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UN GIORNO FORSE - VII PUNTATA

Post n°109 pubblicato il 28 Ottobre 2006 da BloodyPoet


   Elena non rispose. Il suo interesse sembrava concentrato in un punto imprecisato fuori dal locale, fuori dal mondo. Dopo alcuni istanti di silenzio, mi prese il viso fra le mani e mi abbagliò con la luce dei suoi occhi verdi.
   - Alessandro... mio Alessandro... potrai mai perdonarmi il male che ti ho fatto?
   Come se fossero state dette a un’altro, quelle parole non ebbero la forza di colpirmi. Due lacrime le rigarono il viso.
   - Elena... davvero non capisco... – dissi porgendole il fazzoletto. - A farmi perdonare devo essere io...
   - Ma non hai ancora capito?...
     Lei scoppiò in singhiozzi e io provai una pena infinita. L’avevo vista piangere di rabbia più volte, mai di disperazione.
   - Cosa c’è da capire? – le dissi facendole una carezza.
   Scosse il capo, si soffiò il naso, tirò un lungo respiro e sciolse il nodo della sua anima.
   - Eleonora è tua figlia.

   Quelle parole, come il rintocco di quattro campane, risuonarono dentro di me per un tempo imprecisato. La realtà si tramutò in qualcosa di indistinto dove a muoversi erano soltanto ombre. Quando le campane cessarono di suonare, ero un’altra persona.
   - Ti ho tenuta nascosta questa terribile verità – prese a raccontare Elena. - perché pensavo che la mia creatura non meritasse di avere un padre come te... non cerco scuse, Alessandro... sono stata egoista e cattiva... me ne pento... ho anche pensato al suicidio... e se non fosse stato che avrei negato a nostra figlia l’unico genitore che aveva l’avrei fatto... quando Eleonora mi ha raccontato che un certo Alessandro aveva chiesto di me, ho capito che, finalmente, il tempo della verità era arrivato.

   Rimanemmo a lungo senza parlare mentre un moto di rabbia mi toglieva la luce dagli occhi: ero stato privato dell’amore di mia figlia per colpa di una stupida ripicca. Avrei preso a schiaffi Elena. Per fortuna che quel momento di malumore, l’unico, durò lo spazio di un secondo.
  La compassione, prima che l’amore, verso una creatura che, senza ombra di dubbio, doveva aver vissuto la maternità con sofferenza, prevalse.
   Adesso poi che ad unirci era Eleonora, e non più soltanto il nostro passato burrascoso, sentivo di amarla ancora più di prima. La presi fra le braccia e la strinsi contro al mio petto. Ci baciammo. In quel bacio consumai le poche energie di cui, dopo la choccante rivelazione, ancora disponevo.
   - Potremo mai goderci questo amore, io e te?
   Qualunque risposta lei avesse dato, mai sarei uscito dallo stato di quieta beatitudine in cui ero sprofondato: troppo grande era il dono ricevuto.
   Da dietro la nuca lei prese ad accarezzarmi i capelli. Fui scosso da un brivido.
  - Il tempo non passa mai invano e indietro purtroppo non si torna... – sussurrò con un filo di voce.
   Ancora una volta Elena concentrò il suo sguardo in quel punto imprecisato che stava fuori dal locale, fuori dal mondo.
  -  É un invito a sperare? – chiesi senza farmi eccessive illusioni.
  - Un giorno, forse… – rispose lei, lasciandomi la possibilità di illudermi.

   Mi limitai a sorridere. Quando uscimmo in strada pioveva a dirotto. Eravamo entrambi senza ombrello e non ce ne importò. Mano nella mano, risalimmo verso Largo Fellini, diretti al parcheggio di Villa Borghese, pestando nel fiume d’acqua che scendeva sul marciapiede.
   Ci inzuppammo dalla testa ai piedi, come due ragazzini senza cervello. Di lì a poco ognuno avrebbe ripreso a camminare per la sua strada, ma ora eravamo due coniugi perfetti. Lo saremmo stati mai davvero?
   Un giorno, forse…


FINE

 
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