Creato da: Be.Side il 20/02/2006
Il lato B della mia musica

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« pochi spiccila metà che manca »

arrivederci prof

Post n°4 pubblicato il 10 Aprile 2006 da Be.Side
Foto di Be.Side

E’ entrata nel metrò come dentro la quinta C. Senza mai guardare dentro. Armata del rosso di un registro vuoto di sufficienze.
Grandi occhi di cera grigia. Incapaci di espressione senza una voce a guidarli.Una fila di mani appese a dividerci lo sguardo. Una fila di anni a dividerci il ricordo.

Ha dato più voti lei di quanti ne abbia presi io. Troppo lontano nel banco e nel tempo per ricordarsi l’appello di quegli ultimi anni ottanta.
Arrivava dentro una cinquecento sbiadita dal sole in una scuola dove l’italiano e la storia erano materia di poche ore e di poco conto. Messe lì da qualche riforma antica per dare un’anima ai numeri che imparavamo.

Il cinque era un traguardo per quei temi che misuravo in lunghezza. Incolonnati a sinistra si riempivano di rosso nella metà vuota. Come la mia coscienza di allora. Fatta di pensieri leggeri senza posizione. Senza destra né sinistra. Pretesti buoni solo per non farsi fucilare nelle interrogazioni dei pochi che non scioperavano.Schieramenti di una politica acerba come gli amori di quei banchi. Che in età di brufoli sembravano non poter finire mai.

Vestiti di un jeans che la moda voleva corto, di piumini gonfi e di teste vuote. Una cinta da buttero ed una tolfa ereditata per caso da un 68 mai così lontano. Svuotata delle lotte. Riempita di pochi libri e dei tanti diritti mai apprezzati e riconsegnati pigramente al mittente.
Giorni nascosti nei bagni e dietro scuse improbabili. Sospesi tra un’ora di religione e di palestra. A ricopiare firme. A giustificare l’assenza di una leggerezza mai più tornata.

E la sua voce sottile, sempre in bilico sull’acuto, a guidarci dove non saremmo mai andati.
Lato B di un disco ascoltato troppo poco.
Un profeta da sempre senza seguito. A redimerci dalle equazioni, a raccontarci una Storia, da noi ripetuta a memoria come una filastrocca senza senso.
A ficcarci due dita in gola per tirare fuori temi che venissero da noi e non dal poco sentito dire.

Lei ed il suo sguardo di eterna rassegnazione, abituato ai resti negli anni indifferenti di un istituto di periferia. Generazioni di ragazzi raccolti dalla strada e alla strada restituiti con l’illusione di una professione.

Chissà quanti ne ha salvati. Dalla strada e dalla nebbia del ricordo. Annate qualunque di vini mai buoni, confusi nella cantina della sua memoria.
Vendemmie di settembre. Che giugno a pochi donava la sufficienza di un’estate libera.
Ne ha liberati tanti. Per avere me prigioniero.
Ma non mi ha mai avuto. Non per le mie lettere ma per i miei numeri allineati meglio delle parole. Correnti troppo forti per remare contro.
Un vino buono per l’aceto. Una partita persa.

Arrivederci prof.

 
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