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« Messaggio #58 »

Post n°57 pubblicato il 05 Settembre 2006 da AMARC0RD

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La mia pausa-sequestro volge al termine, momentaneamente "dissequestrato" fo uno ♪ sberleffo ♪ al verbo tecnologico, scritto o detto, che ha la prerogativa di privare l'essere delle sensazioni originarie date dalla presenza dicente, questa verbosità fa rimbombare il verbo come bronzo percosso nel vuoto dell'assenza, ove la musicalità si popola di norme accuminate percorse da fantasmi di credenze.

Quel verbo scritto cui Socrate udiva avvicinarsi lo sferragliar di catene, l'ultimo grande dispensatore di sofia annusava l'odore acre del cappio filo-sofia, quell'innocuo "filo" aggiunto alla sofia da Platone, s'è rivelato una pesante catena, ove ogni anello è stato chiuso con gesto violento, tranciando l'orizzonte della significazione ci ha privato delle parole per dirci, quel "filo" sopprimendo ogni ambivalenza simbolica ha vincolando il significante ed il significato al reciproco controllo, lasciando ai confini del sè un'immensa quantità di pensieri impensati, da pensare, incatenati alla tirannide della "verità" uguale per tutti assaporariamo l'impossibilità del cambiamento, annichilendo quel perpetuo divenire che è peculiare nell'umanita, tutto ciò che non possiamo cambiare, lo chiamiamo normalità, menzogneri di noi stessi, scegliamo l'impotenza, questuanti ci prostiamo all'olimpo normante, imploriamo norme nuove, moderne, ben sapendo che la norma NON è interpretabile, è una uguale per tutti.

La ricerca dell'interpretabilità nel verbo scritto, è mantenere la crisi aperta, impedire che la parola risolva, far si che la parola dissolva la risposta nell'interpretabilità, sul registro della metafora, della poesia come della prosa o nell'aforisma, vertigine dello sberleffo in cui implode il senso abituale del mondo, quel percorso incerto, rischioso, dischiuso al tutto, lo si dovrebbe affrontare con uno sberleffo metaforico, la metafora come indica l'etimologia "meta-phorein", significa porta fuori, fuori dal modo consolidato e stratificato delle abitudini, è il fuori che dispiega nel sè gli scenari dell'interpretazione, è li fuori che le cose parlano in modo in-audito alla fusione dell'abisso con la vertigine dell'essere

Addestrati al significato monco, conosciamo solamente piccoli desideri, s'è persa la radice etimologica, il senso aperto di desiderio recitava: "de-sidere", quello sguardo lungo, aperto all'abisso come alle sidere, quello sguardo che giungendo all'incanto del significato aperto sperimenta in sè la vertigine della dissoluzione dell'io, infrangendo la sua egoità spezza uno ad uno gli anelli dei nessi logici e dilata i confini dell'essere, questo è il gioco che la pigrizia fa temere, l'assenza di certezze e di credenze per giunger tra le sidere, dimora del desiderio aperto, infinito, ove la violenza delle passioni dispiega tutta la sua potenza oltrepassando l'immaginario ancor troppo prudente, smarrirsi nell'opacità delle carni per rinascere nella trasparenza dei gesti, dove da esperire non vi sono più oscillazioni tra l'inflessibile norma e la fuga indotta, ma più "semplicemente" l'abisso che ci abita,luogo ove la parola odora di gesti e gli sguardi assaporano l'incessante atto di fecondazione pulsante che preme dai confini dell'essere

In qual profondo baratro mi calo per giunger a ciò che vorrrebbe dirmi quell'apertura offerta con uno sberleffo
cristallino, quell'invito gioioso alla reciproca scoperta, mplacabile divora il mio baratro, sugellati in gole profonde
respiriamo inebriati, asincroni respiri di gesti che odorano mormorii di sidere.



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