Le denunce: «guardate alla Sapienza, a Firenze, a Padova. Ecco dove regna il nepotismo dei baroniMILANO - Da Londra, da Montreal, dalla Svezia. Ma anche da
Roma, Palermo, Firenze e Padova. Studenti, ricercatori, professori o
semplici genitori. La storia che abbiamo raccontato venerdì, del
concorso da ricercatore a Messina, «Un posto, un solo candidato: il figlio del professore»,
ha scatenato numerose reazioni. Tantissime email sono giunte in
redazione. Molti sono arrabbiati, in tanti si vergognano di far parte
di questo sistema. Altri vogliono scappare. Ma soprattutto in tanti
accusano con tanto di nome e cognome. In attesa di verificare per poi
raccontare tutte queste storie, ecco alcuni passaggi degli interventi
più significativi.
LE DENUNCE - Soprattutto fioccano i racconti. C'è chi ci chiede
di rispettare il desiderio di non essere mai menzionato e rimanere
nell'anonimato. E poi racconta cosa succede nella facoltà di Medicina
di Messina. Marco invece denuncia gli intrighi nella facoltà di Economia alla Sapienza di Roma:
«Il nepotismo nella facoltà di Economia, se consultate l'organico, è
all'ordine del giorno: ci si rende subito conto che emerge una
composizione fatta di un quadro di famiglie allargate nell'ambito di
uno stesso dipartimento o comunque all’interno della stessa facoltà. E
giù l'elenco di nomi e cognomi e uno in particolare: «Questo strapotere
ha lasciato gli altri docenti allibiti». Un altro lettore denuncia i
casi alla facoltà di Chimica alla Sapienza di Roma:
«Il ricercatore che ha vinto il posto si è laureato, ha effettuato il
dottorato di ricerca ed ora è ricercatore nel gruppo di ricerca dello
stesso professore che lo ha esaminato. La commissione era composta da
due membri "esterni" che in realtà collaboravano con il professore
presidente di commissione ormai da anni. Da notare che candidati molto
più qualificati (almeno sulla carta) si sono stranamente ritirati prima
dell'inizio delle prove». Un altro. Sebastiano ha studiato a Palermo:
«Andate a vedere quanti figli e nipoti di professori sono guarda caso
dei geni incompresi, anzi compresi solo da commissioni amiche. Molti di
questi non sono neanche in grado di parlare un corretto italiano». E
via all'elenco di nomi. Da Firenze
ci scrive Lorenzo:«Le manfrine padre-figlio sono le più vergognose, ma
ogni presidente/membro di commissione per concorsi per ricercatore o
professore ha SEMPRE un candidato da far vincere. Accadde qualcosa di
simile qualche anno fa a chimica a Firenze». E ci dice in quale stanza e in quale facoltà dobbiamo andare ad indagare. Massimo
ci invita anche lui a rintracciare le «parentele incrociate», per
esempio, tra i docenti e ricercatori della facoltà di Giurisprudenza,
ancora una volta, a Messina. Martina laureata in lettere moderne a Padova:
«Sì, la facoltà di Padova, quella che di mogli, mariti, figli e cognati
ha i dipartimenti zeppi. E io sono una ex aspirante ricercatrice,
disillusa, impiegata, prima laureata in famiglia, orgoglio dei suoi
nonni che hanno fatto solo le elementari. E orgogliosa dei suoi nonni
che le hanno insegnato, più di tutti i professori, il valore
dell'istruzione». Salvatore, invece, voce fuori dal coro, non vuole che
si parli sempre e solo di Messina: «Per esempio, perché non parlate mai
dell'università di Reggio Calabria
dove la facoltà di Giurisprudenza è stata creata solo dieci anni or
sono (inutile doppione di quella storica di Messina, a soli 4 km di
aliscafo) per sistemare figli di professori della medesima facoltà?».
I DELUSI - Claudio è rimasto senza parole: «Anzi ne ho solo due:
mi vergogno. Un paese in cui può accadere questo e non reagisce è allo
sbando. Come dottorando, figlio di un operaio del nordest, ho solo un
grande senso di tristezza. Spero che il ministro legga l'intervista e
che faccia qualcosa di concreto e non delle riforme che mettono tutti
dentro la stessa pentola senza distinzioni». C'è chi invita tutti ad
andarcene dall'Italia: «Chi veramente vale e vuole bene al proprio
paese prenda il passaporto e voli lontano!». E poi, c'è chi cita un suo
professore americano, di nazionalità anche italiana, che si domandava
quale fosse il livello della ricerca che si fa in Italia: «Si potrebbe
chiedere a Piero Angela perché acquisti i documentari dal National
Geografic». Infine Andrea: «È una vergogna che paghiamo tutti e che
pagheranno i nostri figli ancora di più».
«FORMA MENTIS» - «I figli dei docenti sono più bravi perché hanno una "forma mentis" che si crea nell'ambito familiare». Questa frase del professor Giuseppe Nicòtina ha scatenato sarcasmo e arrabbiature. Franco da Messina
torna sull'infelice espressione "forma mentis": «Ma allora come si
spiega , se il figlio è una risorsa, che la città in tutti i comparti
socio economici è ultima o fra le ultime Italia pur essendo la 13esima
città per numero di abitanti? Antonino
vuole che questa battaglia prosegua al fine di portare un po' di
«Giustizia» almeno nel campo dell'Istruzione: «I figli di Galileo
Galilei, Leonardo da Vinci, Copernico, Euclide, Pitagora non hanno
avuto lo stesso potere intellettuale dei padri, ciò a dimostrazione che
nella scienza, nell'arte e nel progresso tecnologico e industriale,
occorrono dei geni», non dei raccomandati. Marco da Siena è inviperito:
«Questo professore, dopo l'affermazione secondo cui i figli dei
professori sono più bravi perché... andrebbe preso a calci. Ma perché
gli studenti, invece di manifestare senza un perché non protestano
contro questi personaggi che si permettono frasi non solo vergognose ma
anche razziste?». Paolo da Padova usa il sarcasmo:«E'
triste constatare che pur raggiungendo lo scopo questi signori non
riescono neanche a difendere degnamente i propri figli. Forse più che
di "forma mentis", dovremmo parlare di forma "de-mentis"». Un altro
rincara: «Stranamente l´unico intelligente capace e con le publicazioni
era il figlio di un prof che forse le publicazioni non le ha neanche
scritte lui ma gliele hanno scritte o magari ha fatto un collage da
lavori di altri che si sono rotti le ossa».
DALL'ESTERO - Ma fuori dal Belpaese lo scoramento si sente ancora di più. Franco fa il professore d'italiano in Brasile,
a 200 km da Fortaleza, la zona più povera di quell'immenso paese: «Le
devo dire che qui, nel "tercero mundo", dove l'analfabetismo raggiunge
il 48%, e l'impronta del pollice ha valore legale nei documenti, non
accadono cose come quelle tristemente narrate da voi. Mi vergogno di
essere italiano». Pietro dal Canada
è pessimista: «Le cose funzionavano come a Messina anche 20 anni fa
nelle università del nord. Non solo: anche nei concorsi pubblici (negli
ospedali certamente) per tutte le posizioni, apicali e non, non
cambierà mai, altrimenti non sarei qui come tanti altri colleghi che in
Canada o negli Usa sono stati valutati in base ai meriti. Ma l'Italia
ci manca. Ci manca eccome. E la speranza sarà l'ultima a morire».
Giuseppe è emigrato da 40 anni a Montreal. Leggendo l'articolo si chiede se «Berlusconi è al corrente di tutto ciò?». Valentino da Londra:
«In Italia non avevo futuro accademico perché il dottorato lo si vince
se si è "allievo di" o '"figlio di" e poi a cosa serve? Per far lavoro
di segretaria, far fotocopie, spostare scaffali e ricevere gli
studenti». La conclusione ad una mail spedita dalla Svezia:
«Non so se ho voglia di mettermi a ridere oppure a piangere. Sono
medico pluri specialista e sono andato via dall´Italia 11 anni fa
perché non essendo figlio di "prof" ovviamente non avevo speranze.
L´università è stata regalata da tutti i politici ai loro amici i quali
hanno solo pensato di usare l´università per fare soldi e poi come
ufficio di collocamento per i figli e nipoti».