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Post N° 22

Post n°22 pubblicato il 15 Febbraio 2008 da angelodiavolettob
Foto di angelodiavolettob

 Antonio Griffo Focas Flavio Dicas Commeno
Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio,
altezza imperiale, conte palatino,cavaliere del
sacro Romano Impero, esarca di Ravenna, duca di
 Macedonia e di Illiria, principe di Costantinopoli,
 di Cicilia, di Tessaglia, di Ponte di Moldavia,
 di Dardania, del Peloponneso, conte di Cipro e di Epiro,
 conte e duca di Drivasto e Durazzo.
Totò non era un nobile solo sulla carta,
 ma anche nella vita di tutti i giorni.
Poco più che ragazzo iniziò il servizio
di leva a Napoli, imparando ben presto a marcare
 visita grazie alla sua innata capacità di simulare
 gravi malattie; ma quando venne trasferito a Livorno,
 fu costretto a subire le vessazioni di un caporale,
 "il caporale per antonomasia", promosso
"per mancanza di graduati disponibili,
 pur essendo quasi analfabeta".
"Durante le punizioni [ ... ], rimuginavo
in me un rancore senza fine nei confronti
dei caporali, verso coloro cioè che, muniti
di un’autorità immeritata e forti di una disciplina
 che impone ai sottoposti l’obbedienza senza discussione,
 esercitano tali loro meschini poteri [ ... ]. Contrapponevo,
ad essi, gli uomini, le persone, cioè, che sanno adoperare la
loro autorità senza abusare dei poteri loro commessi".
Da queste esperienze nascerà la famosa battuta: "Siamo uomini,
 o caporali?".
"E se qualche volta sono riuscito anche a commuovervi", scrisse
 a conclusione della sua biografia apparsa nel 1952, "ne sono felice,
 perché [ ... ] una lacrima è solo l’altra faccia del sorriso.
 E ci siamo capiti, perché ognuno di noi è passato attraverso gioie,
 dispiaceri e amare delusioni nella grande commedia della vita.
Altrimenti, se fossimo sempre impassibili, spettatori e non attori,
non saremmo veri uomini, ma caporali".
Con questa frase vi lascio meditare sulla grande nobiltà d'animo
dell'immortale Totò

 
 
 
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