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Post n°54 pubblicato il 07 Luglio 2006 da AMARC0RD
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Doverosa appendice sulla poesia in risposta ai molteplici quesiti e argomenti proposti.
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Rileggendomi, e riascoltando ♪ Carmelo ♪ fuso biricchinamente con Wagner, mi rendo conto d'aver elevato l'esposto, molto oltre il comun intender, malandrinamente sorrido e mi dico che: questo mio evidenziar l'errore che risiede nel senso comune, arriva direttamente dai pelaghi che specchiano le stelle nel ghiacciao e dalle stelline del fondale. (il pensiero ha una digestione lenta anche se laboriosamente frenetica).

Tutto ciò che è, non è!

Sta alla singolarità l'interpretazione, di quanto e dove sia o non sia, quando l'interpretazione diviene statica o ancor peggio comune, al pari dell'interpretazione del cubo, allora vi sono delle induzioni di pensiero che travalicano l'essere assogettandolo, perciò Carmelo afferma che quando parliamo, siamo detti dalle parole, ne potremmo far a meno nei rapporti che contano, è il suono, l'intensità, le incrinature che dicono l'essere, il gesto di non farsi dire dicendo è poesia, perchè ci ri-appropriamo di noi, noi siamo poesia, altro che la questua di Dostoevskijana memoria.

La poesia è quella figlia ribelle della del linguaggio "costruito" dalla sintassi logica, le vorrebbe sfuggir, ma non ci riesce, non possiede linguaggio e sintassi propria è figlia della linguaggio e della sintassi della "cosa" difatti i quesiti recitano: cos'è la poesia? cos'è poesia?

La poesia comunemente intesa, è una eco
la eco d'un desiderio
la eco d'una gioia
la eco d'una sofferenza
la eco d'un sentire
ma sopratutto è la eco del gesto compiuto, vissuto, fatto

Ecco "cosa" è la poesia, una eco

Incontrar una eco stupisce sempre un pò

Quando la eco è priva di vissuto generante cos'è?
Quando la eco ha un riscontro opposto cos'è?

Quando la eco è priva di vissuto, diviene misticismo "creduloneria", l'anticamenra dell'autoconvincimento su ciò che si desidera nel chiuso di se, di li al questuar ad una deità, ad un simulacro, ad un convincimento ottundente il passo è breve, come ben aveva compreso Platone, nel suo momento di maggior misticismo, in cui eleva l'anima, il pensiero sopra ogni cosa, "perchè la materia biologica aveva perso la guerra con Sparta", in quel momento Platone giunge ad una sorta di castigo della materia a rifiutar le gioie della carne, ed è li che l'amor "platonico" prese il via, per poi venir decantato e decodificato dal cristianesimo nel romanticismo che; ben sapevano di non poter rifiutar ciò che si è, "hanno" trasformato il rifiuto nel limbo dell'irrealizzato, nell'attesa perpetua in cui struggersi per giunger all'ascesi priva di gesto, priva del dono di se, interi, ci si rifugia nel "dono" del proscenio chiuso e non si vede il tutto.

La eco priva di gesto generante, la eco "mistica" solitamente nasce da un pensiero anti, ♪ contro ♪ contro quell'impossibilità di giunger a ciò che NON esiste realmente, se non nel proprio sè, o che è impedito dalla "regola" che ha ucciso la favola di Apuleio, la regoletta recita: farò in modo che questo matrimonio sia legittimo e conforme al diritto civile --- è così che il mondo degli dei è stato piegato e piagato dal mondo umanamente logico, normando quella messe esorbitante di passioni ed il gravame di punizioni legato alle violente passioni, "hanno" normato l'eccesso con i convincimenti del chiuso in sè, devo riconoscer che la mente umana è formidabile nel costruire prosceni in cui ritirarsi nel più assoluto rifiuto della realtà, sarebbe opportuno e sovente sufficiente comprendere se stessi e la realtà che ci circonda per godersi la realtà e giocare con i prosceni, se non si giunge a ciò, ci si chiude sempre più in sè, nei propri convincimenti, questa chiusura è solitamente disvelata dal fermo convincimento che la cosa, la realtà, DEBBANO cambiare, piegandosi ai nostri convincimenti, non è solamente il rifiuto di ciò che ci circonda, è la sua sostituzione con una costruzione fantasiosamente irreale in cui vivere ---- questa è la menzogna di cui parla Pessoa --- il ravvedimento di Platone lo si può leggere nei suoi dialoghi, quando afferma che "l'idea" dev'essere il prodotto del vissuto, dell'esperienza --- quale esperienza reale possiede chi s'ottunde nel chiuso di sè?

Adoro i dialettici che sanno autoconfutarsi, pudicamente tra le righe e umanamente nella vita materiale, difatti il buon Platone ha smesso di castigar la sua carne con il rifiuto, cosa ben differente dall'amor platonico decodificato dal clero, una costruzione logica dotata d'un euristica raffinata che s'insinua tra le pieghe di ciò che vien interpretato naturale, mentre naturale non è

Incontrar CHI, non "cosa", CHI E' POESIA, sconvolge,
il linguaggio della POESIA UMANA, non soggiace alle regole e divieti, perchè si è POESIA.
"Fortunatamente" è dato esser poesia solo certi momenti, poi... tutti si ritorna ed esser umani, nell'illusione d'essere

Conoscer se stessi, è conoscer quando si è poesia, è anche il bramar, il VOLER e saper dilatare quei momenti

Questa è la differenza tra chi è aperto al mondo e chi vorrebbe un mondo chiuso e decodificato da sè, in sè per sè

Chi conosce nel vissuto la favola di Apuleio, più non può questuar il il miracolo ad una divinità al pari di Dostoevskij, cadrebbe nell'opposto, nel gesto di rifiuto perchè il miracolo non è quello, è "solamente" un miracolo reale.

Dov'è la poesia del gesto, nel costruirsi prigioni?


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Mi son preso un pò di giorni sabbatici, giusto quelli che ci vogliono per rimirar le proprie radici sparse, quelli che ci vogliono per rimirar i pelaghi stellati che si riflettono nel ghiacciaio e quelli che ci vogliono per carezzar il fondale stellato, tutto con quella frenesia propria di chi si ritrova bimbo, genitore, fratello, amico, compagno, giorni di "vita frenetica", un inconscio voler compensar i lunghi passi nel peripatio e sul freddo letto di pietra
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help ♪ pervenutomi

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