein della genetica.

All’improvviso si scopre che l’industria dei vaccini è in declino in tutto il mondo (le industrie dal ramo sono scese negli Usa da 37 a 10); perché il mercato mondiale dei vaccini è appena il 2% del mercato dei farmaci, e con una sola pillola di successo per l’ulcera si fanno più soldi.

La ricerca opera in un ambiente ostile, irto di cause di risarcimento per inevitabili errori e sperimentazioni, o di campagne infondate sui media, come quella che in Gran Bretagna spaventò a morte i genitori sui presunti effetti collaterali della trivalente, mai provati.

E infine la grande favola no global sui brevetti, simbolo di un capitalismo vorace che gioca con la vita pur di non perdere profitti. Senza sapere che sui vaccini non esistono brevetti, perché sono prodotti biologici: quando l’Oms isola il virus, lo dà a tutti, ma solo le industrie che hanno investito in know how e ricerca riescono a produrlo in grandi dosi.

Il problema dello Stato di Paura è che abbiamo paura anche della cura delle nostre paure: la ricerca. E invece dovremmo finanziarla e aiutarla. Perché magari stavolta la facciamo franca, ma prima o poi un’influenza mortale arriverà, e dipenderà solo da noi se ci tratterà come uomini del 1918 sterminandoci, o come uomini del XXI secolo capaci di sterminarla."


quasi quasi, di questo articolo ne faccio una circolare.
la mando al Card. Ruini, al Prof. Buttiglione, al Dr. Ferrara, al Movimento per la Vita, alla Spett. Redazione dell' Avvenire e magari pure all' On. Pecoraro Scanio e al Dr. Agnoletto.
se fossi certo che capìssero, lo farei.
ma mi sa che è tempo perso.

:)




 
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