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Creato da cico1936 il 19/12/2009
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IL CASO"Facebook è una schiavitù"
Sos dai teenager pentitiSempre più adolescenti frequentano i social network. Ma ora è allarme e nascono gruppi di disintossicazione di JAIME D'ALESSANDRO
Ormai, stando alla Nielsen, il 54 per cento di loro frequenta abitualmente Facebook: erano appena il 28 per cento a ottobre dello scorso anno. Trascorrono sempre più ore a scambiarsi messaggi, pubblicare fotografie, tenersi aggiornati su quel che fanno i loro amici. "Come ogni altra forma di dipendenza, è sempre difficile ammetterla", commenta Kimberly Young sul New York Times. Voce autorevole, essendo il direttore del Center for Internet Addiction Recovery di Bradford nella Pennsylvania. "È come un disordine alimentare", aggiunge. "Non è possibile eliminare il cibo, ma solo fare scelte più accurate su quel che si mangia. In questo caso, quindi, su quel che si fa in rete".
Problema tutto americano, verrebbe da pensare. In realtà invece è anche nostro e di tanti altri Paesi, visto che il 70% degli utenti di Facebook risiede fuori dagli Stati Uniti. In Italia sono in 12 milioni, circa cinque sotto i 24 anni, e la metà accede al social network tutti i giorni. "Difficile dire se sia un'esagerazione quella della dipendenza", racconta Peter Lang, professore di architettura all'università Texas E&M, attento conoscitore della rete e tra i primi docenti ad aver usato Facebook per la didattica. "Due anni fa i miei studenti hanno smesso di usare le mail sostituendole con il social network. Hanno tutti un pc e quando è acceso sono sempre connessi a Facebook. Tanto che oggi gli orari delle lezioni vengono comunicati lì. Così, per rendere i seminari più interessanti, con altri colleghi abbiamo iniziato a usare i social network per l'insegnamento".
Insomma, meglio farci i conti che limitarsi alle condanne. Perché, appunto, tutto sta nel capire come i dieci miliardi di minuti che ogni giorno vengono trascorsi su Facebook influiscono sulla vita dei 350 milioni dei suoi utenti. L'ovvietà è il fatto che se prima si andava in piazza a chiacchierare, ora lo si fa sul web. Più difficile capire se è un male o un bene. "Non ci sono studi scientifici su campioni vasti che possano giustificare allarmismi o assoluzioni - spiega Tilde Giani Gallino, professore di psicologia dello sviluppo all'Università di Torino - Dunque bisogna affidarsi al buon senso, che però potrebbe essere frutto di pregiudizi. Dell'esser cresciuti in un'epoca completamente diversa. La socialità sul web ha pro e contro, ma non è meglio o peggio di quella che hanno vissuto le generazioni passate. Solo differente. Allora, più che della dipendenza vera o presunta che sia da un social network o dalla rete, mi preoccuperei di più dell'impoverimento del bagaglio culturale. Perché scambiare la ricchezza di una biblioteca e dei suoi volumi con le sintesi di Wikipedia, quello si che è pericoloso per le giovani generazioni".
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